Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18427 del 23/03/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18427 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CARDACI FRANCO nato il 21/01/1951 a ATTIMIS

avverso l’ordinanza del 13/09/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA MONTAGNI;
lette le conclusioni del PG MARIO PINELLI che ha chiesto l’annullamento con
rinvio dell’ordinanza impugnata

Data Udienza: 23/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe rigettava
la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione formulata da Cardaci Franco, in
riferimento alla misura cautelare custodiale subita dal 22.02.2010 al 16.03.2010 in
regime carcerario; e, da tale data sino al 9.07.2010, in regime di cattività
domestica. Le misure furono applicate nei confronti del Maresciallo della Guardia di

dazione di denaro per impedire un approfondimento del controllo effettuato dalla
Guardia di Finanza nei confronti di Falbo Oreste. Il provvedimento cautelare
genetico era stato emesso dal G.i.p. del Tribunale di Siracusa e confermato dal
tribunale del riesame solo in riferimento al richiamato episodio. La misura venne
invece revocata dal G.i.p. del Tribunale di Milano, al quale gli atti erano stati
trasmessi per competenza territoriale.
La Corte di Appello, dato atto della pronuncia assolutoria di merito resa dalla
Corte territoriale nei confronti del Cardaci in data 29.11.2012, divenuta
irrevocabile, rilevava la sussistenza di fattori colposi ostativi al riconoscimento
dell’indennizzo, tenuto conto del comportamento posto in essere dall’esponente che
aveva palesato un indebito interessamento rispetto alla delicata verifica fiscale che
era stata assegnata ad altro collega, nei confronti del Falbo.

2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Milano ha
proposto ricorso per cassazione Cardaci Franco, a mezzo del difensore.
Con il primo motivo l’esponente denuncia la violazione del diritto ad un giusto
processo. Ciò in quanto la Corte di Appello, quale giudice della riparazione, non ha
trattato il procedimento in pubblica udienza.
La parte richiama i principi espressi dalla Corte EDU sulla pubblicità del
giudizio; e si sofferma sull’ordinanza con la quale le Sezioni Unite hanno sollevato
incidente di costituzionalità dell’art. 315, comma 3, cod. proc. pen.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 314 cod.
proc. pen. ed il vizio di motivazione.
Dopo essersi soffermato sulle valutazioni espresse nel procedimento di
merito rispetto alle diverse imputazioni contestate al Cardaci, il ricorrente osserva
che erroneamente la Corte di Appello ha ravvisato nella condotta del prevenuto gli
estremi della colpa grave. A sostegno dell’assunto, nel ricorso vengono richiamate
le valutazioni espresse nel giudizio di cognizione dal giudice di secondo grado,
conducenti alla pronuncia della sentenza assolutoria, per insussistenza del fatto.
Il ricorrente deduce la superficialità della valutazione espressa dal giudice
della riparazione, atteso che la condotta del Cardaci non ebbe a creare alcuna
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Finanza Cardaci in riferimento all’imputazione di aver accettato la promessa di una

apparenza di reato. Osserva che Cardaci ha sempre affermato di aver avuto un
incontro con Falbo allo scopo di tranquillizzare il contribuente in relazione
all’accertamento al quale era sottoposta la società. Sottolinea che la verifica era di
competenza del solo Ganci; e che il presunto accordo corruttivo emergeva da mere
ipotesi.
Con il terzo motivo viene denunciato il vizio di motivazione in ordine al
requisito della colpa grave. Osserva che non è sufficiente un comportamento

comportamenti improntati a macroscopica leggerezza idonei ad essere interpretati
nella fase iniziale delle indagini come concorso nel reato. E sottolinea che non
integrano la colpa grave condotte che possono apparire sospette.

3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, ha chiesto che la Suprema
Corte annulli il provvedimento impugnato. Rileva che la Corte di Appello ha omesso
ogni considerazione rispetto ai capi Q) e U), i quali pure erano stati valorizzati
nell’apprezzamento della gravità indiziaria. Quanto al capo S), il Procuratore
Generale rileva che la motivazione risulta alquanto scarna, incongrua e travisante,
giacché le circostanze di fatto richiamate – ingresso del Cardaci nella stanza ove il
collega stava verbalizzando le dichiarazioni di Falbo; l’intervenuto incontro tra
Cardaci e Falbo – non chiariscono quale sia il comportamento gravemente colposo
che abbia indotto in errore l’autorità giudiziaria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Come noto, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno
rilevato che il procedimento per la trattazione, in sede di legittimità, dei ricorsi in
materia di riparazione per l’ingiusta detenzione (camera di consiglio non
partecipata) non trova ostacolo nella sentenza 10 aprile 2012 della Corte europea
per i diritti dell’uomo, nel caso Lorenzetti c. Italia, in quanto tale pronuncia,
nell’affermare la necessità che al soggetto interessato possa quanto meno essere
offerta la possibilità di richiedere una trattazione in pubblica udienza, non si
riferisce al giudizio innanzi alla Corte di cassazione (Sez. U, n. 41694 del
18/10/2012 – dep. 25/10/2012, Nicosia, Rv. 25328901).
Nel caso citato, le Sezioni Unite ebbero peraltro a dichiarare rilevante e non
manifestamente infondata la diversa questione relativa al dubbio di legittimità
costituzionale dell’art. 315, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui non
consente che, su istanza degli interessati, il procedimento per la riparazione

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genericamente riprovevole, essendo necessario che il richiedente abbia tenuto

dell’ingiusta detenzione si svolga avanti alla corte di appello nelle forme dell’udienza
pubblica.
La Corte Costituzionale, con sentenza del 2013 n. 214, ha dichiarato
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 315, comma 3, in
relazione all’articolo 646, comma 1, del codice di procedura penale sollevata, in
riferimento agli articoli 111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione,
dalle Sezioni unite della Corte di cassazione. Il Giudice delle leggi ha in particolare
considerato che la parte privata, nell’ambito di quel procedimento, non aveva mai

chiesto la trattazione in udienza pubblica, nei gradi di merito; ed ha ritenuto detta
evenienza chiaramente dimostrativa della carenza di interesse allo svolgimento in
forma pubblica del giudizio.
E bene, i principi di diritto ora richiamati conducono ad apprezzare
l’inammissibilità del motivo in esame. Invero, non risulta che Cardaci abbia chiesto
avanti alla Corte di Appello la celebrazione del procedimento nelle forme
dell’udienza pubblica; conseguentemente, il motivo è inammissibile, risolvendosi
nella richiesta di una astratta valutazione in punto di diritto della disciplina di cui
all’art. 315, comma 3, cod. proc. pen., da parte della Corte regolatrice, laddove,
secondo diritto vivente, l’ordinamento non tutela un interesse meramente teorico e
formale all’esattezza della decisione (Sez. 5, n. 46151 del 15/10/2003, Acunzo, Rv.
22786001; Sez. 6, Sentenza n. 50980 del 21/11/2013, Rv. 258502).

2. Il secondo ed il terzo motivo, che si esaminano congiuntamente, sono
infondati.
Giova ricordare che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il
giudice, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa
con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli
elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di
condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione
di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che,
se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice
deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta
tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine
di stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico motivazionale del
tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale
condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia
ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Sez. U, Sentenza n. 34559 del
26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263). Sul punto, si è rilevato che il giudizio
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per la riparazione dell’ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio
penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi, che possono portare a
conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito
agli atti ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di
valutazione differenti (Sez. 4, Sentenza n. 39500 del 18/06/2013,
dep. 24/09/2013, Rv. 256764).
Preme pure evidenziare che le Sezioni Unite della Suprema Corte di

ingiusta detenzione, che risulta evidente l’avvicinamento fra le ipotesi di cui all’art.
314 cod. proc. pen., commi 1 e 2, sotto il profilo della possibile comune derivazione
della “ingiustizia” della misura da elementi emersi successivamente al momento
della sua applicazione; che l’elemento della accertata “ingiustizia” della custodia
patita, che caratterizza entrambe le ipotesi del diritto alla equa riparazione (diverse
solo per le ragioni che integrano l’ingiustizia stessa) ne disvela il comune
fondamento e ne impone una comune disciplina quanto alle condizioni che ne
legittimano il riconoscimento; e che tale ricostruzione, conforme alla logica del
principio solidaristico, implica, l’oggettiva inerenza al diritto in questione, in ogni
sua estrinsecazione “del limite della non interferenza causale della condotta del
soggetto passivo della custodia” (Sez. U, Sentenza n. 32383 del 27.05.2010, Rv.
247663). Le Sezioni unite, nella sentenza ora richiamata, hanno quindi evidenziato
che risulta legittima una disciplina normativa che preveda l’esclusione dal beneficio
in esame di chi, avendo contribuito con la sua condotta a causare la restrizione, non
possa esserne considerato propriamente “vittima”.
Tanto premesso, occorre considerare che la giurisprudenza di legittimità
risulta consolidata nel rilevare che condotte sinergicamente rilevanti, rispetto alla
cautela sofferta, possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o
trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o
di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi)
che non siano state escluse dal giudice della cognizione.
A tal fine, nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si
sia sostanziata nella consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel
porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella
criminale (Sez. 4, Sentenza n. 4159 del 09/12/2008, dep. 28/01/2009, Rv.
242760).
2.1. Orbene, la valutazione espressa nel caso di specie dalla Corte territoriale
si colloca nell’alveo dell’insegnamento ora richiamato.
Il percorso argomentativo sviluppato dal giudice della riparazione è
schematizzabile nei termini che seguono.

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Cassazione hanno chiarito, nell’esaminare funditus l’istituto della riparazione per

La Corte di Appello, soffermandosi sull’unico episodio per il quale sono state
applicate le misure cautelari – ed infatti oggetto delle censure dedotte dal ricorrente
– ha osservato che il comportamento posto in essere dal pubblico ufficiale aveva
evidenziato un indebito interessamento rispetto alla delicata verifica fiscale nei
confronti del Falbo, che era stata assegnata ad altro collega.
Segnatamente, il Collegio ha rilevato che Cardaci aveva intrattenuto rapporti
con Falbo, durante la verifica fiscale a carico di quest’ultimo. Al riguardo,

Cardaci e altra persona, aventi ad oggetto proprio la predetta verifica fiscale.
Inoltre, il Giudice della riparazione ha considerato che Cardaci era entrato
nell’ufficio del collega incaricato della verifica, proprio nel momento in cui era in
corso la verbalizzazione delle dichiarazioni del Falbo.
E bene: l’ordinanza impugnata ha osservato che Cardaci aveva
imprudentemente posto in essere le richiamate plurime forme di interessamento
alla delicata verifica fiscale in atto nei confronti del Falbo; che in tal modo il
ricorrente aveva realizzato l’apparenza di un rapporto collusivo tra il pubblico
ufficiale ed il contribuente; e che tale evenienza aveva avuto un ruolo sinergico,
rispetto all’operato dell’autorità giudiziaria che aveva adottato la misura custodiale.
Preme poi rilevare che la Corte di Appello ha del tutto legittimamente
considerato che i fatti accertati in sede di cognizione, se pure conducenti ad una
pronuncia assolutoria di merito, attestavano che il comportamento del Cardaci
aveva lasciato supporre agli inquirenti il suo pieno coinvolgimento nel reato
ascrittogli.

3. Deve, infine, considerarsi che il sindacato del giudice di legittimità sul
provvedimento che rigetta o accoglie la richiesta di riparazione è, d’altra parte,
limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico attraverso cui il giudice di
merito è pervenuto alla decisione; mentre resta di esclusiva pertinenza di
quest’ultimo la valutazione dell’esistenza e dell’incidenza della colpa o dell’esistenza
del dolo. Anche in ragione di ciò, l’ordinanza in esame non merita di essere
censurata, essendo la decisione impugnata del tutto coerente rispetto alle
circostanze emerse nella sede processuale, correttamente valutate dalla Corte
territoriale e perfettamente in linea con i principi di diritto affermati da questa
Suprema Corte, in tema di riparazione.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

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nell’ordinanza si sottolinea che erano stati organizzati appositi incontri, tra Falbo

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23 marzo 2018.
Il Consigliere estensore

Andrea Montagni

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