Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18301 del 23/02/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18301 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: BARONE LUIGI

Data Udienza: 23/02/2018

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI ROMA
nel procedimento a carico di:
FIAMMENGHI LUCA nato il 17/07/1966 a ROMA
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BADOLATO ANNA
DI MARTINO BERNARDO
DI MARTINO MARIA
DI MARTINO CINZIA
avverso la sentenza del 28/10/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI BARONE

Udito il Procuratore Generale, in persona del Sostituto ANTONIETTA PICARDI, che
ha concluso per l’annullamento con rinvio;
Udito il difensore presente per le parti civili avvocato Rocco Quartuccio del Foro di
Roma si riporta alle conclusioni che deposita unitamente a nota spese.
Udito l’avv. ZINI EUGENIO MARIA del foro di ROMA in difesa di FIAMMENGHI
LUCA il quale chiede l’inammissibilità del ricorso.

1

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 ottobre 2016, la Corte di Assise di appello di Roma confermava la
sentenza della Corte di assise della medesima città del 2 novembre 2015 di assoluzione di
Fiammenghi Luca del reato di omicidio aggravato di Di Martino Davide in concorso con
Bizziccari Laura (giudicata separatamente con il rito abbreviato), commesso a Roma il 4

2. La vicenda, per come ricostruita nella sentenza impugnata, può essere schematizzata nei
seguenti punti:
– Il Fiammenghi conviveva con la compagna, Bizziccari Laura, in un modesto appartamento
(teatro poi dell’omicidio) ubicato nel quartiere romano di casal Bruciato;
– in tale immobile abitavano, oltre il Fiammenghi, anche, saltuariamente il figlio della
Bizziccari, Maria Samuel, e, nei giorni dell’accaduto, il cittadino polacco Grela Andrei;
– in un appartamento, fronte stante quello della Bizziccari, viveva, ospite di tale Carbone
Katiuscia, Di Martino Davide, ex compagno della Bizziccari;
– i rapporti tra quest’ultima e il Di Martino era caratterizzati da insanabili contrasti,
aggravati dalla condizione di tossicodipendenza di entrambi; la donna aveva subito nel tempo
atti di violenza da parte del compagno e la loro relazione si era interrotta allorquando, durante
un periodo di detenzione del Di Martino, la predetta aveva conosciuto il Fiammenghi e con
questo aveva intrapreso una relazione sentimentale e di convivenza;
– la sera del fatto, al rientro del Di Martino a casa era seguita, intorno alle 23.30, una
violenta lite all’interno dell’appartamento della Bizziccari, tra il predetto ed il Fiammenghi che,
intervenuto a difesa della sua compagna, aveva avuto la peggio riportando alcune lesioni, tra
le quali, la frattura zigomatica, poi refertata, ragionevole conseguenza dei pugni subiti dal Di
Martino (rammentati in giudizio anche dal teste Maria Samuel);
– qualche ora più tardi (intorno alle 3.30) la Bizziccari (descritta dai testi escussi a
dibattimento e in particolare dal figlio Samuel: “fuori di testa” a causa verosimilmente della
assunzione di numerose pasticche di “Ritroril” e di cocaina), dopo essersi recata al parco della
Cacciarella con il compagno, era andata a bussare alla porta della vicina di casa pretendendo
uno stendino per asciugare il bucato;
– il Di Martino, psichicamente alterato anch’egli per la recente assunzione di cocaina,
aggrediva l’ex compagna spintonandola all’interno dell’appartamento di quest’ultima ove si
trovavano il figlio della predetta ed il Fiammenghi, nonché il Grela che, però rimaneva
all’interno della sua camera;
– il ragazzo assisteva ad una nuova aggressione del Di Martino ai danni del Fiammenghi
(intervenuto in difesa della Bizziccari) e, preoccupato, nascondeva sotto il letto i coltelli
presenti in casa; quindi, mentre era ancora in atto la lite, si allontanava raggiungendo
l’appartamento della vicina, portando con sé il computer;

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dicembre 2013.

- poco dopo veniva consumato l’omicidio del Di Martino, mediante l’uso di un coltello da
cucina: quello stesso che la Bizziccari, autoaccusandosi del delitto, gettava poi ai piedi degli
agenti di p.s. intervenuti sul posto, in quanto chiamati dalla vicina;
– la Bizziccari confessava subito, in evidente stato di alterazione, di avere ucciso l’ex
compagno perché stanca delle vessazioni subite da quest’ultimo e nello specifico per difendere
il Fiammenghi;
– il coltello sottoposto a sequestro risultava corrispondere effettivamente all’arma del

torace della vittima (in area intercostale) aveva raggiunto il cuore, cagionando rapidamente la
morte della persona offesa (Sacchetti: «la morte deve essere stata anche abbastanza rapida
perché il soggetto è andato in anemia acuta emorragica per la ferita»).

3. Sulla base delle risultanze in atti, la Bizziccari e il Fiammenghi venivano sottoposti a
misura cautelare e nei confronti di entrambi si procedeva per il reato di omicidio aggravato.
La prima, giudicata su sua richiesta nelle forme del rito abbreviato, veniva dichiarata
colpevole con sentenza del Gup di Roma del 27.10.2014, già divenuta irrevocabile.
Il secondo, giudicato secondo il rito ordinario, veniva assolto in entrambi i gradi di giudizio.
La Corte di assise di appello di Roma, condividendo le valutazioni alle quali era pervenuto il
primo giudice in ordine alla sostanziale attendibilità della versione resa dalla Bizziccari sia
nell’immediatezza del fatto che in giudizio, riteneva il Fiammenghi estraneo alla consumazione
dell’omicidio.

4. Avverso questa sentenza ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di
appello di Roma chiedendo l’annullamento della decisione, con i provvedimenti consequenziali,
deducendo mancanza, su alcuni punti, e manifesta illogicità, su altri, della motivazione posta
alla base della decisione impugnata.
4.1. Si duole, innanzi tutto, della attendibilità riconosciuta dalla corte di assise ed
implicitamente dai giudici di secondo grado alla versione fornita dall’imputato, secondo cui
questi era stato aggredito dal Di Martino in prossimità della tenda separé che delimitava la
stanza da letto di Samuel Maria. A dire del ricorrente i giudici non avrebbero, però, considerato
una serie di elementi che costituiscono «la miglior prova della assoluta assenza di precisi
ricordi da parte del Fiammenghi dei momenti del delitto»:
– il fatto che al momento del fatto l’imputato era sotto l’effetto del Rivotril e della cocaina
per cui i ricordi non potevano essere precisi, come dimostrano talune imprecisioni (ripetuta
citazione di persone presenti al momento dell’accoltellamento, ma in realtà assenti, il
riferimento è ai testi Samuel Maria e Carbone Katiuscia che hanno escluso tale circostanza;
– l’assenza di tracce ematiche del Di Martino nel luogo in cui secondo l’imputato sarebbe
avvenuto l’accoltellamento;
– l’assenza di ricordo in merito al collo di bottiglia rinvenuto a circa 2/3 metri dal cadavere,

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delitto; la sua lama, come riferito dal perito prof. Sacchetti, penetrando agevolmente nel

recante tracce ematiche dell’imputato.
4.2. Si duole, altresì, della attendibilità riconosciuta alla Bizziccari Laura, anche lei al
momento del fatto in preda agli effetti del Rivotril e della cocaina.
4.3. Sostiene essere privo di logicità il riscontro alle dichiarazioni dei due imputati
individuato dai giudici nelle tracce ematiche del Fiammenghi rinvenute sulla tenda del separé,
riconducibili, a dire del p.m. ricorrente, non all’aggressione immediatamente prima
dell’accoltellamento, ma a quella avvenuta qualche ora prima.

indicazioni del Fiammenghi offerto dal figlio della Bizziccari, Samuel Maria, il quale aveva
riferito dell’aggressione del Di Martino nei confronti del Fiammenghi nei pressi della tenda
separé. Sostiene la parte pubblica ricorrente che «tale elemento dichiarativo riferisca solo della
parte iniziale di un violento alterco con andamento dinamico, quando ancora nessun coltello
era stato impugnato e tanto meno utilizzatoLle che è del tutto compatibile con un
riposizionamento dei protagonisti al momento del delitto proprio avanti la camera da letto della
coppia Bizziccari-Fiammenghi».
4.4. Eccepisce che la motivazione impugnata, nel conferire attendibilità alla versione dei
due imputati, avrebbe palesemente trascurato l’entità delle «forze in campo».
Una più attenta considerazione di queste ultime avrebbe, invero, rivelato l’inverosimiglianza
della paternità dell’esecuzione dell’omicidio alla sola Bizziccari: donna gracile, fragile, sedata,
intorpidita nei riflessi e rallentata nei movimenti, facile all’affanno a fronte della vittima robusta
e praticante la boxe.
Sostiene, quindi, che né la Bizziccari né lo stesso Fiammenghi, debilitato dalle contusioni e
dalle fratture ad una costola, sarebbero stati in grado da soli di sopraffare il Di Martino
fronteggiandolo a viso aperto.
Sulla base dei dati offerti dal medico legale prof. Sacchetti in ordine alle cause (arresto
cardio circolatorio da anemia) e ai mezzi (un unico colpo mortale), il p.m. ritiene che il Di
Martino sia crollato al suolo subito dopo il colpo mortale inferto davanti la camera da letto, ma
che l’aggressione nei confronti del predetto sia iniziata nei pressi della tenda dove gli erano
stati inferti due colpi non mortali.
4.5. Si duole dell’omessa adeguata considerazione da parte dei giudici dell’appello della
circostanza che il Fiammenghi abbia taciuto del tutto circa l’esistenza e l’impiego del collo della
bottiglia e che, pertanto, lo stesso non abbia fornito alcuna spiegazione delle tracce di sangue
ivi rinvenute e a lui riconducibili.
Secondo l’accusa il collo di bottiglia fu portato in casa già rotto e poco prima del verificarsi
del delitto e le tracce ematiche presenti su tale oggetto derivano dalla presa operata dal
Fiammenghi che lo avrebbe utilizzato come arma impropria contro il rivale che lo aveva
aggredito.
In definitiva, il ricorrente ritiene che le risultanze in atti conducano ad una alternativa e più
coerente ricostruzione della dinamica del fatto, secondo cui l’azione delittuosa (da attribuire

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Parimenti privo di rilevanza sarebbe da ritenere, in tesi accusatoria, il riscontro alle

non soltanto alla Bizziccari, ma anche al Fiammenghi) avrebbe avuto inizio in prossimità
dell’ingresso della camera da letto (ove la vittima veniva colpita da due coltellate non mortali)
e proseguita fino all’ingresso dell’appartamento (davanti la camera da letto), dove al Di
Martino veniva inferto il fendente mortale.
Nel luogo dell’accoltellamento risultato letale, l’assenza di tracce ematiche del Fiammenghi,
confermerebbe che questi, in quel momento, era in piedi e non a terra, senza ricevere colpi
provocanti sanguinamento. Di contro, nei pressi della tenda, teatro della prima parte

Fiammenghi subiva la frattura dello zigomo che provocava la fuoriuscita di sangue che
imbrattava la tenda del separé.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Le censure della parte pubblica ricorrente si esauriscono in rilievi rivolti alla congruità e
logicità della motivazione.
Ciò impone di verificare, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, che il ricorrente non si
sia limitato a prospettare una propria alternativa lettura del compendio probatorio, ma abbia
individuato omissioni, carenze o punti di frizione dell’iter valutativo seguito dai giudici del
merito, tali da inficiare la validità della decisione.
Invero, affinché la motivazione possa essere ritenuta viziata è necessario che il ricorrente
riesca a prospettare una effettiva contraddizione logica, intesa come non plausibilità delle
premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed
insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni; oppure che lamenti una insufficiente
descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei
dati informativi desumibili dalle carte del procedimento.
L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha, dunque, un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per
espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo
sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la
loro rispondenza alle acquisizioni processuali (per tutte:

Sez. U, n. 12 del 31.5.2000, Jakani,

Rv. 216260; Sez. U, n. 47289 del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074).
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di
spessore tale da risultare percepibile

ictu ocull, dovendo il sindacato di legittimità essere

limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate,

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dell’aggressione, può al più ammettersi una disputa a mani nude, nel corso della quale il

siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, sempre che siano spiegate in modo
logico e adeguato le ragioni del convincimento.
Si è così giunti ad affermare che in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di
cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria
valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di
saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra
l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati

provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un
sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica
della coerenza strutturale della sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta
alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è ”geneticamente” informata, ancorché
questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (in termini, Sez. 6, n. 25255 del 14.2.2012,
Minervini, Rv. 253099).
In definitiva, la prospettazione di un vizio della motivazione impone alla Corte un duplice
vaglio: con il primo, volto a stabilire la ammissibilità del ricorso, deve verificare che la
doglianza non si risolva in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione impugnata; con il secondo (subordinato all’esito positivo del precedente) deve
verificare se effettivamente la motivazione presenti alcuna delle specifiche omissioni, carenze o
manifeste illogicità dedotte dal ricorrente.
Ancora in via preliminare, occorre evidenziare che, nel presente giudizio, le due decisioni di
merito sono consultabili congiuntamente in questa sede alla luce del principio per il quale
quando la sentenza appellata e quella di appello non divergono sui punti denunciati, esse si
integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logicogiuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione,
integrando e completando con quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella
di appello (Sez. 5, n. 14022 del 12.1.2016, Genitore, Rv. 266617).
In tali evenienze il compito del giudice della legittimità è circoscritto alla verifica della
congruità e logicità delle risposte contenute nella decisione di appello alle singole doglianze
prospettate nel relativo atto di gravame.

3. Tanto premesso, il ricorso in esame non supera il vaglio della ammissibilità in quanto
esso si articola in una serie di rilievi e doglianze che, al di là del dato enunciato, non minano la
solidità logica dell’apparato argomentativo della sentenza impugnata, ma si limitano a
confutarne la fondatezza attraverso alternative letture degli elementi di prova, sulla cui base il
p.m. ritiene (peraltro, come si esporrà a breve, in termini non del tutto coerenti) di poter
formulare una alternativa ricostruzione della vicenda delittuosa in cui anche il Fiammenghi
avrebbe ricoperto un ruolo di protagonista attivo nella commissione del fatto a fianco della
propria compagna, Bizziccari Laura.

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dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del

4. La corte di assise di appello con motivazione puntuale e coerente rispetto alle risultanze
in atti ha confermato il giudizio assolutorio nei confronti di Fiammenghi Luca, già formulato
nella sentenza di primo grado, ritenendo infondate le censure avverso quest’ultima mosse dal
p.m..
4.1. Il limite di fondo dell’ipotesi accusatoria (ben evidenziato nella sentenza impugnata) è
costituito dall’incerta definizione del contributo che l’odierno imputato avrebbe prestato nella

La stessa pubblica accusa ha escluso che la responsabilità del predetto sia da inquadrare
nello schema del concorso morale, non a caso non formalizzato neanche nel capo di
imputazione.
La tesi sostenuta è quella del concorso materiale, rispetto alla quale, però, i giudici del
merito ne hanno escluso la fondatezza, ritenendo che gli acquisiti elementi probatori non
consentano di attribuire, in termini di ragionevole certezza, al Fiammenghi un ruolo attivo
nell’esecuzione dell’omicidio.
Correttamente i giudici hanno ritenuto che l’imprescindibile dato di partenza della
valutazione del quadro probatorio sia costituito dalle convergenti dichiarazioni fornite, sin
nell’immediatezza, dai presunti autori del delitto: Bizziccari Laura e Fiammenghi Luca.
Secondo questi ultimi, la paternità del delitto è da attribuire soltanto alla Bizziccari, esausta
delle continue vessazioni subite dal Di Martino e, la notte del delitto, spinta all’azione
omicidiaria dall’aggressione che il suo ex compagno stava perpetrando nei confronti del
Fiammenghi.
Questa versione è stata ritenuta in entrambe le decisioni di merito degna di sicura
attendibilità per ciò che riguarda la Bizziccarri (già condannata, peraltro, in sede di abbreviato
con sentenza irrevocabile) e non confutabile relativamente al Fiammenghi dalla alternativa
ricostruzione della dinamica del delitto prospettata dalla parte pubblica, valutata come
«soltanto una delle ipotesi possibili e comunque palesemente inconciliabile con alcune
circostanze di fatto emerse già nell’immediatezza dei fatti».
Rispetto a questa conclusione, l’assunto del ricorrente si esaurisce nel confutare il dato
dell’inconciliabilità delle risultanze investigative rispetto alla tesi accusatoria, attraverso una
diversa lettura delle stesse che, screditando le circostanze riferite dai due imputati, consente, a
dire del p.m., di ritenere che il Fiammenghi abbia partecipato attivamente all’esecuzione
dell’omicidio, trattenendo da dietro la vittima, bloccandole il capo ed impedendole i movimenti,
in modo da consentire alla Bizziccari di trafiggerla mortalmente.
4.2. Questo percorso argomentativo non può tuttavia trovare ingresso in sede di legittimità
in quanto maschera dietro l’enunciato fine di evidenziare l’incongruenza logica della
motivazione, una rilettura in punto di fatto degli elementi di prova in chiave accusatoria, la cui
spinta propulsiva è costituita dalla considerazione di fondo secondo cui la Bizziccari, persona di
corporatura e forza certamente inferiore rispetto al Di Martino, non avrebbe potuto far fronte

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commissione del delitto.

da sola a quest’ultimo e colpirlo due volte all’avambraccio sinistro con il coltello per poi
ucciderlo con il fendente al cuore, senza essere in ciò aiutata dal Fiammenghi.
Sotto altro profilo, di non minore importanza, l’assunto è palesemente non conducente.
Anche a voler dar credito, infatti, alle confutazioni delle valutazioni operate in sentenza, la
conclusione cui il p.m. perviene non è per nulla univoca rispetto alle sue premesse.
I rilievi critici (respinti dai giudici del merito e riproposti in ricorso) in merito all’attendibilità
delle dichiarazioni dei due imputati non consentono, invero, sul piano logico, di approdare in

non poggiando questa su alcun dato obiettivo suscettibile di lettura univoca.
Il risultato è una accusa che non si affranca dal carattere congetturale e che correttamente
la corte di assise di appello ha ritenuto, a tutto voler concedere, soltanto una delle possibili
ipotesi dell’effettivo svolgimento dei fatti.
4.3. L’individuato vulnus del ricorso in esame rende superflua la disamina particolareggiata
delle singole censure, rispetto alle quali non può tuttavia non rimarcarsi e ribadirsi il contenuto
puramente confutativo, senza mai intaccare, esse, al di là di quanto enunciato, la tenuta logica
delle argomentazioni con cui sono state già respinte dal giudice dell’appello.
In questo senso, deve dunque rilevarsi la sicura non manifesta incongruenza illogica dei
passaggi della motivazione in cui i giudici del merito, a riscontro della attendibilità della
versione fornita dalla Bizziccari e dal Fiammenghi, affermano:
– che costituisce dato di fatto incontrovertibile, riferito anche dai testimoni e riscontrato
dalle analisi effettuate sulle tracce ematiche maschili presenti sulla tenda, che nel contesto
immediatamente precedente l’omicidio non era il Di Martino ad essere bloccato o impedito nei
movimenti dal Fiamnnenghi, bensì il contrario, considerate le condizioni fisiche nelle quali
versava il Fiammenghi, gravemente debilitato anche dai calci inferti all’addome che ne
avevano causato la frattura di una costola, tale da impedirgli di rialzarsi e trattenere la vittima
per come, invece, sostenuto dal p.m.;
– che nessun rilievo merita l’affermazione del figlio della Bizziccari, riferita dalla vicina di
casa escussa in giudizio (Szakter Etelka: “il compagno di mia madre ha ammazzato Davide”)
trattandosi di dichiarazione, non soltanto smentita a dibattimento dalla fonte primaria, ma resa
da soggetto che non aveva assistito, come si è visto, alla consumazione dell’omicidio e che
verosimilmente intendeva con detta affermazione precostituire una difesa per la madre;
– che nessuna significativa – e soprattutto univoca – rilevanza può essere attribuita
all’incertezza del luogo esatto in cui si era verificato il fatto e al cocktail di pasticche sedative
(Ritrovi!) e cocaina assunto dalla vittima prima del fatto;
– che nessun chiarimento utile a chiarire l’esatta dinamica del delitto (e soprattutto a
dimostrare il ruolo attivo del Fiammenghi) è stato fornito dall’esito degli accertamenti richiesti
anche dallo stesso P.G. e disposti in sede di rinnovazione dibattimentale, non avendo i periti
evidenziato tracce papillari e genetiche né sul panno repertato né sul collo di bottiglia infranto,
ad eccezione di alcune tracce ematiche rinvenute su tale ultimo reperto e riconducibili al solo

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termini di certezza alla ricostruzione della dinamica dei fatti sostenuta dalla pubblica accusa,

Fiammenghi; circostanza, questa, che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, nulla
depone a sostegno della tesi accusatoria; semmai la smentisce, in quanto dimostra che tale
oggetto era stato utilizzato solo dal Fiammenghi: verosimilmente per difendersi
dall’aggressione subita e certamente in un momento causalmente sganciato rispetto
all’omicidio, tanto da non recare tracce ematiche della vittima.

5. Alla stregua delle considerazioni svolte il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso, il 23 febbraio 2018

inammissibile.

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