Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18410 del 09/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18410 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
n. il 4 luglio 1965

Vestita Ciro

avverso
la sentenza 6 febbraio 2012 — Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto;
sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarisi;
udite le conclusioni del rappresentante del Pubblico Ministero, in persona del dr.
Francesco Mauro Iacoviello, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla
Cassa delle Ammende;
udito il difensore avv. Biagio Leuzzi, che ha concluso per raccoglimento dei motivi
di ricorso.

Data Udienza: 09/04/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Svolgimento del processo
1. — Con sentenza deliberata in data 6 febbraio 2012, depositata in cancelleria
il 3 maggio 2012, la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermava la sentenza 22 marzo 2011 del Tribunale di Taranto che aveva dichiarato
Vestita Ciro responsabile del reato di detenzione e porto in luogo pubblico di una
pistola e di tentato omicidio nei confronti di De Leonardis Donato che attingeva alla

to il vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod pen., applicate le attenuanti generiche ex art. 62 bis cod pen. e applicata infine la diminuente del rito abbreviato,
alla pena di anni quattro, mesi dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese
processuali del giudizio, condannandolo altresì al risarcimento del danno in favore
della costituita parte civile e alle relative spese processuali del grado.
1.1. — Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata Vestita
Ciro minacciava con una pistola Tanana Lidia, colpevole, a suo dire, di aver riferito
alla moglie del prevenuto la relazione extraconiugale di quest’ultimo con altra cittadina rumena. Inoltre, per le stesse ragioni, dopo un violento alterco, attingeva con
un coltello da cucina De Leonardis Donato, amico della Tanana, ritenuto dall’imputato parimenti responsabile dell’accaduto, cagionandogli le lesioni personali meglio descritte nel capo di imputazione.
1.2. — Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del
giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito dalle dichiarazioni dei testimoni escussi Cotea Alexandru Ionut e Manolache Fane, rispettivamente fratello e
cognato della Tanana, che avevano assistito alla minaccia esercitata dal prevenuto
con la pistola, nonché dalle dichiarazioni delle due parti lese e dal referto medico in
atti.
2. — Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Biagio
Leuzzi, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione Vestita Ciro chiedendone
l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali. In particolare sono stati
sviluppati dal ricorrente quattro motivi di gravame:
a) con il primo motivo di doglianza veniva rilevata la violazione dei canoni valutativi della prova avendo la Corte di merito ritenuto integrata la dimostrazione che
l’imputato in data 14 luglio 2009, nel corso della minaccia alla Tanana, avesse utilizzato un’arma vera e non giocattolo, non essendo attendibili sul punto le afferma-

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gamba destra e al braccio sinistro con un coltello da cucina, condannandolo, ritenu-

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

zioni della parte lesa che non poteva essere in grado di appurarne le caratteristiche;
b) con il secondo motivo di doglianza veniva censurato il fatto che il giudice del
merito avesse ritenuto non assorbito il reato di detenzione in quello di porto illegale
di arma non essendovi prova che il ricorrente abbia detenuto l’arma per un periodo

c) con il terzo motivo di doglianza la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto
Integrato il reato di tentato omicidio; la direzione dei colpi a parti basse del corpo
dimostrava il mero animus laedenclí del prevenuto; se il prevenuto avesse voluto
davvero uccidere, vista la distanza ravvicinata con la vittima, avrebbe potuto farlo
senza difficoltà;
d) con il quarto motivo di doglianza veniva censurata la condanna dell’imputato
al risarcimento in favore della parte offesa pur avendo dato in sentenza dell’intervenuta revoca della costituzione di parte civile ai sensi dell’art. 82 cod. proc. pen..

Motivi della decisione
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3. — Deve innanzitutto premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dal ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione
con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e
giuridiche pienamente concordanti, di talché — sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte — deve ritenersi che la motivazione della
prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo
argomentativo e un tutto unico e inscindibile (cfr. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1992,
Ballan ed altri e, da ultimo, Sez. 1, 21 marzo 1997, Greco ed altri; Sez. 1, 4 aprile
1997, Proietti ed altri).
3.1 — Ciò posto il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve
essere dichiarato inammissibile. Le doglianze difensive costituiscono nella sostanza
eccezioni in punto di fatto, poiché non inerenti a errori di diritto o vizi logici della
decisione impugnata ovvero in travisamento della prova, ma alle valutazioni operate dai giudici di merito. Si chiede, in realtà, al giudice di legittimità una rilettura degli atti probatori, per pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi, più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente. Trattasi di censura non consentita in sede di

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che non fosse temporalmente coincidente con l’episodio di cui trattasi;

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legittimità perché in violazione della disciplina di cui all’art. 606 cod. proc. pen.
(Giurisprudenza consolidata: Cass., Sez. Un. 2 luglio 1997, n. 6402, rv. 207944;
Sez. Un. 29 gennaio 1996, n. 930, rv. 203428; Sez. 1, 6 maggio 1998, n. 5285, rv.
210543; Sez. 5, 31 gennaio 2000, n. 1004, rv. 215745; Sez. 5, ord. 14 aprile
2006, n. 13648, n/. 233381). Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la
Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustifica-

senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass., Sez. 4, 28 settembre 2004, n.
47891, rv. 230568; Sez. 5, 30 novembre 999, n. 1004, rv. 215745; Sez. 2, 21 dicembre 1993, n. 2436, rv. 196955). Il giudice del merito, con argomentazioni esaustive, compiute e prive di vizi logici e giuridici, ha affrontato tutte le tematiche
agitate in giudizio e proposte nel gravame di appello esprimendo valutazioni pertinenti oltre che connesse ad uno scrutinio analitico del compendio di prova resosi
disponibile in giudizio di cui ha dato, nella parte motivazionale, sufficiente contezza.
E, come ben posto in evidenza dal giudice del merito con argomentazioni immuni da vizi logici e giuridici e dunque non censurabili In questa sede, la Tanana,
quando è stata minacciata, si è trovata nelle condizioni di potersi avvedere se l’arma in questione fosse o meno vera, non solo perché le era stata puntata addosso,
ma proprio perché, avendo espresso una valutazione sinestesica (la pistola era pesante e fredda) aveva avuto modo, ancorché per pochi attimi, di afferrare l’arma
medesima per la canna, evidentemente in un gesto istintivo di difesa, ovvero quantomeno di sentirla sulla pelle nella sua consistenza. Le qualità di pesantezza e di
freddezza (le pistole giocattolo sono di plastica sicché non sono né fredde né pesanti) come implicitamente fatto valere dalla Corte territoriale, sono compatibili solo
con armi vere, come del resto faceva pensare l’assenza del tappo rosso. Spettava a
questo punto semmai al prevenuto addurre prove che avversassero quelle offerte
dall’accusa mettendo magari a disposizione l’arma giocattolo in questione, se esistente.
3.2 — Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato.
3.2.1 — Occorre osservare che le norme incriminatrici della detenzione e del
porto (illegale) d’arma non si trovano in rapporto di specialità tra loro e, di regola,
concorrono. Vi può essere assorbimento nel solo caso in cui si riscontri piena coincidenza temporale tra la detenzione e il porto della medesima arma. Tale ipotesi è

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zione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il

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peraltro residuale e, anche in pura linea di fatto, non rispondente all’id quod pie-

rumque accidit, poiché è normale che l’agente acquisti prima la disponibilità dell’arma e poi, in relazione a situazioni contingenti sopravvenute, la porti con sé. Ne
segue che solo l’acquisita prova del contrario può giustificare l’assorbimento; in
proposito non si configura un onere probatorio a carico dell’imputato, incompatibile
con il sistema processuale, ma bensì un onere di allegazione, nel senso che, in
mancanza di specifica deduzione della concreta contemporaneità delle due condot-

la normale anteriorità della detenzione sul porto (cfr. Cass., Sez. 1, 20 dicembre
2001, n. 4490, rv. 220647, Lo Russo; Sez. 1, 11 giugno 1996, Zavettieri).
3.3 — Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione.
3.3A — Per giurisprudenza costante di questa Corte, ai fini della diversa definizione del fatto materiale nel reato di lesione personale e in quello dì tentato omicidio — così come avviene in genere per tutti i casi di reato progressivo — deve aversi riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell’agente, che alla differente potenzialità dell’azione lesiva. Nel primo reato l’azione esaurisce la sua carica
offensiva nell’evento prodotto, mentre nel secondo vi si aggiunge un quid pluris
che, andando al di là dell’evento realizzato, tende ed è idoneo a causarne uno più
grave in danno dello stesso bene giuridico o di un bene giuridico superiore, riguardanti Il medesimo soggetto passivo, non riuscendo tuttavia a cagionarlo per ragioni
estranee alla volontà dell’agente (Cass., Sez. 1, 20 maggio 1987, Incamicia, rv.
177610).
3.3.2 — Il giudice di secondo grado è stato ossequioso di questi principi avendo
esaustivamente dato conto delle ragioni della mancata derubricazione del fatto,
giuste le considerazioni esposte in punto di sede corporea attinta dal prevenuto (alla gamba, ma anche al braccio, da ritenersi tipica lesione da difesa), dell’idoneità
dell’arma impiegata (un coltello da cucina con lama lunga 30 cm), della reiterazione dei colpi assestati alla vittima, nonché delle stesse modalità reiterative dell’atto
lesivo, traendone un convincimento non contraddittorio e logico. In particolare il
giudice del merito ha fatto valere una valutazione ex ante in coordinazione di tutti
gli altri elementi circostanziali del fatto ravvisando la sussistenza di indici di alta potenzialità lesiva e dunque di sussistenza dell’animus necandi in ottemperanza del
resto del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui in tema omicidio volontario, in mancanza di circostanze che evidenzino ictu °culi l’ani-

mus necandi, la valutazione dell’esistenza del dolo omicidiario può essere raggiunta

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te, il giudice non è tenuto a effettuare verifiche e può attenersi al criterio logico del-

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attraverso un procedimento logico d’Induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati,
la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l’azione cruenta (Cass., Sez. 1,
8 giugno 2007, n. 28175, Marin, rv. 237177) così come puntualmente è stato fatto.
3.4 — Il quarto motivo di ricorso è invece fondato.

condo cui, ai sensi dell’art. 541 cod. proc. pen., il giudice condanna l’imputato al
pagamento delle spese processuali in favore della parte civile con la sentenza che
accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno. Da questa massima si inferisce che, nel momento in cui il giudice accerta la revoca della costituzione di parte civile per espressa rinuncia o per mancanza di presentazione, deve omettere la pronuncia in ordine al risarcimento del danno e astenersi altresì anche
dalla condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di costituzione e difesa della
parte civile, perché una tale pronuncia è consentita soltanto in caso di condanna
dell’imputato al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile (Cass., Sez. 5, 3 giugno 2010, n. 26192, rv. 247904, Granata; n. 12447 del 1990 rv. 185345, n. 7297
del 1998 rv. 209602).
Nella fattispecie, per contro, il giudice dl appello nonostante abbia dato atto im
sentenza che l’imputato aveva depositato un assegno a titolo risarcitorio e che la
parte civile De Leonardis aveva per questo rinunciato alla costituzione di parte civile, ha ugualmente condannato il Vestita sia al risarcimento che a rifondere le spese
giudiziali.
4. — Ne consegue che deve adottarsi pronunzia ai sensi dell’art. 620 cod. proc.
pen. come da dispositivo

per questi motivi
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili,
che elimina; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 9 aprile 2013

onsigliere estensore

Il Presidente

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3.4.1 — Sul punto deve richiamarsi il consolidato principio giurisprudenziale se-

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