Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18277 del 12/03/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18277 Anno 2018
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI LECCE
nel procedimento a carico di:
ZECCA COSTANTINO nato il 01/05/1970 a LEVERANO
inoltre:
PINTO SABINA
RUSSO MASSIMILIANO
avverso la sentenza del 28/09/2017 del GIUDICE DI PACE di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE
SCOTTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale PERLA
LORI, che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice di Pace di Lecce, ex Nardò, con sentenza del 28/9-2/10/2017
ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Costantino Zecca per le
imputazioni di ingiuria e dannermiammito semplice perché il fatto non era più
previsto come reato e lo ha assolto per non aver commesso il fatto dalle ulteriori
imputazioni di minaccia e lesioni lievi nei confronti della moglie Sabina Anna

Data Udienza: 12/03/2018

Pinto e di minaccia e percosse nei confronti di

Massimiliano Russo, non

ritenendo raggiunta la prova della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio.

2.

Ha proposto appello al Tribunale di Lecce in data 13/10/2017 il

Procuratore generale della Repubblica di Lecce, limitatamente ai reati di cui agli
artt.612 e 582 cod.pen., reputando erronea, giuridicamente e attualmente, la
motivazione offerta a sostegno della decisione impugnata.
Il ricorrente osserva che la dichiarazione della persona offesa, comunque

acquisito al processo ed era stata irrazionalmente, senza adeguata motivazione,
considerata inattendibile solo alla luce dell’esistenza di un rapporto conflittuale
fra le parti, così confondendo causa ed effetto.
Non era stato tenuto conto della deposizione di Elisabetta Verdesca,
giudicata senza ragione inattendibile, solo perché parente della persona offesa;
non era stata valutata l’efficacia probatoria del certificato medico, potente
conferma oggettiva delle lesioni subite dalla persona offesa; mancava infine
qualunque elemento di smentita delle dichiarazioni accusatorie.

3. Con ordinanza del 30/11/2017 il Tribunale di Lecce, ritenuto che ex
art.36 d.lgs.274/2000 il Procuratore generale potesse proporre appello solo
avverso le sentenze di condanna applicative di una pena pecuniaria e che contro
le altre pronunce gli fosse consentito esclusivamente il ricorso per Cassazione,
riqualificato l’appello come ricorso

ex

art.568, comma 5, cod.proc.pen., ha

disposto la trasmissione degli atti alla Corte di Cassazione per competenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’art. 36 del decreto legislativo 28/8/2000 n. 274, in tema di
«Impugnazione del pubblico ministero» ammette, nel secondo comma, in via
generale, il pubblico ministero a proporre ricorso per cassazione contro le
sentenze del giudice di pace e gli consente l’appello (nel primo comma) solo
contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena
diversa da quella pecuniaria.
La sentenza di assoluzione del Giudice di pace è quindi suscettibile solo
di ricorso per cassazione. Correttamente, quindi, il Tribunale di Lecce ha
disposto la conversione e trasmesso gli atti a questa Corte ai sensi dell’art.568,
comma 5, cod.proc.pen.

2

coerente, logica e non contraddittoria, non era l’unico elemento di prova

2. Il Procuratore ricorrente, anche perché aveva inteso proporre appello,
non propone le proprie censure sotto forma di motivi classificati nella tipologia
delle censure consentite in sede di legittimità dall’art. 606 cod.proc.pen., non
citato nel contesto dell’atto di impugnazione.
Cionondimeno, le doglianze del ricorrente

paiono sostanzialmente

riconducibili alla deduzione di un vizio motivazionale di cui all’art.606, comma
1, lett. e), cod.proc.pen.

apparente, quantomeno in un passaggio essenziale della valutazione del
materiale istruttorio acquisito e considerato.
In tema di vizio della motivazione della sentenza, la motivazione apparente
e, dunque, inesistente è ravvisabile quando essa sia del tutto avulsa dalle
risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di
asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in
tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione
adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677
del 14/07/2014 – dep. 2015, P.G. in proc. Vassallo, Rv. 263100; Sez. 5, n.
24862 del 19/05/2010, Mastrogiovanni, Rv. 247682).

4. Da un lato, le dichiarazioni accusatorie provenienti dalle persone offese
sono state screditate e ritenute inattendibili solamente sulla base di
considerazioni tipologiche ed astratte, prive di un concreto collegamento alle
acquisizioni processuali, ossia

sulla base di generici sentimenti di rancore e

acredine alimentati dal fallimento della relazione matrimoniale fra lo Zecca e la
Pinto (ed estesi automaticamente anche al Russo).
E’ ben noto poi il consolidato orientamento di questa Corte che trova
espressione nella pronuncia delle Sezioni Unite, n. 41461 del 19/07/2012,
Bell’Arte ed altri, Rv. 253214, secondo il quale le regole dettate dall’art. 192,
comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa,
le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata
da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e
dell’attendibilità intrinseca del suo racconto; tale verifica, peraltro, deve in tal
caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone, anche se, nel caso in cui la persona offesa si
sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali
dichiarazioni con altri elementi.

3

3. La motivazione adottata dal Giudice di primo grado risulta meramente

4. La deposizione della teste Verdesca, zia della Pinto, è stata considerata
inattendibile per la mancata precisa e dettagliata indicazione delle lesioni
provocate alla nipote e per il contrasto con le parti del corpo percosse e lese,
indicate nel prodotto certificato medico, così neutralizzando un ulteriore, seppur
non strettamente necessario, elemento di riscontro alle dichiarazioni accusatorie
delle persone offese.

5. E tuttavia il Giudice non si è puntualmente confrontato con il significativo

probatoriamente considerato (tanto da essere utilizzato argomentativamente per
screditare la deposizione Verdesca), e tuttavia totalmente negletto nella sua
potente capacità rafforzativa delle dichiarazioni accusatorie delle parti civili, visto
che documentava lesioni compatibili con l’accusa contestata.
Il Giudice ha poi, piuttosto oscuramente, prospettato l’assenza «di
qualunque conferma» del certificato medico, conferma nient’affatto necessaria
in relazione ad una prova documentale, proveniente per giunta da un presidio
pubblico, perlomeno in assenza di una deduzione di falsità o di alterazione,
neppur ventilata,senza minimamente considerare la capacità di riscontro di tale
prova documentale rispetto al narrato delle persone offese.
Il ragionamento prospettato è inoltre gravemente contraddittorio, visto che
la testimonianza di Elisabetta Verdesca viene disattesa dal giudice del merito
perché contrasta con il certificato medico, così ritenuto probante, e poi il
certificato medico viene a sua volta disatteso perché asseritamente privo di
capacità dimostrativa e così annullato probatoriamente anche nella sua attitudine
a convalidare il racconto delle persone offese.

5. Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata deve essere annullata
con rinvio per nuovo esame al Giudice di Pace di Lecce.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Giudice di
Pace di Lecce.

Così deciso il 12 marzo 2018.

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