Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18251 del 13/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18251 Anno 2018
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: CIANFROCCA PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di:
Tramparulo Vincenzo, nato a Castellammare di Stabia il 21.10.1989,
contro il decreto della Corte di Appello di Napoli del 27.6.2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Pierluigi Cianfrocca;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale dott. Mariella De
Masellis, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento del 27.2016 la Corte di Appello di Napoli,
accoglieva in parte, riducendo la durata della misura di prevenzione personale ad
anni 2, l’appello proposto nell’interesse di Vincenzo Tramparulo contro il decreto
emesso dal Tribunale in data 10.4.2016 con il quale al predetto era stata
applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo
di soggiorno nel Comune di residenza per la durata di anni tre e mesi 6 ed il
pagamento di una cauzione dell’importo di Euro 7.000; la Corte di Appello, dopo
aver premesso come fosse incontroversa la sussistenza dei presupposti da cui
evincere la valutazione della pericolosità sociale del Tramparulo ai sensi dell’art.
4 lett. a) del D. Lg.vo 159 del 2011 ne ripercorreva comunque i termini
aggiungendo che, per altro verso, non poteva condividersi la contestazione
difensiva circa il difetto del requisito della loro attualità rispetto al momento della
proposta e della successiva adozione del provvedimento di prevenzione, dal
canto suo non incompatibile con il regime detentivo;

Data Udienza: 13/03/2018

2. ricorre per Cassazione, tramite il difensore, Vincenzo Tramparulo,
lamentando violazione di legge in riferimento alla ritenuta attualità della
pericolosità sociale ravvisata dai giudici di merito; rileva, a tal proposito, come la
motivazione adottata dalla Corte di Appello sia ancorata a dati a suo avviso
pregiudiziali laddove è stata ritenuta una presunzione di perdurante pericolosità
ribaltando a carico del proposto l’onere di dimostrare elementi di segno contrario
rispetto alla persistenza del legame con il sodalizio criminale oggetto di pregressi
accertamenti giudiziali; ribadisce come, al contrario, la verifica del profilo della

presupposto per la applicazione della misura soprattutto nel caso in cui, come in
quello di specie, gli elementi di valutazione oggetto di accertamento in sede
penale risalgano ad anni addietro;
3. in data 28.2.2018, il Pubblico Ministero ha depositato la requisitoria
scritta in cui richiama i più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità, con
particolare riguardo alla sentenza delle SS.UU. “Gattuso” rilevando, nel
contempo, come nel caso di specie la Corte di Appello si sia fatta carico di
motivare in punto di attualità della pericolosità sociale ravvisata nei confronti del
Tramparulo, nel pieno e coerente rispetto dei principi fissati nella suddetta
pronuncia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Prima di affrontare l’esame del ricorso è opportuno ribadire che nel
procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per
violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n.
1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575
e, oggi, dagli artt. 10, comma 3, e 27, comma 2, del D. Lg.vo 159 del 2011; ne
consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei
vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art.
606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso,
poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto
motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge
n.1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (cfr,
così, tra le tante, Cass. SS.UU., 29.5.2014 n. 33.451, Repaci che, in
motivazione, ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione
mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi
che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino
in ogni caso assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del
provvedimento impugnato; conf., Cass. Pen., 1, 7.1.2016 n. 6.636 Pandico;
Cass. Pen., 6, 15.6.2016 n. 33.705, Caliendo).

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attualità della pericolosità (ancorché “speciale”) rappresenti un indefettibile

2. La Corte di Appello di Napoli, nel vagliare le censure mosse nei
confronti del provvedimento adottato dal Tribunale, ha spiegato che il giudizio di
pericolosità sociale non era stato messo in discussione nemmeno dal ricorrente
che non aveva svolto, su questo aspetto, alcuna censura.
Ha quindi ancorato tale giudizio alle circostanze evidenziate nel
provvedimento impositivo richiamando, comunque, l’accertamento, intervenuto
con sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 29.1.2014, passata in
giudicato ed irrevocabile il 2.3.2016, avente ad oggetto la sua appartenenza del

collaboratori di giustizia che, al di là del dato rappresentato dall’esclusione
dell’aggravante di cui all’art. 7 del DL 152 del 1991, avevano comunque
confermato (con dichiarazioni confortate dagli esiti della attività di
intercettazione) che, dopo l’omicidio del consigliere comunale Tommasino, il
Tramparulo aveva partecipato alla attività di reperimento di risorse finanziarie da
destinare alla attività del clan; ha richiamato inoltre l’omicidio Scotognella (del
29.6.2009) per il quale il Tramparulo era stato condannato con sentenza
divenuta definitiva il 27.7.2016, omicidio il cui mandante era stato ritenuto tale
Belviso Salvatore, cugino del capoclan Vincenzo D’Alessandro il quale, per un
certo periodo, era stato sostituito proprio dal Belviso.
In definitiva, la Corte di Appello ha segnalato come la figura del
Tramparulo risultasse delineata dalle plurime fonti acquisite quale soggetto
pienamente inserito nel clan D’Alessandro, attivo nel settore delle estorsioni ed
egli stesso esecutore materiale dell’omicidio del 29.6.2009, commesso nel
contesto dell’attività estorsiva del sodalizio ai danni dei parcheggiatori abusivi di
Castellammare di Stabia; ha ritenuto dunque il proposto certamente
riconducibile alla categoria di cui all’art. 4 lett. a), appartenente al clan
D’Alessandro sino al 2011, periodo di inizio della sua detenzione sostenendo non
esservi dubbio alcuno circa la ricorrenza del profilo della pericolosità al momento
della pronuncia del decreto di primo grado, in considerazione del ruolo ricoperto
dal Trannparulo all’interno del sodalizio e sino al febbraio del 2011, data di inizio
dello stato di detenzione, giudicata non lontana da quella in cui era intervenuta
la pronuncia di primo grado.
Sotto tale profilo, ha richiamato i provvedimenti di libertà vigilata adottati
dal Tribunale e dalla Corte di Assise il 29.1.2013 ed il 29.9.2014 dal Tribunale di
Torre Annunziata.
Ha infine chiarito che lo stato detentivo del proposto non poteva ritenersi
incompatibile con la applicazione della misura ovvero con la persistenza della
pericolosità sociale che, alla luce dell’insegnamento della Corte e dei principi

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proposto al clan D’Alessandro; ha richiamato inoltre le dichiarazioni dei

elaborati anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, andrà verificata
come tale al momento in cui, cessata la applicazione della misura detentiva,
potrà essere applicata quella di prevenzione personale che con la prima non
fosse originariamente incompatibile.
In tal modo, peraltro, la Corte ha correttamente valorizzato, con
valutazione autonoma, ed anche ai fini della attualità della pericolosità del
prevenuto, elementi acquisiti nell’ambito di procedimenti penali definiti ed altri
non ancora definiti ma in grado, comunque, di delineare un compendio indiziario

l’autonomia della valutazione dei medesimi elementi ai fini del giudizio di
pericolosità rispetto a quello cautelare, tra le tante, Cass. Pen., 6, 8.1.2013 n.
4.668, Parmigiano; Cass. Pen., 2, 30.4.2013 n. 26.774, Chianese; Cass. Pen.,
5, 17.12.2015 n. 1.831, Mannina; Cass. Pen., 5, 31.3.2000 n. 1.968, Mannone,
nella quale la Corte ha avuto modo di chiarire che tra gli elementi di indagine
circa la effettiva pericolosità sociale del proposto, possono essere riconnpresi
quelli contenuti in ordinanze applicative della misura cautelare, quantunque
annullate dal giudice di legittimità per difetto di motivazione, competendo al
giudice della prevenzione rivalutare, in assoluta autonomia di giudizio, quegli
elementi che il giudice della misura cautelare non abbia eventualmente
coordinato logicamente).
I giudici di merito hanno quindi di nuovo correttamente osservato che lo
stato di detenzione del prevenuto non può di per sé consentire di ritenere
superato o attenuato il giudizio di attualità della pericolosità sociale
configurandosi, in realtà, come indiretta conferma della prognosi così effettuata
(cfr., in tal senso, Cass. Pen., 2, 5.3.2015 n. 112.915, Rango; Cass. Pen., 1,
9.3.2017 n. 27.970, Greco).
Ha aggiunto che la Corte di Assise di Napoli, con provvedimento del
29.1.2013 ed il Tribunale di Napoli, con provvedimento del 29.9.2014, avevano
applicato al Trannparulo la misura di sicurezza della libertà vigilata sulla scorta
della necessaria valutazione concreta della sua pericolosità.
3. A questo punto, peraltro, anche alla luce del motivo di ricorso articolato
nell’interesse del Tramparulo, è necessario dar conto del recente intervento
operato in materia dalle SS.UU. con la sentenza n. 111 del 30.11.2017 (dep. in
data 4.1.2018), “Gattuso”.
In quella occasione, infatti, è stato in primo luogo ribadito il principio per
cui il concetto di “appartenenza” ad una associazione mafiosa, rilevante per
l’applicazione delle misure di prevenzione, evoca quella condotta che, non

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idoneo a supportare un provvedimento di custodia cautelare in carcere (cfr., per

riconducibile specificamente alla “partecipazione”, si sostanzia in un’azione,
anche isolata, funzionale agli scopi associativi, con la esclusione delle situazioni

di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale.
Per altro verso, poi, le SS.UU. hanno affrontato il quesito, sottoposto alla
loro attenzione con la ordinanza di remissione, “se, nel procedimento applicativo
delle misure di prevenzione personali nei confronti degli indiziati di ‘appartenere’
ad una associazione di tipo mafioso, sia necessario accertare il requisito della
‘attualità’ della pericolosità del proposto”.

giurisprudenza, a partire da quella che, prima dell’intervento operato con il D.
Lg.vo 159 del 2011, muoveva dalle disposizioni in tema di pericolosità qualificata
dall’appartenenza all’associazione mafiosa, di cui all’art. 1 della legge 31 maggio
1965, n. 575, rispetto a quelle in tema di pericolosità generica richiamate
dall’art. 3, primo comma, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, per le quali era
specificamente richiesto un giudizio di pericolosità “attuale”, orientamento che
era stato ribadito anche successivamente alla entrata in vigore del D. Lg.vo 159;
hanno quindi richiamato quell’orientamento che, invece, considera la
presunzione di pericolosità come “affievolita” per effetto del trascorrere del
tempo; ed inoltre quella tesi, anch’essa maturata nel periodo precedente alle
modifica introdotte con il D. Lg.vo 159 del 2011, che richiede sempre e
comunque una motivazione specifica sul punto della attualità della pericolosità;
non senza, peraltro, segnalare come, in molti casi, le divergenze segnalate
fossero, in realtà, più apparenti che reali, dando atto che le decisioni anche
successive all’entrata in vigore del decreto legislativo riconducibili al primo
indirizzo difficilmente si esprimono in termini assoluti sull’irrilevanza del decorso
del tempo, attribuendo invece rilievo alla mancanza di prove sullo sfaldarsi,
oggettivo o soggettivo, del gruppo di “appartenenza” e pervenendo a tale
soluzione dopo aver richiamato le specifiche condizioni di fatto, quali, oltre che
l’adeguata dimostrazione di appartenenza, la natura storica del gruppo illecito a
cui essa si riconduca, alla tipologia della partecipazione, con particolare
riferimento all’apporto del singolo proposto, al suo accertamento con sentenza
definitiva, alla sua particolare valenza nella vita del gruppo, per effetto, ad
esempio, del ruolo verticistico rivestito dall’interessato; in tal modo, infatti, era
già stato chiarito che dalla sola appartenenza all’associazione mafiosa, pur se
riferibile a compagini storiche, non possa automaticamente discendere l’attualità
della pericolosità, a prescindere da ogni analisi rapportata ai tempi
dell’intervento di prevenzione.

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Hanno dato conto delle diverse opzioni interpretative assunte dalla

Si è pertanto affermato che, superata la differenziazione sul piano
normativo, deve concludersi nel senso che la pericolosità, con riferimento
all’epoca di valutazione applicativa della misura, vada accertata per tutti i casi
previsti dall’art. 4 cit., essendosi parificate le disposizioni attualmente in vigore,
secondo le direttive espresse dalla legge-delega del 13 agosto 2010, n. 136, in
ordine alla necessità di prevedere presupposti giustificativi delle misure
chiaramente definiti e che l’applicazione della massima di esperienza desumibile
dal dato della tendenziale stabilità del vincolo può essere invocata solo

oggetto della proposta e non può essere, da sola, genericamente in grado di
sostenere l’accertamento di attualità.
In definitiva, le SS.UU. hanno chiarito che “il richiamo alle presunzioni
semplici deve essere corroborato dalla valorizzazione di specifici elementi di fatto
che le sostengano ed evidenzino la natura strutturale dell’apporto, per effetto
delle ragioni di collegamento espressamente enucleate sulla base degli atti, onde
sostenere la connessione con la fase di applicazione della misura” aggiungendo
che “occorre confrontarsi, al fine della valutazione di persistente pericolosità, con
qualsiasi elemento di fatto suscettibile, anche sul piano logico, di mutare la
valutazione di partecipazione al gruppo associativo, al di là della dimostrazione di
un dato formale di recesso dalla medesima – anche lì dove sia possibile evocare
astrattamente un recesso, che si può connettere solo ad attività partecipativa
quale può ravvisarsi nel decorso di un rilevante periodo temporale o nel
mutamento delle condizioni di vita, tali da renderle incompatibili con la
persistenza del vincolo”.
4. A questo punto, va ancora ribadito che a definire il perimetro e l’ambito
del giudizio di legittimità in questa specifica materia concorrono i limiti propri e
tipici del sindacato riservato alla Corte Suprema, che non ha per oggetto la
revisione del giudizio di merito quanto, piuttosto, la verifica della struttura logica
del provvedimento non potendo tale vaglio risolversi nel (ri)esame e
(ri)valutazione degli elementi di fatto, riservati al giudice di merito, cui la Corte
non può sostituirsi nella ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di
una decisione alternativa.
5. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha affrontato il gravame
devolutole in maniera puntuale ed esaustiva, dando conto dei criteri fondanti il
giudizio di pericolosità qualificata e della sua attualità, ritenendone la persistenza
anche alla luce del rilievo fondato sullo stato di detenzione sofferto dal proposto
e, come si è visto, correttamente reputato inidoneo a contrastare la valutazione
prognostica di sfavore.

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attraverso la previa analisi specifica dei suoi presupposti di validità nel caso

Infatti, con riguardo alla verifica della attualità della pericolosità, la Corte
di Appello ha operato una ampia ricognizione degli elementi in grado di
comprovare le condotte contrarie alle regole di civile convivenza tenute dal
soggetto proposto, ad iniziare dai pregiudizi penali a suo carico, pervenendo, con
argomentazioni immuni da vizi logici e giuridici, a ritenerne la probabilità di loro
reiterazione.
In proposito, come si è già accennato, ha sottolineato come la pericolosità
sociale non potesse dirsi venir meno alla luce del tempo trascorso dalla sua

criminale dedito alla attività estorsiva, ben radicato nel territorio di competenza
e tuttora operante, inserimento particolarmente ribadito dalla commissione dei
reati di omicidio essi stessi finalizzati ad sottolineare la potenza del clan ed il suo
controllo delle attività economiche.
La Corte di Appello, in definitiva, non sottraendosi alla sollecitazione della
difesa del ricorrente che, sul punto, aveva formulato una specifica censura, ha
ritenuto non esservi dubbio alcuno circa la ricorrenza del profilo della pericolosità
“attuale” del proposto, ovvero della esistenza di tale condizione al momento della
richiesta e della pronuncia del decreto di primo grado, in considerazione del ruolo
ricoperto dal Tramparulo all’interno del sodalizio, tuttora operante, da epoca
certamente risalente e sino al momento del suo arresto, intervenuto nel febbraio
del 2011.
Nel giudizio di prevenzione, d’altra parte, la valutazione di pericolosità
soggettiva che sorregge la prognosi formulata dal giudice rappresenta la
proiezione di elementi di giudizio acquisiti al procedimento per il tramite di una
varietà di fonti di conoscenza e che finiscono con l’essere gli indicatori della
inclusione del soggetto proposto in una delle categorie criminologiche previste e
delineate dalla legge assumendo in tal modo valore predittivo del
comportamento futuro.
Il decreto in verifica, dunque, non si presta alle censure articolate in
questa sede atteso che, lungi dal dare acritica adesione all’orientamento secondo
cui il giudizio di pericolosità “qualificata” non necessita di una specifica
motivazione in punto di attualità della stessa, non ha eluso il problema posto
dalla difesa sottolineando come gli elementi acquisiti consentissero di formulare
una diagnosi di appartenenza al sodalizio certamente risalente e comunque
perdurante sino alla adozione del provvedimento custodiale risalente al febbraio
del 2012.

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ultima manifestazione considerando il suo stabile inserimento nel sodalizio

Come è noto, peraltro, in presenza di un apprezzabile intervallo temporale
tra condotta accertata in sede penale e giudizio di pericolosità attuale, la
valutazione va operata alla luce di tre indicatori fondamentali:
a) il livello di coinvolgimento dell’attuale proposto nelle pregresse attività
del gruppo criminoso, essendo ben diversa la potenzialità criminale espressa da
un soggetto di vertice rispetto a quella di chi ha posto in essere condotte di mero
ausilio o di episodica contiguità finalistica;
b) la tendenza del gruppo di riferimento a mantenere intatta la sua

azioni repressive da parte dell’autorità giudiziaria, posto che solo in detta ipotesi
può ragionevolmente ipotizzarsi una nuova “attrazione” del soggetto nel circuito
relazionale illecito;
c) la manifestazione, in tale intervallo temporale, da parte del proposto di
comportamenti denotanti l’abbandono delle logiche criminali in precedenza
condivise.
Ebbene, la Corte di Appello di Napoli, con motivazione sintetica ma
certamente immune da vizi, ha fatto riferimento a siffatti indicatori confermando,
infine, il giudizio di pericolosità “attuale” e “persistente” in capo all’odierno
ricorrente.
6. La Corte, infine, ha chiarito che lo stato detentivo del proposto il quale,
tratto in arresto nel 2011 non poteva ritenersi incompatibile con la applicazione
della misura ovvero con la persistenza della pericolosità sociale che andrà
(ri)verificata al momento in cui, cessata la applicazione della misura detentiva o
paradetentiva, potrà essere applicata quella di prevenzione personale che con la
prima non fosse originariamente incompatibile.
In tal modo, la Corte napoletana si è conformata all’insegnamento ormai
risalente della Corte che, a partire da SS.UU. 25.3.1993 n. 6, Tunnminelli, ha più
volte avuto modo di chiarire che la misura di prevenzione della sorveglianza
speciale di pubblica sicurezza è applicabile anche nei confronti di persona
detenuta al momento della adozione del provvedimento, dovendosi distinguere
tra il momento deliberativo ed il momento esecutivo della misura di prevenzione
e attenendo la sua incompatibilità con lo stato di detenzione del proposto
unicamente alla esecuzione della misura stessa, con la conseguenza per cui la
misura di prevenzione può avere inizio solo quando tale stato venga a cessare,
ferma restando la possibilità per il soggetto di chiederne la revoca, per
l’eventuale venire meno della pericolosità in conseguenza dell’incidenza positiva
sulla sua personalità della funzione risocializzante della pena (cfr., anche, Cass.

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capacità operativa nonostante le mutevoli composizioni soggettive correlate ad

SS.UU., 25.10.2007 n. 10.281, Gallo; Cass. Pen., 1, 25.3.2015 n. 30.101,
Cambareri che, a sua volta, ha segnalato gli effetti, sul sistema, della
dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 12 della legge 27 dicembre
1956 n. 1423, e dell’art. 15 del d.lgs 6 settembre 2011, n. 159, pronunciata
dalla Corte costituzionale con sentenza n. 291 del 2013 – con la necessità di
procedere, al momento di eseguire la misura, ad una verifica “ex officio”
dell’attualità della pericolosità del prevenuto).
7. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod.

della sanzione pecuniaria di Euro 2.000 da versarsi in favore della Cassa delle
Ammende, non ravvisandosi ragioni d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 13 marzo 2018

Il Consigfe- qstensore
Pierlui

CianfrOcca

Presidente
Diotailevi

proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e

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