Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18300 del 25/02/2015


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 18300 Anno 2015
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

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sul ricorso proposto da:
MSHELI ABDELKARIM N. IL 28/08/1967
avverso la sentenza n. 3467/2013 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di VENEZIA, del 26/09/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 25/02/2015

Motivi della decisione
Msheli Abdelkarim ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
del G.i.p. presso il Tribunale di Venezia in data 26.09.2013, con la quale, ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti in
ordine al reato di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990.
La parte deduce la mancata valutazione rispetto alla congruità della pena; e
ritiene che il giudice avrebbe dovuto invitare le parti a rivalutare l’accordo
considerando la concedibilità della sospensione condizionale.

Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio in
base al quale l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere
conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo
sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza
dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti
dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di
una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Del resto, nel caso di specie, il giudice ha diffusamente
esaminato tutti i profili indicati dall’art. 444 comma 2, cod. proc. pen.,

2.

Il ricorso impone le considerazioni che seguono.

considerando che non sussistevano elementi giustificanti il proscioglimento
dell’imputato ed apprezzando la correttezza della prospettazione effettuata dalle
parti, circa la qualificazione giuridica del fatto, il riconoscimento delle circostanze e
la congruità della pena. E deve osservarsi che la sospensione condizionale della
pena neppure risulta inserita nel patto concluso dalle parti, di talché legittimamente
il giudice non si è soffermato sulla concedibilità del beneficio.
Ciò posto, osserva il Collegio che l’inammissibilità del ricorso non impedisce

modifiche normative.
Nel caso di specie, è stata riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 73, comma V,
d.P.R. n. 309/1990.
Si tratta di fattispecie interessata dalle modifiche introdotte dall’art. 2,
comma 1, d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito con modificazioni dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.10. Ai fini di interesse, si rileva, che a
seguito della legge n. 10/2014, per l’ipotesi di cui all’art. 73, comma V, cit., la pena
prevista è quella della reclusione da uno a cinque anni, oltre la multa, per tutti i tipi
di sostanze stupefacenti, senza distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere.
La materia di interesse è stata peraltro oggetto di un ulteriore intervento
correttivo, ad opera della legge 16 maggio 2014, n. 79, di conversione, con
modificazioni, del decreto legge 20 marzo 2014, n. 36, recante Disposizioni urgenti
in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura
e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali
meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale (pubblicata in G.U. n.115 del
20.05.2014).
Per effetto del richiamato intervento normativo, il tenore dell’art. 73, comma
5, d.P.R. n. 309/1990, è il seguente: “5. Salvo che il fatto costituisca più grave
reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i
mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità
delle sostanze, e’ di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a
quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329”.
Come si vede, la cornice edittale applicabile alla fattispecie oggetto del
presente giudizio, in base al principio di retroattività della legge più favorevole, ex
art. 2, comma 4, cod. pen., prevede pene sensibilmente inferiori, rispetto a quelle
alle quali hanno fatto riferimento le parti nel concludere l’accordo di poi ratificato
dal giudice. Ed invero la disciplina in materia di sostanze stupefacenti applicata dal
giudice è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella versione oggetto delle
modifiche introdotte dal di. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni
dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 – di poi dichiarata illegittima dalla Corte

di rilevare d’ufficio l’illegittimità della pena, in riferimento alle sopravvenute

Costituzionale del 12 febbraio 2014 n. 32 – di talché la pena per le c.d. droghe
pesanti, ai sensi dell’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, era compresa da uno a
sei anni di reclusione, oltre la multa.
Nel caso di specie, all’imputato, per la cessione di singole dosi di eroina è
stata applicata la pena di due anni di reclusione, oltre la multa, muovendo dalla
pena base di anni due e mesi sei di reclusione, oltre la multa.
Ebbene, la pena concordata si colloca in una diversa fascia del trattamento

rilevarsi che la valutazione effettuata dal giudice, nell’apprezzare la congruità della
pena concordata dalla parti, non risulta altrimenti conferente, stante l’intervenuta
modifica sostanziale del quadro sanzionatorio di riferimento. Non è chi non veda,
allora, che l’accordo concluso dalle parti e ratificato dal giudice concerne
l’applicazione di una pena che non può ritenersi congrua, rispetto ai fatti per í quali
si procede.
Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata,
giacché l’evidenziata illegittimità della pena che è stata applicata ai sensi dell’art.
444 cod. proc. pen. rende invalido il complessivo patto concluso dalle parti. Deve
disporsi la trasmissione degli atti al Tribunale di Venezia, perché proceda a nuovo
giudizio. La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che, in tali ipotesi, le
parti sono reintegrate nella facoltà di rinegoziare l’accordo sulla pena su altre basi e
che, in mancanza, il giudizio deve proseguire nelle forme ordinarie (cfr. Cass. Sez.
1, Sentenza n. 16766 del 07/04/2010, dep. 03/05/2010, Rv. 246930).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Venezia.
Così deciso in Roma, in data 25 febbraio 2015.

sanzionatorio, relativo al reato per il quale si procede. Conseguentemente, deve

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