Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18295 del 12/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18295 Anno 2013
Presidente: MACCHIA ALBERTO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Dantese Gennaro, nato a Torre del Greco il 20/12/1979
avverso la ordinanza 17/10/2012 del Tribunale per il riesame di Napoli;
visti gli atti, Il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Sante Spinaci, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza in data 17/10/2012, Il Tribunale di Napoli, a seguito di

istanza di riesame avanzata nell’interesse di Dantese Gennaro, indagato per
il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso (capo A),
nonché di tentato omicidio (Capo B) e porto e detenzione illecita di armi
(capi C e D), confermava l’ordinanza del Gip di Napoli, emessa in data
14/9/2012, con la quale era stata applicata al prevenuto la misura cautelare
della custodia in carcere.

2.

Il Tribunale riteneva sussistente il quadro di gravità indiziaria per il

Data Udienza: 12/04/2013

reato di associazione contestato al Dantese, sulle base delle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia Esposito Gaetano, Francato Ivan e Munizzi Biagio e
del rinvenimento presso la sua abitazione del “libro mastro” delle estorsioni
del clan Ascione-Papale (un elenco dei commercianti sottoposti al pizzo con
l’annotazione delle somme versate da ciascuno) ed aggiungeva che i
numerosi controlli ai quali il Dantese era stato sottoposto mentre si trovava
assieme ad altri soggetti affiliati al clan “Ascione-Papale” completavano un

3.

Per quanto riguarda la responsabilità di Dantese Gennaro per il

tentato omicidio di Durantini Francesco e per i reati satelliti relativi all’uso
delle armi, emergevano gravi indizi di colpevolezza fondati sulle
intercettazioni di colloqui in carcere fra Durantini Giovanni, fratello della
vittima ed i suoi famigliari, di conversazioni telefoniche fra gli affiliati al
gruppo “Dantesen e sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, fra le
quali spiccavano quelle di Francato Ivan che aveva partecipato direttamente
all’agguato.
4.

Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale riteneva sussistente il

pericolo di reiterazione del reato, per cui la custodia cautelare in carcere
appariva l’unica misura applicabile, ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
5.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato personalmente

deducendo violazione di norme processuali e vizio della motivazione. Al
riguardo si duole che il Tribunale non abbia risposto alle specifiche censure
mosse dalla difesa e relative al mancato riscontro dell’attendibilità intrinseca
ed estrinseca dei collaboranti che accusano il Dantese. Evidenzia, quindi,
delle contraddizioni nelle propalazioni del Munizzi e contesta che sia a lui
attribuibile il “covo” di cui parla l’Esposito.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti

nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.
2.

È anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di

questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei

granitico quadro indiziarlo.

provvedimenti sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide,
“l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi
compreso lo spessore degli indizi, ne’ alcun potere di riconsiderazione delle
caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle
esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di
apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice
tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò,
circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il
testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e
l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di
legittimità:
1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno
determinato;
2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni
rispetto al fine giustificativo del provvedimento”. (Cass. Sez. 6A sent. n.
2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840).
Inoltre “Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di
riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a
verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato
argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile
colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.
Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio
ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa
l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del
materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed
esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della
motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità,
quando non risulti “prima facie” dal testo del provvedimento impugnato,
restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità
della motivazione sulle questioni di fatto”. (Cass. Sez. lA sent. n. 1700 del
20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566).
3.

Tanto premesso, per quanto riguarda le contestazioni in punto di

cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del

gravità del quadro indiziario, occorre rilevare che il vaglio logico e puntuale
delle risultanze processuali operato dal Tribunale per il riesame non
consente a questa Corte di legittimità di muovere critiche, ne’ tantomeno di
operare diverse scelte di fatto. Le osservazioni del ricorrente non scalfiscono
l’impostazione della motivazione e non fanno emergere profili di manifesta
illogicità della stessa; nella sostanza, al di là dei vizi formalmente
denunciati, esse svolgono, sul punto dell’accertamento del quadro indiziario,
collaboratori, evidenziando circostanze secondarie (come quella se abbia
caricato o meno le armi utilizzate per l’agguato), inidonee ad incidere su un
quadro indiziario reso granitico dalla convergenza delle dichiarazioni dei
propalanti con gli esiti delle intercettazioni telefoniche e con l’elemento
obiettivo del ritrovamento del “libro mastro” delle estorsioni operate dal
clan Ascione Papale nella zona di Ercolano. Le obiezioni del ricorrente si
risolvano in censure in fatto insuscettibili di valutazione in sede di
legittimità, risultando intese a provocare un intervento in sovrapposizione di
questa Corte rispetto ai contenuti della decisione adottata dal Giudice del
merito.
4.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.
186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro
1.000,00 (mille/00).
5.

Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione

in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1
ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che
copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1
bis del citato articolo 94.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
4

doglianze generiche in punto di attendibilità delle dichiarazioni dei

spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’art. 94 Disp. Att. Cod proc. pen.
Così deciso, il 12 aprile 2013

sidente

Il Consigliere estensore

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