Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18397 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18397 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
VENEZIA
nei confronti di:
BARBUTA IOAN GABRIEL N. IL 16/11/1974
avverso la sentenza n. 23/2009 CORTE ASSISE APPELLO di
VENEZIA, del 11/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/04/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO n
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.U(9….4a-c40
che ha concluso per .e (:)..t….u„
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 05/04/2013

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Alle ore 22,25 del 6 giugno 2007 i vigili del fuoco accorrevano
nel comune di Due Carrare, piccolo centro della provincia di
Padova, dove vicini di casa aveva segnalato la presenza di fiamme
nell’abitazione unifamiliare di Bissacco Guerrino. Gli operanti
provvedevano a domare l’incendio e nel corso delle operazioni
rinvenivano in una stanza da letto il cadavere semi carbonizzato del
padrone di casa, ancora in stato di combustione per i vestiti
impregnati di liquido accelerante indossati. Il successivo
sopralluogo consentiva di accertare il furto delle targhe
automobilistiche dell’autovettura della vittima ed il rinvenimento
dell’orologio, deformato dal calore delle fiamme, fermo alle ore
21,44. L’esame autoptico, infine, concludeva nel senso che la morte
era stata cagionata da soffocamento prima che il fuoco interessasse
il corpo della vittima. Le indagini immediatamente attivate
portavano gli inquirenti ad accusare dell’azione delittuosa Barbuta
Ioan Gabriel, cittadino rumeno, ospitato insieme alla madre, assunta
come badante, presso la famiglia Fornasiero, la cui abitazione dista
tre chilometri dal luogo del delitto.
A carico del Barbuta gli inquirenti ponevano una serie di indizi: la
presenza nei pressi del luogo del delitto nell’ora in cui questo
veniva consumato, la conoscenza dei luoghi e della vittima, la
circostanza che la notte del delitto il Barbuta non era rientrato a
casa, il rinvenimento -ad un mese dal delitto- nel cortile retrostante
la casa della vittima di un lucchetto forzato utilizzando la medesima
tecnica di scasso con la quale era stato forzato altro lucchetto
trovato nella cantina a servizio di tale Tufose Petronella, forzatura
sicuramente ascrivibile al Barbuta, il fallimento della prova d’alibi
fornita dall’interessato, il movente —a questi ascrivibile- dato dalla
volontà di rapire Tufose Petronella, la donna amata, per condurla in
Romania con una autovettura rubata per la quale occorrevano però
targhe pulite, come quelle sottratte al Bissacco ed asportate dalla
sua autovettura contestualmente alla consumazione dell’omicidio e
dell’ incendio.
1.2 Sulla base del ridetto quadro indiziarlo il Barbuta veniva
rinviato a giudizio per i reati di furto in abitazione, omicidio
volontario, incendio e vilipendio di cadavere e la Corte di assise di
Padova, con sentenza del 9 marzo 2009, assolveva l’imputato per
non aver commesso il fatto, argomentando, a sostegno
dell’assoluzione, che gli indizi raccolti non provavano al di là di
ogni ragionevole dubbio la colpevolezza del prevenuto.

1

Avverso la pronuncia di prime cure proponeva appello il
rappresentante della pubblica accusa, denunciando l’immotivato
svilimento dei precisi indizi raccolti a carico dell’imputato e la
Corte di assise di appello di Venezia, con sentenza del giorno 11
novembre 2011 rigettava l’impugnazione confermando la pronuncia
di prime cure con argomentazioni sostanzialmente analoghe a
quelle della corte di prime cure, in particolare assumendo la non
univocità degli indizi acquisiti a carico dell’imputato e
l’insufficienza dell’unico indizio processualmente rilevante, quello
dato dal fallimento della prova d’alibi.
2. Ricorre per cassazione avverso la sentenza di secondo grado il
Procuratore generale del distretto veneziano, denunciandone
l’illegittimità per violazione dell’art. 192 c.p.p. e difetto di
motivazione.
Dopo aver premesso sintetiche considerazioni sulla prova indiziaria,
lamenta in particolare il procuratore ricorrente: illogicamente ha il
giudice territoriale svilito il dato indiziario dato dalla presenza
dell’imputato sul luogo del delitto con l’argomento che l’imputato
viveva in quei luoghi giacchè l’abitazione presso cui era ospitato
con la madre, dista solo tre chilometri dal luogo del delitto; detta
circostanza non può svilire il significato indiziario di quella
presenza là dove si consideri che l’imputato non ha dato di essa
alcuna giustificazione e che essa si protrasse per tutto il pomeriggio
e per tutta la sera del 6 giugno 2007, giorno del delitto; del pari
illogicamente è stato svilita la circostanza che la notte dell’omicidio
per cui è causa l’imputato non fece rientro a casa con l’argomento
che il delitto avvenne nella serata e non nella nottata, mentre la
circostanze detta era volta ad evidenziare la mancanza di
giustificazione di quella persistente presenza nei pressi della
vittima, vicina alla sua abitazione ma senza fare rientro a casa; gli
indizi appena indicati assumono poi maggiore valenza probatoria se
giustapposti al fallimento della prova d’alibi, la cui rilevanza è stata
riconosciuta dalla stessa corte di secondo grado, ed al movente
indicato dagli inquirenti, illogicamente svalutato dai giudici
territoriali; secondo l’accusa l’imputato, follemente invaghito di una
connazionale, aveva progettato di rapirla per condurla con sé in
Romania; a tal fine aveva programmato il furto di una autovettura
con la quale raggiungere quel Paese ed il furto di targhe pulite da
montare sull’auto rubata; di qui il furto delle targhe dall’auto della
vittima, furto poi degenerato nella tragedia per cui è causa; secondo
i giudici territoriali il movente apparrebbe debole e non provato
adeguatamente, perché l’autovettura fu rubata dall’imputato nove
giorni dopo il delitto, di guisa che non potrebbe esso collegarsi al
2

furto delle targhe sottratte in occasione dell’omicidio; questo,
viceversa, non priva affatto di logicità la tesi accusatoria, perché
nella programmazione iniziale non era certo prevista la
degenerazione del furto e su questo la corte di secondo grado nulla
ha argomentato; del pari illogica di appalesa lo svilimento delle
modalità di apertura dei due lucchetti, quello rinvenuto nel cortile
retrostante la casa del delitto e quello ritrovato nella cantina della
donna ossessivamente insidiata, perché se è vero che la modalità
dello scasso è diffusa, è altrettanto vero che quella modalità non è
l’unica ed in questi limiti il valore indiziario della circostanza
merita di essere rivalutato; totalmente mancante di motivazione
sono poi gli aspetti evidenziati dall’accusa relativi agli abiti intrisi
di fumo e l’allontanamento dell’imputato dopo il delitto verso
Verona, presso un cugino, in stato di grave agitazione.
3. Il ricorso è fondato.
3.1 Non v’è dubbio che nella fattispecie i giudici territoriali siano
stati chiamati a giudicare sulla base di prove di tipica valenza
indiziaria, ma ciò hanno fatto, ad avviso del Collegio, non
pienamente applicando le relative regole codicistiche sulla
valutazione della prova dettate dall’art. 192 c.p. co. 2, dappoichè
illogicamente sminuita la portata probatoria di alcune acquisizioni
processuali, parcellizzata la valutazione dei singoli indizi e per
questo di poi contraddittoriamente interpretato (e motivato) il
quadro complessivo del compendio indiziario.
E’ noto infatti che l’art. 192, co. 2, C.P. stabilisce che “l’esistenza
di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano
gravi, precisi e concordanti”. Questo significa che la deduzione
indiziaria deve muovere da dati fattuali certi dai quali, per inferenza
basata su regole di esperienza consolidate ed affidabili, si può
pervenire alla dimostrazione del fatto incerto da provare. Poichè di
norma il fatto indiziante e’ però sintomatico di una pluralità di fatti
non noti, la relativa ambiguità indicativa può essere superata solo
secondo un percorso logico che presuppone la previa valutazione di
ogni singolo indizio; acquisitane la valenza indicativa – sia pure di
portata possibilistica e non univoca – deve allora passarsi al
momento metodologico successivo dell’esame globale ed unitario,
attraverso il quale la polivalenza sintomatica di ciascun elemento
probatorio può risolversi, perchè nella valutazione complessiva
ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che
l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato
dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del
fatto (cfr. Cass., Sez. Un., 4.2/4.6.1992, Musumeci ed altri).
3

Di ogni dato indiziario peraltro, il giudicante ha l’onere di trarre
l’intera sua pregnanza significativa, sia nei profili logici che in
quelli puramente empirici, dappoichè soltanto se assunto nella sua
sintomaticità complessiva l’indizio può poi validamente concorrere,
con gli altri indizi, alla conclusiva valutazione probatoria.
3.2 Orbene, nel caso in esame risulta acquisito che l’assassino agì
non già per uccidere il povero Bissacco, non essendo emersa nel
processo alcuna ragione che potesse indurre taluno alla sua
eliminazione fisica, ma per rubare le targhe della sua autovettura
(questo è quanto affermano i giudici di merito con valutazione
logica dei fatti e delle persone coinvolte), di guisa che da un tale
presupposto conseguono, sviluppando adeguato sillogismo logico
immotivatamente pretermesso in sede di merito, robusti
rafforzamenti di emergenze indiziarie non valutate dalla corte
territoriale nella loro intera ed esaustiva significanza. L’imputato,
come sottolineato sempre dai giudici di merito, conosceva la vittima
e, soprattutto, sapeva dell’autovettura, del suo uso sporadico (per
cui il furto sarebbe stato scoperto tardi, circostanza funzionale con
la progettata fuga d’amore) e dove essa era custodita. Le targhe,
anche questo è stato acquisito dai giudici di merito, interessavano
l’imputato, il quale aveva in animo di rubare un’autovettura forse
per rapire e portare un Romania la donna amata, forse per
vendicarsi del fidanzato di costei investendolo con l’autovettura
rubata. Tanto collega l’imputato al furto delle targhe, mentre il furto
delle targhe collega il suo autore all’omicidio se, come assai
verosimile, l’omicidio fu consumato appunto per rubarle. Di qui
l’ulteriore sviluppo della forza sintomatica degli indizi sin qui
indicati dai giudici di merito, che l’omicidio si giustificava nella
logica criminale dell’agente soltanto per una ragione: il
riconoscimento del ladro da parte del derubato e, nella fattispecie, il
povero Bissacco conosceva bene l’imputato.
Nella complessiva valutazione poi del compendio indiziario ben si
inseriscono, con le premesse date: la accertata vicinanza per un
periodo che è trascorso dal tardo pomeriggio fino alla tarda serata
dell’imputato rispetto al luogo del delitto, il fallimento della prova
d’alibi, contrariamente a quanto opinato dalla corte territoriale di
secondo grado e per quanto detto, per nulla isolato quale indizio, la
notte trascorsa fuori casa dopo essere rimasto fino alla tarda serata
nelle vicinanze del luogo del delitto, i preparativi (quanto meno allo
stadio della predisposizione dei mezzi e degli strumenti) per il
rapimento della connazionale Tufose Petronilla, il furto di
un’autovettura, indiziante non soltanto perché esplicativo e
confermativo del progetto criminale complessivo dell’agente, ma
4

P. T. M.

la Corte, annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio
ad altra sezione della Corte di assise di appello di Venezia.
Così deciso in Roma addì, 5 aprile 2013
Il cons. est.
Il Presidente

anche sintomatico della sua capacità e facilità di realizzare finalità
predatorie.
3.3 L’illogicità della motivazione in esame pertanto —e con essa,
sotto altro profilo pure innanzi evidenziato, la violazione delle
regole di cui al secondo comma dell’art. 192 c.p.- sta nell’omessa
considerazione della intera forza indiziante dei singoli indizi e nella
loro incoerente delibazione complessiva, che ha ignorato tra essi
coerenti profili logici la cui valutazione in fatto va di necessità
demandata, in piena libertà di giudizio, al giudice di rinvio.

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