Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18248 del 15/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18248 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BELFORTE SALVATORE N. IL 09/12/1961
avverso l’ordinanza n. 1006/2014 GIUD. SORVEGLIANZA di
MILANO, del 15/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. CeAll o
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Data Udienza: 15/04/2015

Ritenuto in fatto

1.Con decreto 15 gennaio 2014 il Magistrato di Sorveglianza di Milano dichiarava non
luogo a provvedere in ordine al reclamo, proposto dal detenuto Salvatore Belforte, con il quale
costui aveva chiesto di poter fruire di un colloquio visivo con i familiari prolungato di due ore. A
fondamento della decisione il giudice riteneva ostativa all’accoglimento della domanda la

bis ord. pen. e l’appartenenza alla competenza esclusiva dell’amministrazione penitenziaria
delle decisioni in merito alle richieste di concessioni in deroga al predetto regime.
2.Avverso tale provvedimento l’interessato ha personalmente proposto ricorso per
cassazione, deducendo l’illogicità della motivazione e l’erronea applicazione della legge penale
per avere il Magistrato di Sorveglianza richiamato la circolare 2/7/2013 con la quale il Ministro
della Giustizia attribuisce a sé l’esclusiva competenza in merito ad istanze presentate da
detenuti sottoposti al regime differenziato, volte ad ottenere benefici in deroga al regime
stesso, senza però considerare che il dato normativo non consente deroghe alla competenza
giurisdizionale e che lo stesso Magistrato può disapplicare i provvedimenti dell’Autorità
amministrativa in contrasto con i principi dell’esecuzione penale, disposti da norme specifiche.
3. Con requisitoria scritta depositata in data 21 novembre 2014 il Procuratore Generale
presso la Corte di Cassazione, dr. Giulio Romano, ha chiesto qualificarsi il ricorso come reclamo
ai sensi dell’art. 35-bis comma 4 ord. pen. e la sua trasmissione al Tribunale di Sorveglianza di
Milano per l’ulteriore corso.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e va dunque accolto.
1.In primo luogo osserva questa Corte che, diversamente da quanto sostenuto dal
Procuratore Generale, l’impugnazione all’odierno esame non va qualificata come reclamo ai
sensi dell’art. 35-ter ord. pen..
1.1 E’ opportuno premettere che il testo della legge nr. 10 del 2014, nel convertire con
modificazioni il d.l. nr. 146/2013, al fine di migliorare le condizioni di vita dei detenuti ha
operato un intervento innovativo sulla disciplina vigente di ordinamento penitenziario su più
fronti, mediante la previsione di misure volte a ridurre le presenze numeriche negli istituti
penitenziari e di strumenti più incisivi di tutela delle prerogative fondamentali di quanti siano
ristretti. Sotto questo secondo profilo ha introdotto una disciplina specificamente dedicata
all’istituto del reclamo giurisdizionale, ossia del rimedio proponibile da parte del detenuto
avverso decisioni dell’amministrazione penitenziaria, denunciate come lesive dei propri dirit
soggettivi.

1

circostanza della sottoposizione dell’istante al regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-

1.2 Dopo avere previsto all’art. 35 della legge di ordinamento penitenziario la facoltà per
il detenuto di proporre reclamo “generico”, nella forma orale o scritta, indirizzabile a varie
autorità, compreso il magistrato di sorveglianza, con il successivo art. 35-bis ha sostituito il
comma sesto dell’art. 69 della legge nr. 354 del 1975 e previsto il rimedio definito “reclamo
giurisdizionale”, nonché il relativo procedimento, che, quando l’atto di contestazione sia
indirizzato al magistrato di sorveglianza ed esso non sia affetto da inammissibilità ai sensi del
secondo comma dell’art. 666 cod. proc. pen., deve svolgersi secondo la disciplina dettata dal

partecipazione dell’amministrazione interessata, che può comparirvi, oppure inoltrare per
iscritto osservazioni e richieste. Ha quindi regolamentato anche il regime d’impugnazione
avverso la decisione del magistrato di sorveglianza, contestabile dall’interessato mediante
reclamo al tribunale di sorveglianza nel termine di quindici giorni dalla notificazione o
comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento e ha stabilito la ricorribilità per
cassazione, entro il termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di
deposito dell’ordinanza, per il solo vizio di violazione di legge anche della decisione assunta dal
tribunale di sorveglianza.
Inoltre, per fugare qualsiasi dubbio sull’ambito applicativo dell’istituto del reclamo
giurisdizionale, al comma primo, lett. i) nr. 2 dell’art. 3, la legge nr. 20/2014 ha
espressamente stabilito che il comma sesto dell’art. 69 ord. pen. sia sostituito nei seguenti
termini: “6. Provvede a norma dell’articolo 35-bis sui reclami dei detenuti e degli internati
concernenti:
a) le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell’organo
disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa; nei casi di cui all’articolo 39,
comma 1, numeri 4 e 5, è valutato anche il merito dei provvedimenti adottati;
b) l’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e
dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave
pregiudizio all’esercizio dei diritti”.
2.Ebbene, alla luce dei rilievi precedenti, poiché il reclamo del Belforte è stato proposto
nel periodo di vigenza del d.l. 146/2013 e prima dell’approvazione della legge di conversione
nr. 10/2014, resta soggetto al regime d’impugnazione previsto dalla disciplina antecedente
l’entrata in vigore di tale ultimo testo normativo, che, diversamente dovrebbe applicarsi in via
retroattiva in assenza di qualsiasi indicazione testuale e del principio generale “tempus regit
actum”. In tal senso si è già espressa questa sezione con le sentenze sez. 1, n. 53011 del
27/11/2014, Ministero Della Giustizia, rv. 262352; sez. 1, nr. 5697 del 12/12/2014 , Ministero
Della Giustizia, rv. 262355; sez. 1, n. 7654 del 12/12/2014, Trigila, rv. 262416, che hanno
formulato il seguente principio di diritto: ” Ai fini dell’individuazione del regime applicabile in
materia di impugnazioni, allorchè si succedano nel tempo diverse discipline e non sia
espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall’una all’alt
l’applicazione del principio “tempus regit actum” impone di far riferimento al mome to
2

combinato disposto degli art. 666 e 678 cod. proc. pen., quindi in udienza camerale con la

emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione
dell’impugnazione”.
2. Tutto ciò premesso, nel merito il ricorso è fondato.
2.1 La questione posta dal ricorso ha già trovato soluzione in precedenti e recenti
pronunce, rese da questa Corte con orientamento cui si aderisce e s’intende riaffermare nella
sua piena condivisibilità. Si è dunque affermato che il disposto normativo di cui al D.P.R. 30
giugno 2000, n. 230, art. 37, comma 10, laddove consente il prolungamento a due ore dei

l’istituto penitenziario, a condizione che nella settimana precedente non si sia fruito di colloqui
e che le esigenze e l’organizzazione dell’istituto lo consentano, è applicabile anche ai detenuti
sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41 bis ord. pen. (in tal senso, Cass. sez. 1, n.
39537 del 24/6/2013, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia in proc.
Mandalà, non massimata; sez. 1, n. 49725 del 26/11/2013, Ministero Giustizia in proc.
Dell’Aquila, rv. 258764; sez. 1, n. 49726 del 26/11/2013, Ministero della Giustizia in proc.
Catello, rv. 258421).
2.2 Tale conclusione parte dalla constatazione per cui la disposizione di cui all’art. 41 bis
ord. pen. – nel prevedere espressamente al comma 2-quater i contenuti della sospensione delle
regole di trattamento e degli altri istituiti previsti dall’ordinamento penitenziario – disciplina in
senso fortemente limitativo il regime dei colloqui, in quanto i detenuti sottopostivi sono
ammessi ad incontrare soltanto categorie specifiche di persone, ossia familiari e conviventi,
mentre in casi eccezionali, previamente autorizzati dall’autorità penitenziaria o giudiziaria,
anche soggetti estranei e lo svolgimento degli incontri deve avvenire in locali attrezzati con
dispositivi atti ad impedire il passaggio di oggetti, con videoregistrazione e, previa
autorizzazione dell’autorità giudiziaria, controllo sotto forma di ascolto in diretta.
2.3 L’ampiezza della previsione normativa è tale da far ritenere che ulteriori limitazioni, al
di là di quelle testualmente previste dalla legge, non siano possibili, salvo che derivino da una
assoluta incompatibilità della norma ordinarnentale – di volta in volta considerata – con i
contenuti normativi tipici del regime differenziato. In particolare, l’art. 41 bis ord. pen. non
stabilisce il limite di durata dell’unico colloquio mensile, diversamente da quanto previsto per il
colloquio straordinario effettuato a mezzo del telefono, fissato in dieci minuti, sicchè il
parametro legislativo di riferimento va effettivamente individuato nell’art. 37, comma 10, del
D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, il quale indica in un’ora la durata massima per tutti i colloqui
ordinari. A voler meglio precisare tale principio, questo Collegio ritiene di poter affermare che,
in assenza di specifiche previsioni contenute nel decreto ministeriale – insussistenti nel caso di
specie in riferimento al tema dei colloqui “compensativi”, non avendo precisato nulla al
riguardo l’amministrazione ricorrente – anche per il detenuto sottoposto al regime di cui all’art.
41-bis ord. pen., possono trovare applicazione le norme dell’ordinamento penitenziario non
oggetto di sospensione.

3

colloqui con congiunti o conviventi se residenti in comune diverso da quello in cui ha sede

2.4 La stessa disposizione disciplina due ipotesi di protrazione della durata del colloquio,
la prima in dipendenza di “eccezionali circostanze” da valutarsi caso per caso, la seconda
correlata a due condizioni obiettive rappresentate dalla extraterritorialità del luogo di
detenzione rispetto a quello di residenza dei congiunti e dalla mancata fruizione del colloquio
nella “settimana precedente”, sempre che le esigenze e l’organizzazione dell’istituto lo
consentano. La prima deroga non si pone sotto alcun profilo in contrasto con le previsioni
normative, che qualificano il regime detentivo differenziato e risulta dunque sempre applicabile

presta all’applicazione immediata ai detenuti sottoposti alla sospensione delle regole ordinarie,
ma va adattata in riferimento al requisito della mancata fruizione dì colloquio nella settimana
precedente, posto che, mentre è generalizzata la collocazione in istituti in località remote
rispetto a quelle di origine e di residenza dei familiari, tali detenuti non sono ammessi a
colloqui con cadenza settimanale, quanto mensile.
Pertanto, l’adattamento al regime speciale dell’art. 41-bis comporta la possibilità di
protrarre a due ore la durata del colloquio se non si sia fruito del previsto colloquio nel “mese”
antecedente, laddove appunto il mese, non già la settimana, costituisce in questa specifica
situazione il parametro temporale di riferimento rispetto al quale effettuare il recupero
dell’incontro non effettuato.
2.5 L’opposta interpretazione offerta nel provvedimento impugnato non tiene conto, da
un lato che l’amministrazione penitenziaria centrale, nella stesura delle disposizioni
regolamentari, ha un dovere di adeguamento alle fonti normative di rango più elevato,
dall’altro che nel caso di specie si è negata la possibilità di protrazione della durata del
colloquio perché materia di competenza esclusiva dell’autorità amministrativa, senza
considerare che, sebbene sia vero che l’art. 41 bis Ord. Pen. attribuisce al Ministro della
Giustizia il potere di sospendere – si badi “in tutto o in parte” – l’applicazione delle normali
regole di trattamento dei detenuti ed internati in forza della loro “pericolosità qualificata”, la
stessa disposizione non risulta affatto demandare in via esclusiva alla competenza ministeriale
i contenuti del trattamento applicabile ai detenuti portatori di tale pericolosità, ne’ ha dettato
una regolamentazione completa dell’istituto, tale da sovrapporsi ed escludere quella ordinaria.
Pertanto, deve ribadirsi che, esclusa l’esistenza di un divieto assoluto per i detenuti nei
cui confronti sia stata disposta la sospensione delle normali regole di trattamento di fruire di un
colloquio mensile protratto coi familiari, compete di volta in volta alla direzione del carcere,
nella ricorrenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 230 del 2000, art. 37, comma 10, ed a
fronte delle specifiche esigenze e dell’organizzazione dell’istituto, valutare la possibilità o meno
di accogliere l’istanza di proroga della durata del colloquio.
Da ciò deriva l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata per nuovo esame che dovrà tener conto dei principi sopra enunciati.

P. Q. M.
4

a fronte del presupposto di eccezionalità della situazione gìustificatrice; la seconda in sé non si

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Magistrato di Sorveglianza di
Milano.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2015

Il Consigliere estensore

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