Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18283 del 03/04/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18283 Anno 2018
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
MORELLI MASSIMILIANO nato il 14/11/1993 a ROMA
ALOUI CHEDLI nato il 10/04/1988 a PALERMO
SURDI EMMANUELE MARIA nato il 23/04/1992 a PALERMO
CARDELLA EMANUELE nato il 06/07/1987 a PALERMO
BRUNEO ALBERTO GABRIELE nato il 28/02/1991 a PALERMO
CASELLA DANIELE nato il 23/03/1992 a RIETI

avverso la sentenza del 13/03/2017 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO CAPUTO

Uditi in pubblica udienza: il Sostituto Procuratore generale della Repubblica
presso questa Corte di cassazione dott.ssa P. Lori, che ha concluso per il rigetto
del ricorso nell’interesse di Morelli e per l’inammissibilità degli altri ricorsi; l’avv.
S. D’Aloisi (per il ricorrente Morelli) e l’avv. G. Bisagna (per i ricorrenti Aloui,
Bruneo, Cardella e Surdi), che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

Data Udienza: 03/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata in data 08/07/2016, il Tribunale di Palermo,
all’esito del giudizio abbreviato e per quanto è qui di interesse, dichiarava Morelli
Massimiliano, Aloui Chedli, Surdi Emmanuele Maria, Cardella Emanuele, Bruneo
Alberto Gabriele e Casella Daniele responsabili dei reati – commessi il
10/04/2016 – a ciascuno ascritti di rissa aggravata ex art. 588, secondo comma,
cod. pen. (capo A), danneggiamento aggravato (capo B) e lesioni personali in

Surdi Emmanuele Maria (capo F) e di Bruneo Alberto Gabriele (capo G),
condannando Morelli alla pena finale di anni 2 di reclusione e gli altri imputati
alla pena finale di anni 1 e mesi 6 di reclusione.
Investita dei gravami degli imputati, la Corte di appello di Palermo, sempre
per quanto è qui di interesse, con sentenza deliberata in data 13/03/2017, ha
confermato la sentenza di primo grado, revocando la sospensione condizionale
della pena concessa a Morelli con due precedenti sentenze.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Palermo hanno
proposto ricorso per cassazione Aloui Chedli, Surdi Emmanuele Maria, Cardella
Emanuele, Bruneo Alberto Gabriele, con un unico atto e attraverso il difensore
avv. G. Bisagna, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui
all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo denuncia vizi di motivazione. Gli imputati sono stati
riconosciuti colpevoli in mancanza di prova, ogni oltre ragionevole dubbio, della
loro identificazione sul

locus delicti;

il compendio probatorio si basa,

sostanzialmente su un filmato amatoriale (la cui qualità audio-video risulta poco
chiara) realizzato con un telefono cellulare da un cittadino privato e dalle
dichiarazioni rese dal Commissario della Polizia di Stato Giovanni Militello,
presente al momento dei fatti, che, all’udienza dell’11/04/2016, ha reso una
testimonianza lacunosa e contraddittoria, riferendo di non essere stato in grado
di “sentire” cosa accadeva, sicché, dalla posizione “defilata” e di “sicurezza” in
cui si trovava, è improbabile che abbia potuto vedere alcunché. La sentenza di
primo grado dedica poche righe alle condotte degli imputati e alle azioni
delittuose asseritannente commesse, laddove appare strano che a fronte di
un’asserita presenza di circa 80 persone, Militello sia stato in grado “vedere” e
poi identificare con certezza, mentre “si proteggeva”, solo i quattro odierni
imputati. La sentenza impugnata evidenzia che i ricorrenti erano stati bloccati in
quanto riconosciuti come attivi partecipanti alla rissa, ma non fa alcun
riferimento a come sia avvenuta l’identificazione, né alcun cenno alla deposizione
di Militello, sicché la Corte di appello si è limitata a reiterare il contenuto della

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danno rispettivamente di Mattia Falcone (capo D), di Aloui Chedli (capo E), di

comunicazione di notizia di reato, omettendo di indicare i poliziotti che avevano
identificato gli imputati e di rispondere in ordine alle censure circa la
contraddittorietà della testimonianza indicata.
2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza degli artt. 582 e 585 cod.
pen.: non essendo stata adeguatamente dimostrata la partecipazione degli
imputati agli scontri dai quali ha avuto origine il processo, non è chiaro il
percorso logico-argomentativo che ha condotto all’affermazione di responsabilità
per i reati di lesione; né risulta provata l’appartenenza agli imputati degli

incongrua è l’applicazione della circostanza aggravante, laddove anche il
richiamo operato dalla Corte di appello all’art. 116 cod. pen. non appare
pertinente, essendo viziata la sentenza per il primo motivo.

3. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Palermo ha
proposto ricorso per cassazione Morelli Massimiliano, attraverso il difensore avv.
E. Auricchio, articolando cinque motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art.
173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Il primo motivo denuncia inosservanza delle norme processuali e vizi di
motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio. Erroneamente la Corte di
appello non ha annullato la sentenza di primo grado, pur essendo la motivazione
assolutamente mancante, laddove al ricorrente è stata irrogata una pena
maggiore di un terzo rispetto ai coimputati, subendo di fatto un trattamento
sanzionatorio equivalente alla recidiva, non contestata.
3.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza dell’art. 597 cod. proc. pen. e
dell’art. 168 cod. pen. in relazione alla revoca della sospensione condizionale
della pena.
3.3. Il terzo motivo denuncia vizi di motivazione. Morelli non ha partecipato
materialmente alle lesioni ed è stato riconosciuto responsabile a titolo di
concorso anomalo, ma ciò comporta la previsione che dalla condotta di un non
individuato aggressore sarebbero potute derivare lesioni a un terzo, laddove, nel
caso di specie, la rissa è scoppiata all’improvviso e non risulta che Morelli si fosse
in precedenza accordato con qualcuno per commettere il reato, tanto più che così come i coimputati – è stato assolto dal reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e
6 bis della legge n. 401 del 1989, il che esclude il concorso anomalo, di cui non
risulta l’elemento psicologico.
3.4. Il quarto motivo denuncia vizi di motivazione in relazione
all’imputazione di rissa. Contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza
impugnata, Morelli non può essere ritenuto responsabile del reato di rissa per
difetto dell’elemento psicologico, non realizzandosi il reato di cui all’art. 588 cod.

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strumenti atti ad offendere rivenuti sul luogo dello scontro, sicché del tutto

pen. quando uno dei due gruppi in conflitto si limiti a resistere all’aggressione o
ad assumere una mera difesa di tipo passivo.
3.5. Il quinto motivo denuncia vizi di motivazione in relazione
all’imputazione di danneggiamento. Erroneamente è stata ritenuta la circostanza
aggravante di cui all’art. 635, secondo comma, n. 3, in relazione all’art. 625,
primo comma, n. 7 cod. pen., in quanto la circostanza non è configurabile
qualora la cosa sia custodita in modo diretto e continuo dal proprietario.

proposto ricorso per cassazione Casella Domenico, attraverso il difensore avv. L.
Contucci, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173,
comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
4.1. Il primo motivo denuncia vizi di motivazione con riferimento
all’imputazione di danneggiamento: la Corte di appello ha risposto in modo del
tutto apodittico alla censura per la quale non vi è prova a carico del ricorrente del
reato di danneggiamento e dell’inservibilità dei beni asseritamente danneggiati.
4.2. Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione in relazione alla
conferma del diniego dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.

2. I ricorsi proposti nell’interesse di Aloui Chedli, Surdi Emmanuele Maria,
Cardella Emanuele, Bruneo Alberto Gabriele sono inammissibili.
2.1. Il primo motivo è inammissibile. Richiamato lo svolgimento dello
scontro tra le due tifoserie del Palermo e della Lazio (caratterizzato, tra l’altro,
dall’uso di armi improprie, come confermato dal sequestro sul luogo dei fatti di
bastoni, cinture e di un coltello a serramanico), nonché il ferimento di Mattia
Falcone, la Corte di appello ha rilevato, con specifico riferimento alla posizione
degli imputati Aloui, Surdi, Cardella e Bruneo, che gli stessi furono «bloccati dai
poliziotti in quanto riconosciuti come i soggetti che avevano, poco prima,
partecipato attivamente alla rissa» e che Aoui e Surdi presentavano ferite alla
testa. I ricorsi lamentano che la sentenza impugnata si sarebbe limitata a
richiamare alcuni atti della polizia giudiziaria, ma la doglianza è manifestamente
infondata, in quanto del tutto pacifica è la piena utilizzabilità nel giudizio
abbreviato di tali atti (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 28960 del 10/05/2017, Manca,
Rv. 270527, con riferimento alla comunicazione della notizia di reato; Sez. 6, n.
115 del 02/10/2012 – dep. 2013, Neziraj, Rv. 254007, sull’utilizzabilità della
relazione di servizio della polizia giudiziaria). Quanto alla censura incentrata sulle

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4. Avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Palermo ha

dichiarazioni del Commissario Militello, essa – oltre ad offrire al giudice di
legittimità frammenti probatori o indiziari, sollecitando quest’ultimo ad una
inammissibile rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi (Sez. 5,
n. 44992 del 09/10/2012, Aprovitola, Rv. 253774) – svilisce, all’evidenza, la
valenza dimostrativa di quanto attestato dalla polizia giudiziaria, ossia di aver
riconosciuto gli imputati quali attivi partecipi della rissa. Rilievo, quest’ultimo,
che rende altresì ragione della manifesta infondatezza delle censure relative al
filmato amatoriale (la cui asserita scarsa chiarezza integra, al più,

valenza dimostrativa, laddove, quanto all’indicazione dei poliziotti che avevano
identificato gli imputati, la deduzione è aspecifica con riguardo all’individuazione
degli atti in base ai quali si è formato il convincimento dei giudici di merito, tanto
più che i ricorrenti, secondo quanto risulta dalle sentenze, dopo essere stati
identificati, erano stati tratti in arresto, sicché, tra gli atti sopra indicati, va
anche ricompreso il verbale di arresto da parte degli operanti.
2.2. Il secondo motivo è anch’esso inammissibile. La Corte di appello ha
ritenuto la configurabilità del concorso anomalo degli imputati non autori
materiali delle condotte di lesioni, sottolineando – in linea con i princìpi di diritto
affermati dalla giurisprudenza di questa Corte – che la configurabilità del reato di
rissa aggravata da eventi lesivi o morte non è idonea ad escludere la ricorrenza,
a carico dei corrissanti non autori materiali della lesione o dell’omicidio, anche
del concorso anomalo in uno di questi ulteriori reati, data la loro consapevole
partecipazione a un’azione criminosa realizzata con modalità tanto accese da
determinare in concreto conseguenze di particolare gravità per l’incolumità
personale (Sez. 1, n. 16762 del 03/02/2010, Malgeri, Rv. 246926), posto che il
reato di lesioni personali (così come quello di omicidio), commesso nel corso di
una rissa, concorre con il reato di rissa aggravata ex art. 588, comma secondo,
cod. pen., anche nel caso in cui il corrissante ne debba rispondere a titolo di
concorso anomalo ex art. 116 cod. pen. (Sez. 1, n. 283 del 19/11/2009 – dep.
2010, Hajro, Rv. 245205; conf. Sez. 5, n. 32027 del 19/02/2014, Carrozzo, Rv.
262171). A fronte della valutazione della Corte distrettuale, sostenuta dal
riferimento ai richiamati princìpi di diritto, del tutto prive di consistenza sono le
censure dei ricorrenti circa l’appartenenza degli strumenti atti ad offendere
sequestrati, all’evidenza irrilevante ai fini del ritenuta sussistenza del concorso
anomalo, laddove le ulteriori deduzioni – oltre che non puntualmente correlate
alla decisione – rinviano alle doglianze articolate con il primo motivo, sicché
anch’esse risultano manifestamente infondate.

3. Il ricorso di Massimiliano Morelli è inammissibile.

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un’inammissibile censura di merito), del tutto inidonee ad inficiare la evidenziata

3.1. Il primo motivo è inammissibile, per plurime, convergenti ragioni. Sotto
un primo profilo, le doglianze difensive sono manifestamente infondate alla luce
dell’orientamento del tutto consolidato della giurisprudenza di questa Corte
secondo cui la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i
casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di
appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al
giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di
piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la

244118; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 58094 del 30/11/2017, Amorico, Rv.
271735). Nel caso di specie, peraltro, a quanto è dato comprendere dal tenore
scarsamente perspicuo della censura (Sez. 2, n. 7801 del 19/11/2013 – dep.
2014, Hussien, Rv. 259063), la stessa involge esclusivamente la motivazione
della sentenza di primo grado in ordine al trattamento sanzionatorio, ossia solo
un punto della decisione: il che, all’evidenza, impedisce anche in astratto di
ricondurre la fattispecie processuale in esame alla figura della mancanza di
motivazione. Prive di consistenza sono le ulteriori doglianze che vorrebbero
ricondurre la determinazione della pena effettuata nel quadro dei poteri
commisurativi del giudice di merito alla (non contestata) recidiva.
3.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, alla luce del consolidato
principio di diritto in forza del quale la revoca della sospensione condizionale
della pena disposta dal giudice di appello quando appellante è il solo imputato
non è illegittima nell’ipotesi di cui all’art. 168, comma primo, cod. pen., che
prevede un’attività meramente dichiarativa e non discrezionale del giudice,
sicché non sussiste in tal caso violazione del divieto di

reformatio in peius (Sez.

2, n. 4381 del 13/01/2015, Marino, Rv. 262375; conf., ex plurimis, Sez. 5, n.
11159 del 08/03/2006, Cubadda, Rv. 233980).
3.3. Il terzo motivo è inammissibile. La Corte distrettuale ha motivato la
riconoscibilità, nel caso di specie, dei presupposti del concorso anomalo sulla
base delle caratteristiche della rissa cui hanno partecipato gli imputati, connotata
da modalità tali da configurarne la vasta portata e l’ampia offensività (anche in
ragione del numero di persone coinvolte). A fronte della motivazione resa dalla
Corte distrettuale, che nei termini indicati ha dato conto del coefficiente
psicologico del concorso anomalo (con motivazione non oggetto di specifica
disamina critica da parte dell’impugnazione), le censure del ricorrente sono
articolate in fatto (l’asserito carattere “improvviso” della rissa) ovvero
propongono deduzioni all’evidenza irrilevanti sul piano della critica delle
valutazioni sottese al riconoscimento del concorso

ex art. 116 cod. pen. (la

mancanza di un previo accordo con gli autori materiali delle lesioni), laddove del
tutto privo di consistenza è il rilievo circa il proscioglimento per il reato di cui

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motivazione mancante (Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008 – dep. 2009, Rv.

all’art. 6 bis, I. n. 401 del 1989, motivato dal giudice di primo grado con
riferimento, in particolare, al luogo in ci si svolsero i fatti e alla loro distanza da
quelli individuati dal DASPO.
3.4. Il quarto motivo è inammissibile, in quanto fa leva su deduzioni in fatto
articolate in assenza di completa e specifica individuazione degli atti processuali
fatti valere (Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 – dep. 2012, S., Rv. 252349), ossia
in termini sostanzialmente assertivi.
3.5. Per le medesime ragioni è inammissibile anche il quinto motivo, che

specifica deduzione, tanto più che la Corte distrettuale ha espressamente escluso
che sia risultata una sorveglianza sulle sedie e sui tavoli posti all’esterno del bar.

4. Anche il ricorso di Casella Domenico è inammissibile.
4.1. Il primo motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
La Corte di appello ha compiutamente ricostruito, nel succedersi dei suoi vari
momenti, lo svolgimento della rissa, richiamando, tra l’altro, le condotte degli
ultras della Lazio, tra i quali Casella, che, a un certo punto, avevano lanciato in
direzione del gruppo contrapposto bottiglie di vetro, bicchieri, sedie e tavolini
prelevati dal giardino esterno di un bar: le censure del ricorrente omettono di
confrontarsi con la ricostruzione dei fatti offerta dalla motivazione della sentenza
impugnata, laddove la doglianza relativa agli esiti della condotta aggressiva sulle
cose utilizzate – anche in considerazione della natura di alcune di esse (bottiglie
di vetro, bicchieri) – risultano del tutto inidonee ad inficiare la valutazione delle
conformi sentenze di merito.
4.2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, avendo il giudice
di appello congruamente motivato la conferma del diniego delle circostanze
attenuanti generiche sulla base, in particolare, del parametro della gravità dei
fatti, tanto più che nel motivare il diniego dell’applicazione delle attenuanti
generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli
elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è
sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3,
n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).

5. Alla declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle
ammende della somma, che si stima equa, di Euro 2.000,00.

P.Q.M.

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evoca una custodia delle cose da parte del proprietario in mancanza di qualsiasi

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento ciascuno
delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 a favore della
Cassa delle ammende.

Così deciso il 03/04/2018.

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