Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18316 del 26/03/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18316 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BALSAMO PIETRO nato il 01/10/1938 a SAN CONO

avverso l’ordinanza del 18/07/2017 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE SANT LUCIA;
lette/sentite le conclusion” del PG

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3, N UYV■o

Data Udienza: 26/03/2018

Ritenuto in fatto
La Corte di appello di Caltanissetta, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la
richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione, proposta da Pietro Balsamo
relativamente ai reati oggetto di tre sentenze di condanna: la sentenza del 28 settembre 2001,
emessa nel procedimento cd. Parafulmine, che ha irrogato condanna per il delitto di
partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso e per il delitto di trasferimento fraudolento di
valori, commessi dal 17 dicembre 1995 al 15 febbraio 2001; la sentenza del 15 aprile 1999,

partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso, commesso fino al 1993; la sentenza del 5
luglio 2011, che ha irrogato condanna per i reati di estorsione aggravata in danno del
supermercato MAR di Enna fino al maggio 2001. In sede di cognizione, e specificamente in
esito al giudizio di rinvio conseguente all’annullamento per il mancato riconoscimento della
continuazione, la Corte di appello di Caltanissetta ha escluso la medesimezza del disegno
criminoso tra i reati oggetto della sentenza del 28 settembre 2001 e quelli, appunto, della
sentenza del 5 luglio 2011. A maggior ragione, allora, non può essere riconosciuta la
continuazione tra tali ultimi reati e quello, ancor più datato, della sentenza emessa il 15 aprile
1999
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso, per ministero del difensore, Pietro Balsamo,
che ha articolato un unico motivo, deducendo i vizi di violazione di legge e difetto di
motivazione.
La Corte di appello non ha considerato che in sede di cognizione è stata riconosciuta la
continuazione tra i reati oggetto della sentenza del 3 luglio 2003 della Corte di appello di
Caltanissetta emessa nell’ambito del procedimento cd. Parafulmine e quelli oggetto della
sentenza del 15 aprile 1999 della medesima Corte emessa nell’ambito del procedimento cd.
Leopardo. Ha poi trascurato che la sentenza emessa dalla Corte di appello di Caltanissetta il 5
luglio 2011 ha condannato Pietro Balsamo per i reati di estorsione aggravata, uniti tra loro da
continuazione, richiamando le pregresse vicende di quest’ultimo, e in specie i fatti oggetto
della sentenza emessa il 3 luglio 2003 dalla Corte di appello di Caltanissetta. E, ancora, ha
trascurato che a tutti gli imputati giudicati dalla sentenza emessa il 5 luglio 2011 è stata
riconosciuta, proprio in sede di cognizione, la continuazione con i reati oggetto delle altre due
sentenze, quella emessa il 3 luglio 2003 e quella emessa il 15 aprile 1999 sul rilievo della
coincidenza temporale e della tipologia di reato.
Il vero è che i reati di cui alle menzionate sentenze devono essere unificati, perché
connotati dal medesimo disegno criminoso, in ragione della loro omogeneità e dell’essere stati
commessi in un lasso di tempo circoscritto.
L’ordinanza impugnata, avendo trascurato questi indici, è carente di adeguata
motivazione. Ha in particolare omesso di valutare che i reati di estorsione aggravata, di cui alla
sentenza del 5 luglio 2011 sono stati commessi nel contesto di appartenenza ed adesione al
sodalizio mafioso accertato con le precedenti sentenze
1

emessa nel procedimento cd. Leopardo, che ha irrogato condanna per il delitto di

Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
L’ordinanza impugnata evidenzia un dato che appare decisivo, ossia che il giudice della
cognizione ha già negato il riconoscimento della continuazione tra il reato associativo che è
cessato il 15 febbraio 2001 e il reato di estorsione aggravata; per poi pervenire ad una
conclusione, che si segnala per logicità e coerenza. Il vincolo della continuazione non può
essere riconosciuto, a fortiori, tra il reato di estorsione aggravata e il reato associativo che è

giudicato dalla sentenza di condanna del 15 aprile 1999.
Con questo dato di particolare pregnanza il ricorso omette di correlarsi specificamente,
limitandosi a menzionarlo, per poi aggiungere un altro elemento, ossia che il giudice della
cognizione ha affermato la continuazione tra i due reati associativi. Detto elemento, però, è
all’evidenza inidoneo a neutralizzare l’efficacia impeditiva illustrata dal provvedimento
impugnato. È infatti logico ritenere che la continuazione, se non sussiste tra il reato di
estorsione e il fatto associativo più recente, non può essere ritenuta tra lo stesso reato di
estorsione e il fatto associativo commesso ancor prima dell’altro, seppure tra i due fatti
associativi sia stata già affermata la medesimezza del disegno criminoso.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma, equa al caso, di euro 2000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento nonché al pagamento della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, 26 marzo 2018.

cessato nel 1993, e che quindi è stato commesso in data anteriore all’altro omologo, ed è stato

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