Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18398 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18398 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TREBISACCE FRANCO N. IL 08/06/1972
avverso la sentenza n. 6342/2011 CORTE APPELLO di TORINO, del
10/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO B9III1O
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
t-e`L c-62che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 05/04/2013

1. Verso le ore 21 del 24 gennaio 2010, in Novara Veveri,
all’interno di un piazzale adibito a parcheggio delle ditte di
autotrasporti Intermodal Trasporti srl e PRC Trasporti srl, si
sviluppava un violento incendio, di origine dolosa, che cagionava la
completa distruzione di sette motrici e di una gru di proprietà di
quest’ultima ditta.
Della condotta, ai sensi degli artt. 99 co. 4, 110 e 423 c.p., veniva
accusato, in concorso con tale Ascone Francesco, non appellante,
Trebisacce Franco, il quale con sentenza del 30 giugno 2011 veniva
condannato dal Tribunale di Novara alla pena di anni sei di
reclusione. A carico dell’imputato il Tribunale poneva una serie di
indizi considerati gravi, precisi e concordanti. In particolare i
tabulati telefonici, che comproverebbero la presenza dell’imputato
in prossimità del piazzale della società p.l. in orario corrispondente
a quello dell’incendio, la presenza del complice Ascone negli stessi
luoghi ed alla stessa ora, le fitte telefonate intercorse tra i due delle
quali cinque tra le 21.02 e le 21.13, telefonate delle quali i due non
hanno saputo dare alcuna giustificazione. Di valore indiziario
ritenevano altresì i giudicanti un precedente specifico del
Trebisacce per incendio e la sua frequentazione con tale Fuscaldo
Massimo, “noto per attività incendiarie”. Ulteriori prove indiziarie a
sostegno della condanna venivano tratte dal rinvenimento di una
traccia ematica su una delle taniche ritrovate sui mezzi incendiati,
riferita all’imputato in forza di comparazione del DNA, nonchè dal
ritrovamento presso il magazzino dell’imputato di alcuni nidi di
fibra di juta del tutto simile a quelli rinvenuti presso le taniche
anzidette sul luogo dell’incendio. I giudicanti valorizzavano altresì,
quale ulteriore acquisizione indiziaria, la testimonianza di Serio
Patrizia, convivente dell’imputato, che ha riferito confidenze
dell’imputato, il quale con lei si sarebbe autoaccusato dell’azione
incendiaria. Il Tribunale, infine, individuava il movente del delitto
in ragioni di concorrenza e cioè nell’intento dell’imputato di
favorire la ditta di autotrasporti del padre, peraltro del tutto estraneo
alla vicenda secondo la stessa ricostruzione dei giudicanti, ditta
paterna con la quale aveva avuto rapporti commerciali una società
olandese che però, pochi giorni prima dei fatti di causa, aveva
concluso un ricco contratto proprio con la società danneggiata.
2. Avverso la pronuncia di prime cure proponeva appello l’imputato
contestando punto per punto le risultanze indiziarie valorizzate dal

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

3. Ricorre per cassazione l’imputato impugnando la sentenza di
appello con ricorso del difensore di fiducia avv. Barbara Cocco, con
un secondo ricorso a cura del difensore di fiducia avv. Giovanni
Aricò e con motivi personali aggiunti.
I tre atti di impugnazione possono essere cumulativamente
sintetizzati dappoichè, ancorchè con alcune differenze che saranno
puntualmente riportate, affrontano tutti, con la sola eccezione del
primo motivo dell’avv. Cocco di cui si tratterà distintamente, i
singoli indizi posti a fondamento del giudizio di colpevolezza e la
questione giuridica relativa alla valutazione della prova indiziaria
nella duplice prospettiva del vizio di motivazione e della violazione
di legge (art. 192 c.p.p., co. 2).
3.1 I tabulati telefonici: i giudici di merito hanno tratto la
convinzione della comune presenza del ricorrente e dell’Ascone,
individuato come suo complice, dalle telefonate intercorse tra i due
la sera dei fatti ed in particolare quelle in numero di cinque

tribunale. Innanzitutto evidenziava la difesa appellante: la condotta
incendiaria andava collocata assai prima dell’intervento dei vigili
del fuoco, avvenuto alle 21.08 quando l’incendio aveva ormai
assunto notevoli dimensioni; le telefonate non provano affatto la
contiguità dell’imputato nei pressi del luogo del delitto, sia perché
per alcune sono agganciate celle diverse da quelle a servizio della
zona del delitto, sia perché con l’Ascone, prima e dopo il delitto, i
contatti risultano frequenti; i nidi di juta che si assumono ritrovati
sul luogo dell’incendio non sono stati analizzati, risultano bruciati e
polverizzati e comunque non sono più riconoscibili; le tracce
ematiche hanno dimostrato soltanto la compatibilità di una di esse
con il profilo genetico del Trebisacce e non già la sua
identificazione ed il processo ha provato con testi che presso
l’azienda paterna del Trebisacce vi erano stati furti di materiale; il
movente è smentito dal padre dell’imputato, il quale ha dichiarato e
dimostrato di aver saputo del contratto della società olandese dopo
l’incendio; inoltre tra la ditta danneggiata e quella del Trebisacce
padre non v’era concorrenza e l’imputato, il quale non si
interessava della società paterna, non poteva sapere del contratto
commerciale evocato come movente del delitto; le dichiarazioni di
Serio Patrizia sono inaffidabili, posto che la stessa ha già accusato
falsamente, di altro, l’imputato, che con lettera si è rimangiata le
accuse confessando il suo malanimo al momento delle dichiarazioni
accusatorie e che risulta accertato a suo carico una psicopatologia
con atteggiamento ostile ed aggressivo verso l’imputato.
La Corte di merito, con sentenza del 10 febbraio 2012, respingeva
come infondate le tesi difensive e confermava la sentenza appellata.

scambiate tra i due nell’intervallo tra le ore 21.02 e 21.13; le
conclusione collegate dai decidenti a tale dato contrasta però con
altre acquisizioni processuali di maggiore certezza e precisione,
quali l’avvistamento dell’incendio alle ore 20,55 da parte del teste
Marotta, la testimonianza di quest’ultimo circa l’assenza di persone
sconosciute sul posto, l’analoga testimonianza dei VV.FF.,
l’ampiezza del cono di ricezione delle celle interessate dalle
intercettazioni (non considerata in motivazione nonostante i rilievi
difensivi sul punto), la circostanza che Ascone è stato assolto dal
concorso nel reato contestato all’attuale imputato all’esito di
giudizio abbreviato con sentenza ormai definitiva; al fine di forzare
la significatività degli esiti dei tabulati i giudicanti hanno dovuto di
necessità fare ricorso ai c.d. “rimbalzi” tra una cella e l’altra,
peraltro utilizzati in motivazione sempre contra reum e cioè senza
considerare la possibilità di rimbalzi contrari dalla cella lontana a
quella vicina; all’indizio in parola comunque, attese le incertezze
evidenziate, non può essere riconosciuto né certezza né precisione.
3.2 L’azione incendiaria: contrariamente a quanto argomentato dai
giudici di merito, i quali accreditano una sicura ricostruzione
dell’azione incendiaria, deve invece osservarsi che nel caso in
esame non è stata eseguita una perizia su come si sviluppò
l’incendio, non sono stati analizzati nè il liquido, né gli inneschi,
non si conosce per questo quando l’incendio è iniziato ed in quanto
tempo si è sviluppato; posto che l’Ascone è stato assolto dallo
stesso reato (circostanza questa sulla quale la corte di merito tace
del tutto) e che eventuali altri complici non sono stati individuati, i
giudici di merito avrebbero dovuto valutare la fattibilità dell’azione
incendiaria e la relativa tempistica in relazione alle singole e sole
possibilità del Trebisacce; di qui anche l’importanze dei tempi: alle
20,16 l’imputato aggancia una cella a servizio del centro di Novara
distante 4.6 km dal luogo del delitto, i VV.FF. sono stati chiamati la
prima volta alle ore 20,58, ora in cui per il teste Marotta le fiamme
erano già alte, i VV.FF. arrivano sul posto alle 21.08 e per il vigile
Rosa l’incendio è iniziato 30 minuti forse 60 minuti prima; a tutto
concedere pertanto, e scartando l’ipotesi dei 60 minuti ancorchè la
più favorevole all’imputato, il Trebisacce avrebbe dovuto essere
presente sul luogo dell’incendio alle ore 20,25 e da solo, in
pochissimi minuti, avrebbe dovuto caricarsi, da un mezzo
certamente non vicinissimo all’obbiettivo, di dieci taniche di
benzina contenente ciascuna dieci litri di combustibile, trasportarle
presso dieci automezzi distanti l’uno dall’altro, forzarne le
serrature, preparare, uno per uno, gli inneschi, far esplodere, mezzo
per mezzo, le taniche ed appiccare il fuoco; l’imputato, trasformato
dalla Corte di merito, con palese travisamento della prova, in un

atletico giovanotto, è in realtà persona affetta da patologie alla
schiena (tanto che per questo dovette cambiare lavoro)
chirurgicamente trattate e da altre patologie alle ginocchia per il
passato lavoro di piastrellista; in queste condizioni dopo le 20,25,
possibile orario di arrivo da Novara, in pochissimi minuti, non più
di dieci, avrebbe da solo eseguito tutte le operazioni innanzi
descritte (il trasporto delle taniche ha comportato non meno di
cinque tornate); Trebisacce è stato indagato soltanto perché indicato
da fonte confidenziale, mentre v’è il dato oggettivo che a distanza
di pochi giorni, negli stessi luoghi, si sono verificati due incendi ai
danni di due diverse imprese concorrenti e per uno di questi vi è un
imputato, tale Cavalieri Alessandro, invano indicato dalla difesa
all’attenzione degli inquirenti prima e dei giudicanti dopo.
3.3 I fili di juta: risultano valorizzati i fili di juta sequestrati al
Trebisacce nel corso di una perquisizione a suo carico perché
ritenuti compatibili con materiale repertato sul luogo dell’incendio,
giudizio di compatibilità formulato sulla base di semplice esame
visivo da parte della P.G., dappoichè il materiale repertato, il
mattino successivo, risultò polverizzato; sul punto si è dato valore,
irritualmente, al giudizio del teste, il quale deve invece nel processo
riferire fatti e non esprimere giudizi.
3.4 L’esame del DNA: non è stata valorizzata la circostanza che
l’imputato si è sottoposto volontariamente all’esame del DNA, i
testi escussi hanno confermato che le taniche simili a quella
repertata con la traccia ematica ritenuta compatibile con l’imputato
erano depositate in quantità sul piazzale della ditta paterna
dell’imputato, luogo aperto per esigenze aziendali ed oggetto di
continue azioni predatorie; altro teste, tale Minniti, ha altresì
rammentato che in una certa occasione, insieme all’imputato, si era
portato nel pollaio notando una sua ferita al naso; la tanica, inoltre,
non recava impronte ed aveva tracce ematiche non umane; non è
stata adeguatamente motivata l’esclusione della spiegazione
alternativa fornita dall’imputato, nonostante il riconoscimento in
sentenza della plausibilità in astratto della versione difensiva,
giudizio quest’ultimo che rafforza tale versione alternativa.
3.5 Il movente: sul movente occorre registrare che la valutazione di
incertezza di esso espresso in prime cure è divenuta certezza
indiziaria in grado di appello; la motivazione articolata sul punto
dalla corte distrettuale è però in contrasto con le acquisizioni
processuali; l’imputato non si è mai occupato della gestione
aziendale, alla quale si dedicava il padre, persona unanimemente
riconosciuta come integerrima; la ditta Trebisacce lavorava e
continuava a lavorare per la ditta olandese Van Den Bosh ed il
contratto con la ditta concorrente evocato come movente della
4

reazione dell’imputato, non aveva alcun rilievo per la ditta
Trebisacce, dappoichè riguardava il trasporto di liquidi, non
eseguito dalla ditta Trebisacce perché necessari automezzi
particolari non in possesso della ditta, la quale infatti si occupava
del trasporto di solidi; nessuno poteva sapere del contratto concluso
tra la PRC e la ditta olandese perché immediatamente precedente
l’azione incendiaria; la forzata ricostruzione del movente si affida
ad una mera presunzione incerta, per questo estranea alla nozione
giuridica di indizio.
3.6 Le dichiarazioni di Serio Patrizia: le accuse della ex convivente
dell’imputato non possono essere considerate attendibili; la Serio ha
ritrattato con una lettera le accuse all’imputato ed in dibattimento,
smentendo la smentita, ha riferito tale ritrattazione ad altra accusa
di stalking rivolta al Trebisacce, accusa dalla quale l’accusato è
stato assolto; come ha mentito una volta, la Serio ha mentito anche
sulle accuse relative al fatto per cui è causa; le confidenze
dell’imputato alla Serio sarebbero avvenute all’interno della sua
abitazione quando erano in corso intercettazioni che non hanno
captato alcunché di quanto denunciato dalla teste; i fatti che si
assumono riferiti alla Serio da parte dell’imputato erano noti in
paese e tale circostanza è stata acquisita al processo attraverso
testimonianze numerose; l’imputato avrebbe riferito alla Serio
informazioni ricevute dalla P.G. quando fu trattenuto come
indiziato di reato, di guisa che quelle informazioni non erano
patrimonio esclusivo dell’imputato stesso; la Serio è affetta da
accertata psicopatologia.
3.7 Col primo motivo sviluppato dall’avv. Cocco, si denuncia
invece, in relazione alla lettera d) del primo comma dell’art. 606
c.p.p., la mancata acquisizione da parte della Corte dell’avviso al
difensore di ufficio relativo al’interrogatorio di Cavalieri
Alessandro, indagato per analoga condotta in danno di società
collegata alla PRC Trasporti s.r.1..
4. Il ricorso non è fondato.
4.1 Giova qui ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità
sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità
dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito
dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di
accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano
stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee
argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della
consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza
dei passaggi logici. Ne consegue che, ad una logica valutazione dei
fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità
5

opporne un’altra, ancorché altrettanto logica (Cass. 5.12.02
Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo).
Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle
argomentazioni difensive, giacché volte le medesime, a fronte di
un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice
territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova
indiziaria puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi
accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a
quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata.
4.2 1 giudici territoriali, del tutto logicamente, hanno ritenuto
convergenti verso il giudizio di colpevolezza del ricorrente per i
fatti dei quali è stato accusato, la sua presenza nei pressi dei luoghi
teatro dell’attentato incendiario, le nervose telefonate accavallatesi
nel corso dell’incendio con l’Ascone, la traccia di sangue lasciata su
una delle taniche rinvenute sui luoghi secondo gli esiti del DNA
riferibile al prevenuto, i fili di iuta rinvenuti sui luoghi dell’incendio
compatibili con quelli sequestrati nel corso di una perquisizione a
suo carico, le dichiarazioni della ex convivente, il movente indicato
dai giudicanti.
Per ognuno delle circostanze indiziarie appena indicate la difesa
dell’imputato ha sviluppato poderose argomentazioni contrarie,
tutte peraltro di palese evidenza di merito e mai incidenti in misura
risolutiva rispetto al giudizio sui medesimi espresso dai giudici
territoriali.
4.3 Priva di pregio è innanzitutto la ricostruzione alternativa dei
fatti di causa operata dalla difesa là dove pretende che gli esiti
processuali impongano di riferire al solo imputato la complessa
condotta incendiaria accertata dagli inquirenti e questo sul rilievo
argomentativo che l’Ascone, originariamente imputato del
medesimo reato in concorso con il Trebisacce, è stato assolto
definitivamente in separato giudizio da detta accusa e che altri
complici eventuali non sono stati identificati.
Quanto a detto ultimo rilievo appare agevole replicare che l’ipotesi
verosimile è che l’azione delittuosa sia stata consumata con
l’apporto di più persone e che quella accreditata difensivamente,
pur in astratto possibile, appartiene al novero delle ipotesi
estremamente improbabili e questo proprio per le puntuali
indicazioni difensive sulla complessità, l’onerosità e la molteplicità
delle operazioni eseguite dagli attentatori, così come puntualmente
annotato dalla corte distrettuale.
Quanto, invece, alla dedotta assoluzione dell’Ascone, si impongono
due rilievi. Per un verso va infatti osservato che la difesa ha
richiamato la pronuncia assolutoria senza esibirla agli atti, di guisa
che, a tacer d’altro, non è dato conoscere in forza di quale
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motivazioni l’imputato sia stato assolto. Per altro verso e quanto ai
profili di più squisita natura giuridica, aderisce il Collegio alla
lezione ermeneutica già da questa sezione applicata in passato,
secondo cui il giudicato penale formatosi nei confronti di taluno per
un certo fatto non vincola il giudice chiamato a rivalutare quel fatto
in relazione alla posizione di altri soggetti imputati quali
concorrenti nel medesimo reato; il che comporta, tra l’altro, che
qualora il giudicato sia stato di assoluzione, il giudice del separato
procedimento instaurato a carico del concorrente nel medesimo
reato può sottoporre a rivalutazione il comportamento dell’assolto
all’unico fine – fermo il divieto del “ne bis in idem” a tutela della
posizione di costui – di accertare la sussistenza ed il grado di
responsabilità dell’imputato da giudicare (Cass., Sez. I, 16/11/1998,
n. 12595, rv.211768). Nella stessa occasione la Corte ebbe modo di
precisare che l’acquisizione agli atti del procedimento, giusta quanto
previsto dall’art. 238 bis c.p.p., di sentenze divenute irrevocabili (e
detta acquisizione, giova ribadirlo, nella fattispecie è mancata) non
comporta, per il giudice di detto procedimento, alcun automatismo
nel recepimento e nell’utilizzazione ai fini decisori dei fatti nè, tanto
meno, dei giudizi di fatto contenuti nei passaggi argomentativi della
motivazione delle suddette sentenze, dovendosi al contrario ritenere
che quel giudice conservi integra l’autonomia e la libertà delle
operazioni logiche di accertamento e formulazione di giudizio a lui
istituzionalmente riservate (Cass., cit. 12595/98; Cass., Sez. III,
13/01/2009, n. 8823; Cass., Sez. VI, 12/11/2009, n. 47314; Cass.
pen., Sez. II, 28/02/2007, n. 16626).
Orbene, tanto premesso sul piano dei principi, ritiene il Collegio
che correttamente abbiano i giudici territoriali comunque accertata
la presenza dell’Ascone sui luoghi del delitto, il suo apporto
all’azione criminale, la significatività indiziaria delle telefonate
intercorse tra lo stesso e l’imputato e, con essi, la presenza di
almeno un terzo complice, ricostruzione questa, si ribadisce,
giuridicamente corretta e coerente, idonea a confutare ogni sforzo
difensivo volto a censurare la irragionevolezza di riferire al
Trebisacce e soltanto a lui tutto quanto accadde quella sera.
Anche sulle argomentazioni relative agli orari ed alle celle che
intercettarono le telefonate non risultano articolati argomenti
decisivi al fine di svalutare le motivazioni impugnate, giacché se il
Trebisacce non fu solo nell’agire criminoso, i tempi di preparazione
dell’attentato si riducono notevolmente, e, soprattutto, non
impongono la sua presenza sui luoghi necessariamente trenta minuti
prima dell’intervento dei VV.FF., le cui valutazioni, quanto al
momento iniziale dell’incendio, sono del tutto inutilizzabili quale
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presupposti di validi sillogismi logici dappoichè caratterizzate da
intrinseca genericità ed imprecisione.
Sul significato indiziario della traccia ematica e sugli esiti del DNA
ad essa riferita, non può non riconoscersi piena legittimità alle
valutazioni di inverosimiglianza e comunque di assai minore
valenza di credibilità espresse dai giudici territoriali sulle
giustificazioni difensive rispetto ai giudizi di merito espressi al
riguardo dai giudicanti.
In rifennento ai nidi di juta il processo ha registrato non già giudizi
di compatibilità espressi dalla P.G., comunque processualmente
apprezzabili in quanto tali, ma repertazioni fotografiche, dalle quali
quei giudizi appaiono fortemente riscontrati quanto meno al fine di
integrare in quel riconoscimento di compatibilità un apprezzabile
valore indiziario.
Anche in ordine al movente deve registrarsi una coerenza intrinseca
dell’argomentare impugnato, sia perché fortemente agganciato a
dati di fatto oggettivamente emersi nel processo, sia perché il
principale argomento contrario opposto difensivamente (i
Trebisacce non avevano mezzi per trasportare liquidi ed il contratto
concluso dagli “olandesi” con la ditta concorrente questo
comportava) si appalesa contrastante con le acquisizioni
processuali, dappoichè riferito dallo stesso titolare della ditta del
Trebisacce che erano in loro possesso almeno tre automezzi in
grado di trasportare liquidi.
Venendo infine alla valutazione probatoria delle dichiarazioni
accusatorie della ex convivente dell’imputato, anche in relazione ad
esse non può non rilevarsi come sul piano processuale si
confrontino opposte argomentazioni, quelle della motivazione
impugnata e quelle della difesa ricorrente, entrambe caratterizzate
da coerenza logica, di guisa che non può questa istanza di
legittimità ritenere né carente di motivazione né contra legem le
conclusioni assunte sul punto dalla corte distrettuale, vieppiù
rafforzandosi siffatta delibazione con la considerazione della non
decisività della prova indiziaria in argomento nel contesto di un
affollato compendio probatorio ancorchè di natura indiziaria.
5. Rimane da considerare il primo motivo articolato col ricorso a
cura dell’avv. Cocco con il quale si denuncia, ai sensi dell’art. 606
lett. d) c.p.p., la mancata acquisizione da parte della Corte
dell’avviso al difensore di ufficio relativo all’interrogatorio di tale
Cavalieri Alessandro, indagato per fatti relativi all’incendio
verificatosi il 31.12.2009 ai mezzi di una società collegata alla PRC
Trasporti, p.I. nel presente procedimento.

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Trattasi di censura manifestamente infondata dappoichè del tutto
generica nella rappresentazione della utilità processuale della
richiesta.
6. Alla stregua delle esposte considerazioni il rigetto deve essere
rigettato ed il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al
pagamento delle spese processuali.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali
Così deciso in Roma, addì 5 aprile 2013
Il cons. est.
Il Presidente

P. T. M.

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