Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18385 del 09/01/2018


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18385 Anno 2018
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: NARDIN MAURA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
MASCARO ANTONIO nato il 18/01/1944 a MARCELLINARA
MASCARO FRANCESCO nato il 18/09/1948 a MARCELLINARA

avverso la sentenza del 28/06/2013 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MAURA NARDIN
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIETTA
PICARDI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita del ricorso.
Udito il difensore
Per i ricorrenti e’ presente l’avv. Dante Giuseppe del foro di Roma che chiede
l’accoglimento dei ricorsi.

Data Udienza: 09/01/2018

RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza del 28 giugno 2013 – depositata il 27 aprile 2015- la

Corte di Appello di Roma, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di
Roma, in funzione monocratica, ha dichiarato la prescrizione dei reati di cui agli
artt. 374, comma 2″ e 389, lett.b) d.P.R. 547/1955, confermando la penale
responsabilità di Antonio Mascaro e Francesco Mascaro in ordine al reato di cui
all’art. 589 per avere causato, con imprudenza, negligenza ed imperizia e con la
violazione delle norme di cui agli artt. 374, comma 2^ e 389, lett.b) d.P.R.

priva di tre dei quattro gommini antisdrucciolo fissati sui montanti della scala,
dalla quale, perdendo l’equilibrio, rovinava a terra riportando lesioni che lo
conducevano al decesso.
2.

Il fatto può essere così riassunto: Mario Ilari, dipendente dell’Azienda

Ospedaliera San Camillo Forlanini, in qualità di operatore tecnico addetto alle
Caldaie, in data 7 gennaio 2005, dopo avere terminato il turno alle ore 7 del
mattino, si recava, intorno alle ore 8,00 presso la Caserma Grazioli Lante, della
Marina militare, ove la Cesit, s.r.I., di cui Antonio Mascagni era amministratore
delegato e Francesco Mascaro socio lavoratore, era stata incaricata, a seguito di
subappalto della Tomedil s.r.I., di eseguire delle opere relative al ripristino delle
centrali termiche. Qui, con una qualifica definita di consulente tecnico saltuario,
insieme con Francesco Mascaro, doveva effettuare delle misurazioni relative
all’impianto termico, avvalendosi di scale portatili multiple a libretto. Il solaio era
posto ad un’altezza di mt. 3,94 e le tubazioni ad un’altezza di m 2,94 dal
pavimento. I due operanti erano saliti sulle scale dandosi le spalle, quando il
Mascaro udiva uno stridio ed un tonfo. Constatata la caduta dell’Ilari, il Mascaro
allertava i soccorsi che provvedevano all’immediato ricovero, ma il medesimo
decedeva il giorno successivo, in conseguenza del gravissimo trauma cranioencefalico.
3.

Le sentenze di primo e secondo grado hanno affermato la
in ragione della loro posizione di

responsabilità degli imputati, posto che

garanzia – Antonio Mascaro, in qualità di legale rappresentante della società e
Francesco Mascaro, qualificatosi come datore di lavoro ed effettivo titolare
dell’impresa, avente carattere familiare- essi avevano il potere e dovere di
predisporre controllare e verificare la dotazione dei presidi antinfortunistici ed in
particolare della scala da cui era caduto l’Ilari.
4.
chiedeva

La Corte territoriale – considerati i motivi di appello, con cui si
la

rinnovazione

dell’istruttoria

relativamente

alla

dinamica

dell’infortunio ed alla possibilità che la caduta si fosse verificata per un malore
1

547/1955, la morte di Mario Ilari consentendogli di salire su scala a libretto,

dell’Ilari, all’identità fra la scala sequestrata, presa in visione dall’ispettore del
lavoro e quella da cui era caduto l’Ilari, alla conformazione del pavimento del
locale, ritenuto dal primo giudice “scivoloso e non livellato”, alla funzione non
antisdrucciolo dei gommini secondo la normativa vigente – ha ammesso perizia
tecnica per la ricostruzione della dinamica dell’infortunio, affidandola all’ing.
Rodolfo Fugger, cui ha sottoposto plurimi quesiti. Indi, ritenute soddisfacenti le
risposte del quesito, anche in considerazione dei rilievi formulati dal dott.
Maccari, consulente della difesa, ha confermato il giudizio di responsabilità. In

scala presa in visione dall’Ispettore del lavoro e quella in uso all’Ilari, avendo il
perito verificato che la scala oggetto delle foto scattate dall’ispettore, dalle quali
risultava peraltro la mancanza di tre dei quattro piedini, era effettivamente
quella sequestrata dai Carabinieri, dopo qualche ora dal sinistro e custodita
presso la Caserma Paolucci, ove si era recato l’ispettore quattro giorni dopo il
sinistro. D’altro canto, la scala riprodotta nelle fotografie era una scala a libretto
dell’altezza aperta di cm. 190, con cinque scalini e non come ritenuto dagli
appellanti una scala una scala a quattro gradini dell’altezza complessiva di cm.
160. Nessun elemento in contrario poteva, inoltre, ricavarsi dalla testimonianza
del maresciallo Bracci, che aveva inizialmente definito la scala “integra”,
tuttavia riconoscendola nelle fotografie e quindi dimostrando un’iniziale verifica
sommaria della stessa. Così come non si poteva ipotizzare, per dare credito alla
tesi dell’integrità della scala, che i Carabinieri trasportandola dal luogo del
sinistro in caserma fossero stati così incauti da perdere tre dei quattro piedini nel
trasporto. Né appariva condivisibile la riduttiva prospettazione della difesa
secondo cui i piedini avevano la semplice funzione di prevenire un danno alle
pavimentazioni. Il perito aveva, infatti, chiarito che dovevano considerarsi
applicabili gli stessi obblighi di cui al D.Igs 235/2008, che, seppure entrato in
vigore il 19 luglio 2005, conteneva il richiamo delle norme UNI-En 131 1″ e 2^
parte e del D.Igs 626/1994, secondo cui le scale a gradino doppie dovevano
essere dotate di elementi di appoggio antinfortunistici. Ciò, peraltro, doveva
ritenersi anche in relazione al disposto di cui all’art. 374 d.P.R. 54/1955 ed agli
artt. 28, 35, 36 d.lgs. 626/1994 finalizzati alla riduzione del rischio di cui al d.m.
23 marzo 2000. Nessun riscontro vi era, invece, dell’affermazione dell’ispettore
del lavoro, secondo cui l’Ilari al momento della caduta si trovava al terzo gradino,
ad un’altezza di cm. 66 da terra, perché anche misurando dall’altezza della
tubazione (posta a m. 2,94 di altezza) la distanza fra il punto di appoggio e
quella ove l’Ilari doveva operare, egli non poteva che trovarsi più in alto. La
caduta da un’altezza più elevata comportava, peraltro, il venir meno di uno dei

2

particolare, ha osservato che nessun dubbio poteva residuare sull’identità fra la

presupposti della tesi difensiva secondo cui l’incidente sarebbe stato causato da
una caduta a “corpo morto” dovuta ad un malore dell’Ilari. Ipotesi esclusa anche
dall’esito dell’esame autoptico, che aveva costatato la compatibilità del trauma
cranio-encefalico con la caduta accidentale da una scala, non concomitando
evidenze di altre patologie neurologiche. Il che escludeva anche la rilevanza
causale di disturbi osservati dai testi Vardanega ed Antonacci che avevano
riferito di essere stati presenti in due diversi occasione in cui l’Ilari aveva
avvertito giramenti di testa, tanto che in una di queste era sceso da una scala

succedeva spesso, a causa di sbalzi pressori. Con riferimento alla conformazione
del pavimento, che

il Tribunale aveva considerato scivoloso e non livellato e che

la difesa pretende invece posto a livello, non essendo altrimenti possibile il
funzionamento della caldaia, la Corte territoriale ha condiviso i rilievi del perito,
che pur dando atto della trasformazione dei luoghi, ha ritenuto che all’epoca dei
fatti il pavimento non fosse a livello, essendo presenti, anche secondo quanto
risultante dalla documentazione acquisita dal Genio Militare, dei pozzetti di
raccolta e scarico delle acque. Tanti che anche in occasione del sopralluogo da lui
effettuato era rilevabile una leggera pendenza del pavimento pari al 2-41%. Così
determinato lo stato dei luoghi, che imponeva di per sé particolare prudenza e
l’uso di una scala dotata di piedini antisdrucciolo, chiarito l’obbligo
normativamente imposto di dotare le scale a pioli portatili di detti piedini ed
esclusa l’accidentalità di un malore, la Corte confermava il giudizio di
colpevolezza, ritenendo che la morte dell’Ilari fosse stata causata dall’omessa
predisposizione delle cautele antinfortunistiche necessarie da parte degli
imputati.
5.

Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione, a mezzo del

loro difensore, entrambi gli imputati affidandolo a tre motivi.
6.

Con il primo fanno valere, ex art. 606, primo comma, lett.

c) la

violazione della legge processuale penale, in relazione all’art. 178, comma 1^,
lett. c) per non avere la Corte tenuto in considerazione la memoria difensiva
depositata all’udienza del 18 giugno 2013, al termine della discussione orale, ove
erano contenuti una serie di rilievi ed argomenti difensivi, oltre alle note tecniche
del consulente di parte, tutti ignorati dalla sentenza (peraltro depositata dopo
due anni dalla discussione). Nel provvedimento, infatti, si dava atto solo della
produzione all’esito dell’esame del perito, all’udienza del 29 gennaio 2013, di una
memoria contenente note tecniche del consulente di parte dott. Maccari.
Rilevano che il vizio, secondo un orientamento della Suprema Corte, costituisce
nullità di ordine generale prevista dall’art. 178 comma 1^ lett. c), impedendo

3

barcollando, dopo avere effettuato alcun saldature, affermando che ciò gli

all’imputato di intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo
del giudice. Ciò comporta, secondo i ricorrenti, la nullità della sentenza
impugnata ed il rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.
7.

Con il secondo motivo lamentano ex art. 606, comma 1″ lett. e) il

vizio di motivazione, dando atto, in primo luogo, che diverso orientamento dei
giudici di legittimità ritiene la mancata considerazione del contenuto di una
memoria difensiva come vizio di motivazione del provvedimento, quando ne
intacchi la congruità o la correttezza logico- giuridica. Sollecitano, se necessaria,

dell’omesso esame della memoria, non solo la Corte aveva trascurato di
rispondere alle molte argomentazioni critiche rispetto alla perizia d’ufficio, ma
aveva ignorato, senza in alcun modo rispondere, le osservazioni relative alle
cause del sinistro (indicate nella concomitanza di tre fattori: mancanza dei
piedini, pendenza del pavimento e sbilanciamento laterale del lavoratore) che
muovevano proprio dalle considerazioni del perito e dalle quali si ricavava
l’incongruenza delle risposte rese in sede di esame, rispetto a quanto
definitivamente ricostruito dalla Corte. Ed invero, il perito, a seguito di specifica
domanda, aveva risposto che “se il pavimento fosse stato perfettamente in piano
e se la scala avesse avuto i dispositivi antisdrucciolo, ma l’operatore si fosse
sporto” l’incidente sarebbe avvenuto lo stesso. E di fronte alla richiesta di
precisazioni circa il discrimine fra il verificarsi dell’incidente nonostante l’utilizzo
di scala idonea ed il suo verificarsi per l’utilizzo di scala inidonea, stante
l’influenza dello sbilanciamento dell’operatore, egli aveva dichiarato di non poter
rispondere, non avendo alcun elemento per fare i calcoli, né l’originaria pendenza
del pavimento, né dati relativi allo sbilanciamento. Questo, tuttavia, introduceva
il ragionevole dubbio sull’esistenza del nesso causale fra la condotta imputata
agli imputati — avere fornito una scala senza tre dei quattro piedini- ed il
verificarsi dell’evento. Invero, la Corte, evitando l’argomento, non aveva
spiegato perché dovesse ritenersi lo sbilanciamento contenuto tanto da
determinare la caduta della scala per la mancanza dei piedini e non per lo
sbilanciamento stesso, anche tenuto conto che lo stesso perito aveva
riconosciuto che la mancanza dei tre piedini non costituiva fattore di instabilità,
in quanto sotto carico la scala si deforma. La mancanza dell’analisi di resistenza
dell’ipotesi ricostruttiva del fatto, rendeva evidente il vizio della motivazione
sotto il profilo dell’omissione e dell’illogicità, comportando l’annullamento della
sentenza.
8.

Con il terzo motivo si dolgono, ex art. 606, comma 1^ lett. e) cod.

proc. pen. della manifesta illogicità della motivazione per la mancata valutazione
4

la rimessione alle Sezioni Unite. Sottolineano, in ogni caso, che in ragione

di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante. Rilevano
che, a fronte di specifico motivo di appello, la Corte si era limitata a ribadire
l’intensità del grado della colpa ed a sostenere che gli imputati, nonostante il
rapporto di amicizia con l’Ilari, non si erano impegnati attivamente nei confronti
dei familiari della vittima. Entrambi i presupposti, invece, erano privi di
fondamento, non solo perché, anche nella prospettazione della sentenza, la
concomitanza di fattori causali ulteriori rispetto alla condotta dell’imputato
aveva concorso alla causazione dell’evento, ma perché era stata prodotta in

compagnia presso la quale l’azienda era assicurata, proprio al fine di provvedere
al pagamento dei danni conseguenti il sinistro.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato
2. Il primi due motivi possono esser trattati congiuntamente in quanto
entrambi impongono la risoluzione del quesito inerente l’omessa valutazione del
contenuto della memoria difensiva presentata dalla difesa dell’imputato in
occasione della discussione.
3. Va dato atto che la questione è risolta in modo difforme da due diversi
orientamenti di legittimità, l’uno più risalente e l’altro più recente.
4. A sostegno del primo si afferma che “L’omessa valutazione di una
memoria difensiva determina la nullità di ordine generale prevista dall’art. 178,
comma primo, lett. c), cod. proc. pen., in quanto impedisce all’imputato di
intervenire concretamente nel processo ricostruttivo e valutativo effettuato dal
giudice in ordine al fatto-reato, comportando la lesione dei diritti di intervento o
assistenza difensiva dell’imputato stesso, oltre a configurare una violazione delle
regole che presiedono alla motivazione delle decisioni giudiziarie, in relazione al
necessario vaglio delibativo delle questioni devolute con l’atto di impugnazione.
(Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013 – dep. 20/03/2014, Amato e altri, Rv.
25948801; Sez. 1, Sentenza n. 37531 del 07/10/2010 Cc. (dep. 20/10/2010 )
Rv. 248551; Sez. 1, Sentenza n. 31245 del 07/07/2009 Cc. (dep. 29/07/2009 )
Rv. 244321; Sez. 1, Sentenza n. 45104 del 14/10/2005 Ud. (dep. 12/12/2005 )
Rv. 232702; Sez. 1, Sentenza n. 23789 del 06/05/2005 Ud. (dep. 24/06/2005 )
Rv. 232518). Le ragioni dell’opzione interpretativa risiedono nella constatazione
della natura della memoria e della sua funzione illustrativa delle ragioni della
difesa, che può investire sia questioni di fatto, che di diritto. Il giudice, al quale
viene presentata una memoria o un’istanza deve, pertanto, prendere in
considerazione il contenuto delle memorie e assumerlo a tema dell’indagine,

5

giudizio la citazione della Cesit s.r.l. nei confronti delle Assicurazioni Generali,

facendolo quindi (direttamente o indirettamente) oggetto della formulazione del
proprio giudizio. L’inosservanza di un siffatto dovere si profilerebbe sotto le
spoglie della violazione delle regole che presiedono alla motivazione delle
decisioni giudiziarie, nonché sotto quello dell’integrazione di una nullità ai sensi
dell’art. 178 c.p.p., lett. b) e c), generalmente comportando la lesione dei diritti
di intervento o assistenza difensiva dell’imputato e delle altre parti private e
sinanco del pubblico ministero. Ciò, in buona sostanza, “significherebbe ridurre le
parti alla situazione di comparse eventuali, disconoscendone la funzione di

14/10/2005).
Secondo la lettura più recente, invece,IL’omessa valutazione di memorie
difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità
del provvedimento impugnato, ma può influire sulla congruità e correttezza
logico-giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito
siano state espresse le ragioni difensive.

(Sez.

5, Sentenza n.

51117 del

21/09/2017 Cc. (dep. 09/11/2017 ) Rv. 271600 Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015
– dep. 29/01/2016, Graziano, Rv. 26756101; in tema di giudizio abbreviato Sez.
6, Sentenza n. 44419 del 22/10/2015 Ud. (dep. 03/11/2015 ) Rv. 265040; Sez.
6, Sentenza n. 269 del 05/11/2013 Cc. (dep. 07/01/2014) Rv. 258456).
5. Questo collegio ritiene di aderire al secondo degli orientamenti appena
richiamati, che appare essersi consolidato, tanto da non rendere necessaria la
rimessione della questione alla Sezioni Unite.
6. Ed invero, al di là del fatto che il primo orientamento, invocato per
affermare la causa di nullità di ordine generale, comma 1^ lett. c), e quindi la
nullità della sentenza impugnata con conseguente cassazione con rinvio, non
trova conforto nelle ipotesi di nullità previste dalla legge, vi è che per avere
rilevanza l’omessa considerazione di memorie deve incidere effettivamente sulla
correttezza logico-giuridica della

logica ricostruttiva del fatto o sulla

motivazione. La facoltà di presentare memorie è, invero, strettamente connessa
con la difesa tecnica e corrisponde ad un atto tipico con il quale si mettono a
disposizione del giudicante argomenti, osservazioni, modalità interpretative dei
fatti e delle norme utili ad indirizzare la decisione o comunque ad analizzare
elementi raccolti e da valutare, anche sotto il profilo giuridico.
E’ chiaro, dunque, che quando le memorie delle parti presentino
argomentazioni difensive tese ad invalidare la ricostruzione fattuale o a porre
discussione l’esegesi fatta propria dal giudicante, questi ha il dovere di
esaminarle, fallendo altrimenti il compito motivazionale.

6

protagonisti della dialettica processuale” (Sentenza Sez. 1^ n. 45104 del

Ma, al contrario, quando siffatte memorie contengano la mera ripetizione di
difese già svolte, oppure siano inconferenti rispetto all’oggetto del giudizio, non
può ritenersi che il loro mancato esame invalidi il percorso logico-motivazionale
del provvedimento decisorio, perché, altrimenti si costringerebbe il giudice a
rispondere a tutti i rilievi avanzati dalle parti, anche se del tutto incongrui e
sinanco formulati con scopi diversivi.
Ora, in questo caso, seppure la Corte non abbia reso esplicito che la
motivazione posta a base della decisone costituiva anche risposta alla

su ciascuna delle sollecitazioni anche tecniche ivi formulate. E così non solo
risponde sulla necessità di utilizzo di una scala corredata di piedini antisdrucciolo,
in forza della normativa richiamata (la cui vigenza temporale è chiarita del tutto
coerentemente), ma spiega come raggiunge la prova sulla pendenza del
pavimento, in modo del tutto indipendente da eventuali ed impossibili calcoli
formulati dal perito che, stante il cambiamento dello stato dei luoghi precedente
il suo sopralluogo sarebbero solo ipotetici e quindi inutili. Ricostruisce, infatti, le
condizioni della pavimentazione (in gres) e la sua pendenza in modo induttivo,
muovendo dalla documentazione fornita dal Genio Militare e sulla necessaria
presenza di pozzetti nel locale della centrale termica- ove erano collocate le
caldaie- per consentire alle acque di scarico di defluire. Inoltre, contrariamente
a quanto ritenuto dai ricorrenti, la sentenza dà risposta anche alla pretesa
sufficienza del comportamento della vittima- interruttiva del nesso causale- che
avrebbe determinato la caduta, posizionando scorrettamente la scala in senso
parallelo alla linea di pendenza, anziché ortogonale, stante la pendenza del
pavimento in posizione, per giunta sporgendosi lateralmente. E lo fa osservando,
fra l’altro, che la mancanza dei piedini della scala, introdotta dal perito come
una delle sicure concause del sinistro, insieme con le caratteristiche del
pavimento, ridusse quel margine di sicurezza entro il quale l’Ilari avrebbe anche
potuto operare viste proprio le caratteristiche del pavimento. Il che, esclusa la
sussistenza di una causa di salute dell’Ilari che ne provocasse l’autonoma caduta,
implica di per sé la responsabilità degli imputati, essendo per ciò solo
configurabile il nesso causale fra la condotta e l’evento, quanto meno sotto il
profilo concausale, che contrariamente a quanto sembra ritenere la difesa non
esclude affatto la responsabilità dei soggetti che, rivestendo una posizione di
garanzia, quand’anche di fatto, hanno l’obbligo di assicurare la predisposizione di
tutte le tutele idonee a tutelare la salute dei lavoratori, in primo luogo
osservando gli obblighi previsti dalle norme per la prevenzione degli infortuni.

7

considerazioni contenute nella memoria, tuttavia argomenta in modo dettagliato

7.

Conclusivamente, nessuna lacuna argomentativa introduce effettivi limiti

circa l’analisi di resistenza della ricostruzione del fatto rispetto alle sue possibili
falsificazioni, per come proposte dalla difesa con la memoria della cui mancata
considerazione ci si duole. Sicché la coerenza logico-guridica della sentenza
esclude il difetto di motivazione ed implica il rigetto dei primi due motivi.
8.

Anche l’ultimo motivo subisce la medesima sorte. Va richiamato il

principio secondo cui: “Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra
opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio

arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione,
tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si
sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata
in concreto. (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010 – dep. 18/03/2010, Contaldo, Rv.
24593101, conformi).
9.

L’enunciato, anche recentemente ribadito (Sez. 2, n. 31531 del

16/05/2017 – dep. 26/06/2017, Pistilli, Rv. 27048101) è corollario della regola
della discrezionaliltà del giudice di merito nella determinazione concreta che
incontra il solo vincolo del rispetto dei limiti entro il minimo ed il massimo
stabiliti dal legislatore,

incensurabile, in quanto tale, in sede di legittimità

laddove congruamente motivata.
10. Nel caso di specie la Corte di merito ha ampiamente e coerentemente
giustificato il giudizio di equivalenza, sulla scorta delle valutazioni del primo
giudice, sottolineando non solo la gravità della colpa per la trascuratezza delle
più elementari precauzioni a tutela del lavoratore, ma il mancato intervento in
favore dei familiari dell’Ilari. A questo proposito del tutto infondata è la pretesa
della difesa di tenere in considerazione l’azione promossa dalla CESIT s.r.l.
contro le Assicurazioni Generali s.p.a., trattandosi di controversia tendente
all’accertamento dell’inadempimento del contratto assicurativo, del tutto
estranea al risarcimento nei confronti dei familiari dell’Ilari, peraltro successiva
all’instaurazione del giudizio nei confronti degli imputati, in ordine alla quale non
è neppure chiara la tempestiva allegazione.
11. Al rigetto dehl ricorsi consegue la condanna al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 9/1/2018
Il Consigli

estensore

Maua ardin

Il Pr9Jf1ente
Frances Ciampi

di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero

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