Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18429 del 23/03/2018


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Penale Ord. Sez. 4 Num. 18429 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da

BENRABAH KAMEL, n. il 14/07/1967

avverso la sentenza del 18/10/2017 del TRIBUNALE di BOLOGNA;

sentita la relazione svolta dal Consigliere MARIAROSARIA BRUNO.

Data Udienza: 23/03/2018

1. La difesa di Benrabah Kamel proponeva ricorso per Cassazione, avverso
la sentenza del 18/10/2017 del Tribunale di Bologna che, a seguito di giudizio
definito con patteggiamento per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R.
309/90, applicava al ricorrente la pena concordata di mesi sette di reclusione ed
euro 1.400,00 di multa, disponendo la confisca e distruzione dello stupefacente
in sequestro e la confisca della somma di danaro.
Nel ricorso, si deduceva violazione di legge e vizio di motivazione. In
particolare, la difesa del ricorrente lamentava: che il giudice in sede di
applicazione della pena non aveva motivato in ordine alla congruità della pena;
che non aveva espresso le ragioni per le quali non aveva ritenuto di applicare la
pena nel minimo edittale; che non aveva fornito motivazioni in merito
all’applicazione della recidiva.
Ebbene, l’impugnazione proposta è inammissibile. Ai sensi dell’art. 448,
comma 2 bis, cod. proc. pen., come introdotto dalla legge n. 103 del 2017, in
vigore dal 3 agosto 2017, il ricorso avverso la sentenza di patteggiamento è
proponibile solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al
difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica
del fatto, all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Poiché nel caso in esame non è stata eccepita l’illegalità della pena (né si
ravvisano profili di illegalità di essa, rilevabili d’ufficio) e, poiché non si sollevano
questioni attinenti alla corrispondenza tra richiesta e sentenza o questioni
attinenti alla erronea qualificazione giuridica del fatto o riguardanti il vizio della
volontà, la impugnazione deve intendersi proposta al di fuori dei casi previsti
dalla legge ed il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Per completezza espositiva, si rileva che la sentenza di patteggiamento, che
recepisce l’accordo fra le parti, risulta sufficientemente motivata contenendo una
succinta descrizione del fatto (deducibile dal capo d’imputazione); l’affermazione
della correttezza della qualificazione giuridica di esso; il richiamo all’art. 129
cod.proc.pen., per escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste;
l’affermazione della congruità della pena patteggiata.
La decisione in ordine alla inammissibilità del ricorso deve essere adottata “de
plano” poiché l’art. 610, comma 5 bis, cod. proc. pen. prevede espressamente
quale unico modello procedimentale per la dichiarazione di inammissibilità del
ricorso avverso la sentenza di applicazione della pena, la dichiarazione senza
formalità.
2. Alla inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte
Costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi
per ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell’art. 616, cod.
proc. pen. l’onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle
Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del
ricorso stesso, nella misura di euro 4.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della cassa delle
ammende.
In Roma, così deciso il 23 marzo 2018
Il Consigliere estensore
ariarosaria Bruno

s Izzo

Motivi della decisione

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