Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18236 del 05/04/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18236 Anno 2018
Presidente: GALLO DOMENICO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
MAROTTA LUIGI, nato il 18/07/1976 contro la sentenza del 09/11/2017 della
Corte di Appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. G. Rago;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità;

FATTO e DIRITTO

1. Marotta Luigi – condannato per la ricettazione di un assegno di
provenienza illecita – ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza in
epigrafe deducendo:
1.1. il travisamento della prova avendo la Corte ritenuto che il ricorrente
fosse il primo prenditore dell’assegno quando invece il primo prenditore era tale
D’Amato Angelo;
1.2. la violazione dell’art. 603 cod. proc. pen. per avere la Corte omesso di
motivare sulla rinnovazione del dibattimento (mediante l’acquisizione delle
dichiarazioni rese dal ricorrente in fase di indagini preliminare quando venne
sentito come persona informata sui fatti: cfr atto di appello pag. 3) al fine di
provare che il ricorrente non era il primo prenditore

Data Udienza: 05/04/2018

2. Il ricorso è inammissibile essendo entrambe le censure manifestamente
infondate.
Risulta dalla sentenza di primo grado – confermata sul punto dalla sentenza
impugnata – che il Marotta aveva consegnato l’assegno in questione a tale
Senatore che, postolo all’incasso, scoprì che faceva parte di un blocchetto
denunciato come smarrito.
«Il Marotta preferiva non dare alcuna spiegazione o giustificazione al
Senatore» né la fornì «in dibattimento, in cui, anzi, decideva di rimanere

La Corte di Appello, a fronte della tesi difensiva secondo la quale il ricorrente
aveva indicato il suo dante causa in tale D’Amato Massimo, ha ribattuto che
«come correttamente evidenziato dal giudice di primo grado, non vi è stata
alcuna attività difensiva a proposito, se non una generica indicazione di un
soggetto non identificato la cui firma comunque non compare sul titolo, del quale
risulta solo il Marotta quale primo giratario».
Tanto basta per ritenere manifestamente infondata entrambe le censure
dedotte essendosi entrambi i giudici di merito adeguati alla consolidata
giurisprudenza di questa Corte secondo la quale ai fini della configurabilità del
reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta
anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza
della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di
occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (ex plurimis:
Cass. 29198/2010 rv. 248265).
D’altro canto (Sez. II, n. 45256 del 22/11/2007, Lapertosa, Rv. 238515),
ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale quando l’agente ha
consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di
illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel
verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi
contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza. Né si richiede
all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di
fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose
medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione
di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le
parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati
da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento
(in tal senso, Cass. pen., Sez. un., n. 35535 del 12/07/2007, Rv. 236914).
Si è anche, più specificamente, chiarito (da ultimo, Sez. II, n. 22120 del
07/02/2013, Mercuri, Rv. 255929), che chi riceva od acquisti un assegno

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contumace».

bancario al di fuori delle regole che ne disciplinano la circolazione è
necessariamente consapevole della sua provenienza illecita.

3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma
dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria
consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa
delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti

P.Q.M.
DICHIARA
inammissibile il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila
a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 05/04/2018
Il Consigliere estisore
Geppino Rago,/(;

Il Presidente
Doj4nico Gallo

dal ricorso, si determina equitativamente in C 2.000,00.

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