Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18248 del 11/04/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18248 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LASALA COSIMO DAMIANO N. IL 04/08/1985
avverso il decreto n. 22/2012 CORTE APPELLO di BARI, del
21/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott, ADET TONI NOVIK;
lette/sdigite le conclusioni del PG Dott. 4 .

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Data Udienza: 11/04/2014

RITENUTO IN FATUO
Con ordinanza in data 21 marzo 2013, la Corte d’appello di Bari rigettava
l’appello proposto nell’interesse di Lasala Cosimo Damiano avverso il decreto
della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trani, emesso in data
27/2/2012, con cui era stata disposta nei suoi confronti la misura della
sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno per anni due, essendosi ritenuto
che il proposto fosse persona dedita abitualmente ai traffici delittuosi, e
l’attualità della sua pericolosità sociale, pur essendo sottoposto

Ininterrottamente, fin dall’agosto del 2009, alle misure restrittive della custodia
cautelare in carcere nonché degli arresti domiciliari.
Rilevava la Corte che il questore di Bari aveva emesso avviso orale nei
confronti del Lasala il 9/7/2009; un precedente avviso, era stato emesso nel
2005.
Lasala era stato arrestato il 7/8/2009 per associazione a delinquere
finalizzata alla commissione di rapine e per svariate rapine commesse per lo più
nel 2008.
Considerava la Corte di appello che nel giudizio di prevenzione al fine di
valutare la pericolosità sociale del proposto, era utilizzabile qualsiasi elemento
indiziarlo, purché sintomatico a giustificare tale convincimento, desunto da
provvedimenti giudiziari, prescindendo anche dall’esistenza di pendenze penali.
Inoltre, in relazione alle finalità preventive delle provvedimento, la pericolosità
poteva presumersi anche in via indiziaria ed essere fondata su circostanze di
portata generale e di significato tendenziale, su contesti significativi nel loro
complesso.
Quanto alla deduzione del Lasala di non aver commesso ulteriori reati
successivamente all’avviso orale del questore, la Corte riteneva sufficiente che
successivamente ad esso fossero emersi elementi tali da dimostrare la
persistenza della pericolosità. Il tempo trascorso tra la proposta di misura di
prevenzione del 15 ottobre 2009 e la data delle rapine, commesse nel 2008, era
dimostrativa della pericolosità del proposto al momento della richiesta, anche in
considerazione dei suoi collegamenti con una associazione criminale, numerosa e
particolarmente efferata nella commissione di reati contro il patrimonio con l’uso
anche di armi, i cui legami non potevano ritenersi cessati per il solo fatto di una
carcerazione preventiva.
L’obbligo di soggiorno era indispensabile per esercitare un migliore controllo
della condotta del Lasala a fini di prevenzione.
Avverso quest’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione personalmente
Lasala per violazione di legge e vizio di motivazione chiedendone l’annullamento.

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Con argomentazioni non chiaramente comprensibili nella parte in cui sembra
affermare, con una palese inversione dei concetti, che “l’avviso orale deve
necessariamente essere preceduto dalla proposta di applicazione della
Sorveglianza Speciale”, con un primo motivo il ricorrente rappresenta come negli
atti non vi sia nessuna traccia del presunto avviso orale notificato l’11/11/2004,
ciò comportando una violazione del suo diritto di difesa. L’unico avviso orale
rinvenuto nel fascicolo era quello del 9/7/2009, e da tale data nessun ulteriore

nel 2008.
Con il secondo motivo, Lasala rappresentava di essere sottoposto al regime
degli arresti domiciliari e di essere stato autorizzato a svolgere attività
lavorativa. Egli quindi escludeva la sussistenza attuale della pericolosità sociale,
nè la Corte aveva indicato nella motivazione da quali elementi concreti
desumerla. La risalenza nel tempo dei reati commessi, l’attualità dello stato
detentivo, lo svolgimento di attività lavorativa e l’allontanamento dagli ambienti
malavitosi erano elementi rappresentanti la insussistenza di una attuale
pericolosità sociale.
Nella sua requisitoria scritta, il procuratore generale presso questa Corte, in
persona del dott. Antonio GIALANELLA, ha chiesto che il ricorso sia annullato con
rinvio sul punto della ritenuta attualità della pericolosità sociale di Lasala.
Ricordato preliminarmente che la fattispecie doveva essere decisa in base
alla normativa posta dalla L. n. 1423 del 1956, ricollegandosi alla giurisprudenza
di questa Corte, il Procuratore generale ha escluso la sussistenza di nullità, dal
momento che l’avviso orale del Questore era necessario solo per la categoria
residuale di cui al n. 3 dell’art. 1 della legge 1423/56, e non invece per le
categorie di cui ai numeri 1 e 2 dello stesso articolo. Ciò, in forza dell’art. 19
della legge 22 maggio 1975 n.152 che ha esteso alle persone indicate nei numeri
1 e 2 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 1956 n.1423 le disposizioni di cui alla
legge 31 maggio 1965 n. 575.
Per cui, avendo il provvedimento impugnato ricondotto la pericolosità del
prevenuto all’art. 1, n. 1 e 2, della L. n. 1423 cit., non era richiesta la notifica
dell’avviso orale, per cui la valutazione del giudice di appello che aveva ritenuto
Lasala soggetto socialmente pericoloso non era censurabile in sede di legittimità.
Invece, il requirente

riteneva fondato il ricorso, sotto l’aspetto della

violazione di legge, per non aver la Corte di appello adempiuto all’obbligo,
imposto dall’art. 4 della Legge n. 1423 citata, di provvedere con decreto
motivato. La motivazione del provvedimento impugnato si rivelava apparente in
quanto non aveva compiuto nessuna analisi della concreta pericolosità del
prevenuto, “desunta da fatti e comportamenti accertati al momento nel quale la
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reato era stato commesso, tutti gli altri essendo precedenti in quanto commessi

misura deve essere applicata”, dovendo il giudice di appello adeguare la
decisione alla situazione concreta ed attuale, valutando ed acquisendo anche
elementi non valutati in primo grado. Così che, pur potendosi desumere
l’attualità della pericolosità da fatti remoti, purché significativi della persistenza
del comportamento antisociale, quando tali vicende siano remote nel tempo,
rispetto al momento in cui deve essere formulato il giudizio, tanto più è doverosa
la spiegazione dell’incidenza di tali elementi sulla attualità della pericolosità.

all’applicazione di misura di prevenzione, occorreva comunque per il giudice
l’obbligo di verifica della persistenza della pericolosità sociale, nel quadro del
percorso riabilitativo compiuto durante il periodo di detenzione.
Rimarcava come questa Corte sez. la , con la sentenza n. 17.932 del
10/3/2010 avesse ribadito che era nullo, per mancanza di motivazione, il
provvedimento applicativo della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno
nel quale venga omessa l’indicazione specifica dei dati materiali su cui si fonda il
giudizio di attualità della pericolosità sociale del prevenuto.
Nel caso di specie, il giudice territoriale avrebbe dovuto acquisire prova
certa dell’effetto risocializzante esercitato dal trattamento detentivo, ancorché in
custodia cautelare, e se avesse o meno eliminato la pericolosità sociale del
Lasala; se questa fosse stata sussistente al momento della decisione di primo o
secondo grado, tenuto conto che la sofferta detenzione escludeva la presunzione
di pericolosità legata al contesto delinquenziale d’origine.
Nessuna spiegazione aveva fornito la Corte in ordine alle ragioni per le quali
era irrilevante quanto rappresentato dal ricorrente nei motivi di appello e ribadito
nel ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
Quanto al primo motivo, in tema di applicazione delle misure di prevenzione,
l’avviso orale del Questore ed il conseguente termine di sessanta giorni per la
formulazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione di cui
all’art. 4, commi 1 e 2, della legge 27 dicembre 1956 n. 1423, sono ancora
previsti solo per i soggetti annoverabili nella categoria indicata al n. 3 dell’art. 1
della stessa legge, mentre per quelli compresi nelle restanti categorie è
applicabile l’art. 2 della legge 31 maggio 1965 n. 575 in virtù del rinvio operato
dall’art. 19 della legge 22 maggio 1975 n.152 e perciò le misure di prevenzione
possono essere applicate senza che vi sia stato il preventivo avviso. Quando
perciò la Corte di Appello abbia ritenuto, come nel caso di specie, con
valutazione non censurabile in cassazione, che il soggetto appartenesse ad una
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Rilevava ancora come, pur non essendo lo stato detentivo di ostacolo

categoria diversa da quella prevista al punto 3, questi non può eccepire quale
motivo di nullità l’omissione dell’avviso (cfr. Cass. Sez. IV, 10.9.1996,
Mazzarella, RIV 206141).
Quanto al secondo motivo, occorre premettere che, la L. 27 dicembre 1956,
n. 1423, art. 4, comma 11, “limita alla sola violazione di legge il ricorso contro il
decreto della Corte d’appello in materia di misure di prevenzione ed esclude la
ricorribilità in cassazione per vizio di illogicità manifesta della motivazione, ai
sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Secondo un consolidato

orientamento della giurisprudenza di legittimità, confortato anche dalla Corte
Costituzionale (cfr. sentenza n. 321 del 2004), in tema di misure di prevenzione
non è, pertanto, deducibile il vizio di manifesta illogicità della motivazione, ma
solo quello di mancanza di motivazione, qualificabile come violazione dell’obbligo
di provvedere con decreto motivato imposto al giudice di appello dalla L. n. 1423
del 1956, art. 4, comma 10 (Cass., Sez. 6A, 17 dicembre 2003, n. 15107, rv.
229305; Cass., 26 giugno 2002, n. 28837, rv. 222754; Cass., Sez. 2A, 6 maggio
1999, n. 2181, rv. 213852).
Alla mancanza di motivazione è, peraltro, equiparata l’ipotesi in cui la
motivazione risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza
e di logicità, al punto da risultare meramente apparente, o sia assolutamente
inidonea a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Cass.,
Sez. Un. 28 maggio 2003, Pellegrino, rv. 224611; Cass., Sez. 1^, 9 novembre
2004, Santapaola, rv. 230203). È, quindi, da escludere, in materia di misure di
prevenzione, la deducibilità del vizio di motivazione, a meno che quest’ultima sia
del tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente apparente, e cioè
sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, o
assolutamente inidonea a rendere comprensibile la ratio decidendi.
La Corte di merito ha correttamente ritenuto, con motivazione esauriente e
logica, la concreta ed attuale pericolosità del proposto sulla base dei suoi
precedenti penali, e in particolare della sua partecipazione ad una associazione a
delinquere finalizzata alla commissione di rapine, commesse nel 2008, in data
ravvicinata rispetto alla proposta di sorveglianza. Ai fini dell’attualità della
pericolosità sociale è poi irrilevante la circostanza che il Lasala, all’epoca
dell’emissione del decreto di applicazione della misura di prevenzione, fosse
detenuto in custodia cautelare (detentiva prima e domiciliare successivamente).
A tal proposito occorre rilevare che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione
hanno avuto modo di ritenere che la misura di prevenzione della sorveglianza
speciale della pubblica sicurezza, prevista dalla L. 27 dicembre 1956, n. 1423,
art. 3 è applicabile anche nei confronti di persona detenuta in espiazione di pena
(e nell’affermare il principio la Suprema Corte, premesso che occorre distinguere
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tra momento deliberativo e momento esecutivo della misura di prevenzione in
questione, ha altresì evidenziato che l’incompatibilità di questa con lo stato di
detenzione del proposto attiene unicamente alla esecuzione della misura, che
potrà avere inizio solo quando tale stato venga a cessare, restando sempre salva
la possibilità per il soggetto di chiedere la revoca della misura, ai sensi dell’art. 7
della succitata legge, per l’eventuale venir meno della sua pericolosità in virtù
dell’espiazione e dell’incidenza positiva sulla sua personalità della funzione

questa Corte che nega l’applicabilità della misura di prevenzione a chi sta
espiando una pena detentiva, introduce una netta distinzione tra quest’ultima
ipotesi e quella dello stato di custodia cautelare, considerando che tale stato può
in ogni momento cessare in applicazione delle norme del codice di rito che
regolano la materia e per conseguenza la pericolosità del destinatario può
nuovamente esplicarsi in concreto, cosicché non può davvero affermarsi

che

l’emanazione del provvedimento di prevenzione non abbia nei suoi confronti
ragione di essere”. (Cass. SU 25 marzo 1993, Tumminelli, rv. 194062, cp 1993,
2491). Infatti, già in precedenza era stato affermato che “Lo stato di detenzione
per custodia cautelare non costituisce ostacolo alla applicazione di una delle
misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423. condizione di
legittimità del provvedimento finale è, però, che il procedimento inizi, abbia
svolgimento e si concluda prima che il procedimento penale in relazione al quale
la custodia cautelare è stata istaurata sia concluso con sentenza irrevocabile. ciò
in quanto la pericolosità sociale che giustifica l’adozione della misura di
prevenzione, si collega ad una situazione attuale del soggetto, che può essere
pericoloso per la collettività, sia se è libero, sia se è stato momentaneamente
privato della libertà personale, potendo riacquistare lo status libertatis o per
effetto di una pronuncia assolutoria, o per effetto di altro provvedimento
giurisdizionale destinato a fare cessare la custodia cautelare. Diversa è invece la
posizione del soggetto detenuto in forza di sentenza definitiva di condanna,
assoggettato al trattamento rieducativo, specificamente volto al reinserimento
sociale, con eliminazione della pericolosità di base. In tal caso non può farsi
luogo all’applicazione della misura di prevenzione che finirebbe con l’incidere su
di una situazione di assoluta assenza di pericolosità, ciò vale anche nell’ipotesi in
cui la sentenza di condanna acquista autorità di giudicato mentre è ancora in
corso il giudizio per l’applicazione della misura, giacché l’efficacia del decreto è
destinata ad avere inizio dal giorno in cui il detenuto riacquista la libertà dopo
avere scontato la pena e perciò viene meno uno dei presupposti, quello della
pericolosità attuale del soggetto, cui la legittimità del procedimento di

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risocializzante della pena, precisando tuttavia che “la stessa giurisprudenza di

prevenzione è subordinata” (Sez. 1, Sent. n. 2066 del 26/9/1988, Rv 179718;
Sez. 1, n. 2815 del 15/6/1992, Rv. 191476).
Tanto per sottolineare che diversi sono i presupposti e diverse le finalità
della misura cautelare rispetto all’espiazione della pena definitiva, solo a
quest’ultima essendo coessenziale il fine rieducativo, mancante nella prima
ispirate a logiche di cautela nel processo di merito.
Non può infine trascurarsi, la circostanza che è sempre fatta salva la

alla sua irrogazione, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1423 del 1956, per
l’eventuale venir meno in concreto della propria pericolosità.
Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, iljjaprile 2014
Il Consigliere estensore

Il Presidente

possibilità per l’interessato di chiedere la revoca della misura, successivamente

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