Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1825 del 18/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 1825 Anno 2016
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Puca Lorenzo, nato ad Aversa, il 13/10/1985;

avverso l’ordinanza del 30/7/2015 del Tribunale di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Giovanni
Di Leo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Valerio Vianello Accorretti, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 18/11/2015

1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Napoli ha respinto l’appello proposto ai
sensi dell’art. 310 c.p.p. da Puca Lorenzo avverso il provvedimento con il quale lo
stesso Tribunale, in sede di cognizione, aveva rigettato la sua richiesta di revoca o
sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere applicatagli per il reato di
cui all’art. 12-quinquies I. n. 356/1992 aggravato ai sensi dell’art. 7 I. n. 203/1991.
2. Avverso l’ordinanza ricorre il Puca a mezzo del proprio difensore deducendo
violazione di legge e correlati vizi della motivazione. In tal senso il ricorrente eccepisce

coinvolti nella vicenda relativa al mutamento della residenza della convivente
dell’imputato; produzioni che il Tribunale ha ritenuto erroneamente inconferenti in
quanto estranee all’area di devoluzione, trascurando quanto stabilito dalla
giurisprudenza di legittimità sull’introduzione di nova probatori nell’appello cautelare e
comunque la cui necessità – e per l’appunto legittimazione – è conseguita al fatto che
era stato proprio il giudice della cognizione, nel rigettare l’istanza ex art. 299 c.p.p.,
ad introdurre autonomamente l’argomento, invece irrilevante ai fini della prognosi di
attualità delle esigenze cautelari stante l’estraneità del Puca alla suddetta vicenda.
Sotto altro profilo il giudice dell’appello avrebbe invece apoditticamente enfatizzato nel
giudizio di adeguatezza le violazioni alle prescrizioni imposte con gli arresti domiciliari
– poi sostituiti con la detenzione carceraria – in cui era incorso il Puca, non tenendo
conto che le stesse si sarebbero sostanziate in due incontri non autorizzati con il
fratello e la convivente (già autorizzata ai colloqui con il ricorrente durante il suo primo
periodo di detenzione carceraria), inidonei ad evidenziare l’inserimento del prevenuto
in quel pericoloso contesto criminale di cui si parla nel provvedimento, ma altresì
inidonee ad essere qualificate come effettive trasgressioni del regime cautelare
imposto. Il Tribunale avrebbe poi omesso di considerare, anche sotto il profilo della
proporzionalità della misura, che è intervenuta in primo grado condanna del Puca per
uno solo dei reati oggetto della misura cautelare, essendo egli stato assolto dagli altri
quattro, circostanza in grado di ridimensionare la gravità complessiva del fatto
addebitatogli, tanto più che la suddetta condanna riguarda l’intestazione fittizia di beni
del padre dell’imputato risalente al 2009, che la custodia cautelare prosegue da tre
anni e che il Puca è comunque tuttora incensurato.
3. Con atto depositato il 3 novembre 2015 il difensore dell’imputato ha altresì proposto
motivi nuovi.
3.1 Con il primo denunzia vizi della motivazione del provvedimento impugnato, tra cui
il travisamento delle risultanze processuali. In tal senso, secondo il ricorrente, il
Tribunale, ai fini della valutazione sulla inadeguatezza del regime di detenzione
domiciliare, ha fatto riferimento alla presunta incidenza della violazione delle

la legittimità delle produzioni difensive ad oggetto le dichiarazioni rese dai soggetti

prescrizioni imposte al Puca nella decisione di ripristinare la custodia carceraria,
quando invece il relativo provvedimento non aveva ascritto all’imputato alcuna
violazione di tal genere (riconoscendo anzi che la Angelino era la sua convivente), ma
aveva giustificato la decisione in relazione alla coeva vicenda del mutamento della
residenza di quest’ultima.
3.2 Quanto a tale vicenda i giudici del merito avrebbero invece omesso di confutare le
obiezioni svolte con i motivi d’appello concernenti il difetto di qualsiasi evidenza in
grado di collegare il Puca alle presunte indebite pressioni esercitate sugli uffici

presso l’abitazione del compagno al fine di risultare nuovamente convivente con il
medesimo. Ma il provvedimento impugnato sul punto sarebbe altresì contraddittorio,
affermando, per un verso, il valore sintomatico del fatto menzionato, ma negando, per
l’altro, di poter formulare un giudizio anche solo incidentale sull’effettivo
coinvolgimento dell’imputato nel medesimo.
3.3 Con un secondo motivo la difesa ritorna sugli ulteriori vizi della motivazione già
rilevati con il ricorso principale e concernenti la mancata considerazione, ai fini della
valutazione ex art. 275 comma 3 c.p.p., degli esiti del dibattimento di primo grado,
con il conseguente ridimensionamento dell’accusa gravante sull’imputato, del fatto che
allo stesso mai sia stata contestata l’intraneità a consorterie mafiose e che il reato per
cui è intervenuta condanna risalga ad oltre cinque anni fa. Lamenta inoltre il ricorso
l’apoditticità della motivazione posta dal Tribunale a sostegno dell’affermata
proporzionalità della misura carceraria, priva di qualsiasi concreta analisi del rapporto
tra l’entità della pena irrogata nel giudizio di cognizione e il tempo già trascorso in
custodia cautelare dal Puca.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti.
2. Va innanzi tutto precisato come oggetto di devoluzione nel giudizio di appello
cautelare siano stati esclusivamente i profili attinenti l’adeguatezza e la proporzionalità
della misura carceraria applicata.
2.1 Ciò detto deve rilevarsi che il provvedimento del giudice della cognizione con il
quale venne ripristinata la custodia carceraria ai sensi dell’art. 299 c.p. effettivamente
ha motivato non tanto in relazione alla violazione delle prescrizioni relative agli arresti
domiciliari (integrate dall’incontro del Puca con il fratello e la compagna soggetti non

comunali di Sant’Antimo per consentire alla Angelino di riportare la sua residenza

formalmente autorizzati a frequentare il domicilio in cui egli era ristretto), quanto in
riferimento alla vicenda delle pressioni eserciate sui funzionari del comune di
Sant’Antimo per agevolare il mutamento della residenza della Angelino.
2.2 Tale circostanza non impediva al Tribunale di valorizzare le suddette violazioni
come argomento a sostegno della ritenuta inadeguatezza della detenzione domiciliare,
ma comunque imponeva al giudice dell’appello cautelare di spiegare le ragioni per cui
tali violazioni dovrebbero ritenersi di spessore tale da giustificare la valutazione
compiuta. Infatti, nel momento in cui il provvedimento impugnato ha inteso

chiaramente dalla rassegnata impossibilità di formulare un giudizio incidentale
sull’effettivo coinvolgimento del Puca in tale vicenda) era onere del Tribunale motivare
– come invece non ha fatto – sull’effettivo spessore delle menzionate violazioni, tanto
più alla luce dell’incontestata circostanza per cui i protagonisti degli incontri
“clandestini” erano stati in precedenza autorizzati ai colloqui con l’imputato durante il
primo periodo della sua detenzione carceraria, nonché sulle concrete ragioni della loro
sintomaticità della permanente intensità delle esigenze cautelari, tale da risultare
tuttora ostativa alla concessione degli arresti domiciliari.
2.3 Ed in tal senso difetta nella motivazione del provvedimento altresì l’effettiva
valutazione del ridimensionamento della contestazione che aveva determinato
l’intervento cautelare conseguito alla condanna del Puca per uno solo dei fatti
originariamente imputatigli. Circostanza questa che deve rientrare nel giudizio di
commisurazione della misura in ragione della necessità di ponderare l’attuale intensità
del pericolo di recidivanza alla luce della eventualmente accertata non serialità dei fatti
per cui è intervenuta condanna, anche – ma ovviamente non solo – in ragione della
comparazione tra il tempo trascorso in custodia cautelare e l’entità della pena irrogata
all’esito del giudizio di primo grado. Ciò non significa che, nell’indagine volta ad
accertare l’adeguatezza della detenzione carceraria, debba riconoscersi rilevanza
esclusiva ed assorbente al fatto che sia venuta meno, nelle more, una parte delle
accuse in origine contestata, ma solo che il giudice dell’incidente cautelare deve fornire
specifica indicazione delle ragioni per le quali la misura più afflittiva viene ritenuta
tuttora idonea allo scopo e proporzionata all’entità e gravità dei fatti di reato oggetto
della cautela (cfr. Sez. 2, n. 25378 del 15 maggio 2015, P.M. in proc. Mele, Rv.
264229).

3. Le evidenziate lacune motivazionali impongono l’annullamento del provvedimento
impugnato con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame, dovendosi ritenere per
altro verso assorbite in tale decisione tutte le doglianze del ricorrente che non hanno
trovato specifica trattazione.

marginalizzare il rilievo della vicenda del cambio di residenza (intenzione che emerge

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al direttore
dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 comma 1-ter disp. att. c.p.p.

Così deciso il 18/11 2015

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