Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18229 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18229 Anno 2018
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

SEMPLIFICATA

sul ricorso proposto da:
FALCONE GIOVANNI nato a Ravenna il 7.2.1949
avverso la sentenza n. 3528/2017 emessa dalla Corte d’appello di Bologna il
7.7.2017;
Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Udita nell’udienza pubblica del 21.3.2018 la relazione fatta dal Consigliere
Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;
Udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale in persona di Luca
Tampieri, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 luglio 2017 la Corte d’appello di Bologna, in parziale
riforma della sentenza emessa 1’11 ottobre 2016 dal Tribunale di Ravenna, ha
dichiarato non doversi procedere nei confronti di Falcone Giovanni, in atti
generalizzato, in ordine a tutti i reati commessi fino al 7 gennaio 2010 perché
estinti per prescrizione; ha rideterminato la pena e confermato nel resto la
sentenza impugnata, con cui l’imputato è stato condannato per i reati di
appropriazione indebita aggravata ai danni di Petrelli Eugenio.
Avverso la sentenza d’appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso
per cassazione, deducendo l’erronea applicazione degli artt. 234 e 189 c.p.p. e
vizi di motivazione, per non avere la Corte territoriale motivato sulle esigenze
per le quali non venivano prodotti gli originali dei documenti ma si acquisivano

Data Udienza: 21/03/2018

mere copie e soprattutto sulle ragioni per cui le copie acquisite corrispondessero
agli originali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivo manifestamente
infondato.
Come ricordato anche dalla Corte d’appello, secondo la giurisprudenza di
questa Corte (v. Sez. 2, n. 52017 del 21.11.2014, Rv. 261627), condivisa dal
Collegio, nessuna norma processuale richiede la certificazione ufficiale di

nostro sistema processuale il principio di libertà della prova sia per i fatti-reato
sia per gli atti del processo, come può evincersi dall’art. 234 c.p.p. e dalla stessa
direttiva n. 1 della legge delega per il nuovo codice di rito, che stabilisce la
massima semplificazione processuale, con eliminazione di ogni atto non
essenziale (Sez. 4, n. 18454 del 26/02/2008 Rv. 240159; Sez. 3, n. 1324 del
27/04/1994 Rv. 200375).
Da ciò discende che la copia di un documento, quando è idonea ad assicurare
l’accertamento dei fatti, ha valore probatorio anche al di fuori del caso di
impossibilità di recupero dell’originale (Sez. 2, n. 36721 del 21/02/2008, Rv.
242083).
Alla luce di quanto precede è evidente allora che non coglie nel segno la
doglianza difensiva secondo cui il giudice di merito avrebbe dovuto motivare
sulla distruzione o sullo smarrimento dei documenti in originale, perché tali
evenienze non costituiscono il presupposto per l’acquisizione delle copie ai sensi
dell’art. 189 c.p.p., diversamente da quanto stabilisce l’art. 234 c.p.p.
Né il giudice di merito avrebbe dovuto motivare sulla corrispondenza delle
copie agli originali, atteso che il ricorrente non aveva eccepito alcunché in ordine
alla discrepanza del contenuto delle copie rispetto agli originali, essendosi
limitato ad affermare che vi sarebbe stata la possibilità di produrre gli originali e
che difettavano asseverazioni, sia pure informali, sulla conformità agli originali
delle copie prodotte.
Non si ravvisano, dunque i vizi, prospettati dal ricorrente, con conseguente
inammissibilità del ricorso.
2. La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art.
616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché – valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità del ricorso (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di
euro duemila in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione
pecuniaria.
P.Q.M.

2

conformità per l’efficacia probatoria delle copie fotostatiche; al contrario, vige nel

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende.
Sentenza con motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, udienza pubblica del 21 marzo 2018

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