Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18268 del 16/01/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18268 Anno 2015
Presidente: IANNELLI ENZO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– Della Monica Sabato, nato a Cava de’ Tirreni (SA) il 17 aprile 1946
avverso l’ordinanza d’inammissibilità dell’impugnazione della Corte d’appello di
L’Aquila in data 11 novembre 2013.
Sentita la relazione svolta dal consigliere dott. Giovanni Diotallevi;
Lette le conclusioni del P.G. in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott.ssa Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.

Con il provvedimento impugnato veniva disposta l’archiviazione,

all’esito dell’ udienza camerale, del procedimento penale nei confronti di Avitabile
Paolo in ordine ai reati di cui agli artt. 56,629,481 e 369 cod. pen. asseritamente commesso in danno di Della Monica Sabato.

Data Udienza: 16/01/2015

La parte offesa Della Monica Sabato ricorrente ha dedotto violazione di
legge per mancanza della motivazione e violazione di legge per erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta insussistenza del reato di estorsione, della ritenuta sussistenza del falso innocuo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il provvedimento impugnato risulta congruamente motivato nel valutare la manifesta irrilevanza dei presunti fatti reato enunciati, perché non assurgerebbero a

piuttosto confinati all’interno di una controversia strettamente civilistica.
Orbene, poiché l’ordinanza di archiviazione è impugnabile nei rigorosi limiti fissati dall’art. 409, comma sesto, cod. proc. pen., che, nel fare espresso e
tassativo richiamo ai casi previsti dall’art. 127, comma quinto, dello stesso codice, legittima il ricorso per cassazione soltanto nel caso non siano state rispettate
le regole sull’intervento delle parti in camera di consiglio, è inammissibile il ricorso proposto dalla persona offesa con il quale sono proposte censure attinenti alla
valutazione di non fondatezza della notizia di reato. (Vedi C. cost., sent. n. 353
del 1991). (e fin da Sez. 6, n. 5144 del 16/12/1997 – dep. 12/01/1998, Sofri ed
altro, Rv. 210060).
Nel caso concreto, il Gip si è attenuto agli enunciati principi ed in particolare ha dato conto della ritenuta inammissibilità dell’opposizione sotto il citato
profilo: in tale situazione, esclusa l’ipotesi di un vizio procedurale (riconducibile
alle ipotesi di cui artt. 409 c. 6 e 606 lett. c.) c.p.p.), le censure all’adottata motivazione risultano precluse.
La violazione del contraddittorio dunque è l’unico vizio denunziabile con il
ricorso avverso il provvedimento di archiviazione, vuoi preso de plano vuoi, a
maggior ragione emesso a seguito di camera di consiglio (S.U., sent. 24 del
1995, citata, e tra molte, Sez. 6, n. 436 del 05/12/2002, Mione; Sez. 1, n. 8842
del 07/02/2006, Laurino; Sez. 6, n. 3896 del 26/10/1995, Ronchetti; Sez. 6, n.
3018 del 20/09/1991, Di Salvo;Cass., sez. I, 3 febbraio 2010, n. 94440, CED
246779). Osta a una diversa lettura il principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione e non v’è ragione costituzionalmente imposta di un ampliamento della
piattaforma dei vizi denunziabili mediante ricorso. La natura, “interlocutoria e
sommaria… finalizzata a un controllo di legalità sull’esercizio dell’azione penale e
non a un accertamento sul merito dell’imputazione” (C. cost. ord. nn. 153 del
1999, 150 del 1998, 54 del 2003; sent. n. 319 del 1993), dell’archiviazione e la
ratio, esclusivamente servente il controllo di legalità e obbligatorietà dell’azione

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fatti capaci di integrare la configurazione di una fattispecie penale, rimanendo

penale, che tradizionalmente si riconosce assistere lo ius ad loquendum e gli
strumenti di tutela dell’offeso (“negli stretti limiti in cui ciò risponda” a tale funzione di controllo: C. cost. ord. n. 95 del 1998), consentono d’affermare infatti
che alla pretesa sostanziale del denunziante/querelante offrono comunque adeguata garanzia: da un lato la possibilità di sollecitare una riapertura delle indagini anche sulla scorta di indagini difensive; dall’altro l’intatta facoltà di esercitare i
propri diritti d’azione e difesa, ampiamente e senza preclusione alcuna, nella sede (civile) propria.

archiviazione per vizi di motivazione che non si risolvano in violazioni del contraddittorio e neppure è possibile impugnare il provvedimento assertivamente affetto da error in iudicando.
Può solo aggiungersi che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale (cfr. in particolare C. cost. n. 95 del 1998, e, ivi richiamata C. cost. n. 88
del 1991), il problema dell’archiviazione è di evitare il processo superfluo senza
eludere il principio di obbligatorietà dell’azione penale ed anzi controllando caso
per caso la legalità dell’inazione, onde far sì che i processi concretamente non instaurati siano solo quelli risultanti effettivamente superflui;gli strumenti di verifica e controllo del giudice in ordine all’attività omissiva del pubblico ministero sono dunque finalizzati a contrastare le inerzie e le lacune investigative di quest’ultimo ed evitare che le sue scelte si traducano in esercizio discriminatorio dell’azione (o inazione) penale; a tale logica, e in vista di quei risultati funzionali, va
dunque ricondotta la previsione di uno ius ad loquendum della (sola) persona offesa quale strumento di sua tutela: a differenza della persona sottoposta ad indagine, che non è invece “portatrice di diritti.., coinvolti dal parametro che quel
controllo mira a presidiare”. La qual cosa porta ad escludere, attesa la peculiare
natura e funzione del procedimento di archiviazione, che l’eventuale “contraddittorio” tra persona offesa e indagato nell’ambito della procedura camerale corrisponda in ogni caso ad un interesse giuridicamente garantito per tutte le parti
(cfr. S.U., n. 10 del 29/05/1992, Adami, in tema di procedimento cartolare pretorile), dall’altro che della sua mancanza possa dolersi l’opponente che non dimostri come l’omissione abbia inciso sul suo diritto ad interloquire in relazione
alla completezza delle indagini e/o al fondamento della richiesta d’archiviazione.
S’impone pertanto declaratoria di inammissibilità del ricorso con condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle
ammende di una somma che valutata la vicenda processuale, si stima equo fissare in lire 1.000.000.

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Non è possibile per tali ragioni denunziare la nullità del provvedimento di

P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e, inoltre, al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore
della Cassa delle ammende.
Così dec . o in Roma, nella camera di consiglio del 16 gennaio 2015.
Il Presidente/

r/7
(E
la

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