Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18229 del 21/01/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18229 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ESPOSITO ANTONIO N. IL 12/05/1983
avverso l’ordinanza n. 1630/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
07/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI;
lette/c le conclusioni del PG Dott. Au (1€1-10 G-A
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Data Udienza: 21/01/2015

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RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 7.01.2014 la Corte d’appello di Napoli, in funzione di
giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’opposizione proposta da Esposito Antonio
avverso il provvedimento che, in sede di richiesta del condannato di applicazione
dell’indulto ex lege n. 241 del 2006, aveva negato la spettanza del beneficio con
riguardo alla pena di anni 2 mesi 8 di reclusione e C 14.000 di multa di cui alla
sentenza pronunciata il 2.05.2008 dal GIP del Tribunale di Napoli, e ciò in forza
della condizione ostativa rappresentata dalla condanna alla pena di anni 2 di

della medesima Corte d’appello per violazione dell’art. 73 DPR n. 309 del 1990
commessa il 15.08.2010 (e dunque nel quinquennio dall’entrata in vigore del
provvedimento di clemenza); la Corte territoriale rilevava, in particolare, che la
condanna ostativa, in base all’interpretazione del relativo giudicato, doveva
ritenersi emessa per un unico fatto-reato, e non per una pluralità di cessioni di
sostanza stupefacente unificate tra loro in continuazione.
2. Ricorre per cassazione Esposito Antonio, personalmente, deducendo erronea
applicazione di legge in relazione all’art. 1 comma 3 legge n. 241 del 2006,
censurando la motivazione con cui l’ordinanza impugnata aveva ritenuto che la
condanna ostativa riguardasse un unico reato anziché una pluralità di fatti-reato
per nessuno dei quali la pena inflitta raggiungeva il limite normativo (di anni due
di reclusione) preclusivo dell’indulto, sul presupposto che la sentenza di primo
grado aveva condannato il ricorrente per più fatti unificati in continuazione e che
la sentenza d’appello si era limitata a rideterminare la pena a seguito di
esclusione della recidiva, che era stata invece ritenuta dal giudice di prime cure.
3. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte con le quali chiede
l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato, e deve essere rigettato, per le ragioni che seguono.
2. Costituisce principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte che il
giudice dell’esecuzione, quando sia richiesto dell’applicazione dell’indulto o sia
comunque investito di un incidente di esecuzione, ha il potere-dovere di
interpretare il giudicato e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando
dalla sentenza irrevocabile di condanna tutti gli elementi, anche non chiaramente
espressi, che siano necessari al fine di verificare la sussistenza delle condizioni di
legge per l’accoglimento o meno della richiesta formulata in executívis (Sez. 1 n.
132 del 5/12/2012, Rv. 253860, che ribadisce un orientamento consolidato).
In particolare, con riguardo alla questione dedotta nel giudizio di opposizione su
cui ha pronunciato l’ordinanza gravata, compete al giudice dell’esecuzione
interpretare il giudicato di cui alla condanna sopravvenuta, ostativa dell’indulto,
1

reclusione e C 4.000 di multa inflitta all’Esposito con sentenza in data 1.12.2011

al fine di stabilire se la pena detentiva di anni due di reclusione sia stata inflitta
con riguardo a un’unica violazione dell’art. 73 DPR n. 309 del 1990 o invece a più
fatti distinti unificati in continuazione tra loro, e di procedere quindi – in tale
seconda ipotesi e in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di
questa Corte nella sentenza n. 21501 del 23/04/2009, Rv. 243380 – allo
scioglimento del relativo cumulo giuridico agli effetti di individuare il
raggiungimento della soglia di pena rilevante per la revoca/inibizione del
beneficio ex art. 1, comma 3, legge n. 241 del 2006 con riguardo alle singole

cumulo delle stesse.
L’interpretazione del giudicato, agli effetti appena indicati, costituisce questione
di fatto, che è riservata all’apprezzamento del giudice di merito e non è
sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e congruamente motivata.
Nel caso di specie, risulta per tabulas dal testo del provvedimento del giudice
della cognizione che la sentenza in data 1.12.2011 della Corte d’appello di Napoli
(costituente la causa impeditiva dell’applicazione dell’indulto, avendo ad oggetto
la condanna dell’Esposito per delitto non colposo commesso nei cinque anni
dall’entrata in vigore della legge n. 241 del 2006), nel riformare la decisione di
primo grado, ha escluso la recidiva contestata all’imputato e ha determinato la
pena per un’unica violazione dell’art. 73 DPR n. 309 del 1990 nella misura base
di anni 3 di reclusione e € 6.000 di multa, pervenendo quindi alla pena finale di
anni 2 e € 4.000 per effetto della diminuzione di 1/3 ex art. 62 bis cod. pen.,
senza apportare alcun aumento di pena per la continuazione ai sensi dell’art. 81
comma secondo cod. pen..
L’ordinanza impugnata ha interpretato il giudicato così formatosi nel senso che la
pena rideterminata dalla Corte territoriale, non contenendo alcun riferimento ad
un aumento per la continuazione, ha sanzionato un unico fatto-reato, così da
escludere che la condanna potesse riguardare una pluralità di violazioni della
legge penale, e tale lettura non risulta né incongrua, né illogica o incoerente al
dato testuale, e si sottrae perciò a censura in sede di legittimità.
La doglianza del ricorrente diretta a evidenziare l’errore o l’omissione – in ipotesi
non rilevati dal giudice dell’esecuzione – in cui sarebbe incorso il giudice della
cognizione (in grado d’appello) nel ritenere l’esistenza di un’unica violazione
dell’art. 73 DPR n. 309 del 1990 e nel non applicare l’aumento di pena per la
continuazione, si risolve, in definitiva, nel sollecitare non tanto una diversa
interpretazione del giudicato (comunque inibita dalla presenza nell’ordinanza
impugnata di un’adeguata motivazione sul punto), quanto una non consentita
sovrapposizione, in sede esecutiva, di una diversa valutazione del fatto rispetto a
quella operata dal giudice della cognizione, che si tradurrebbe in un

pene inflitte per ciascun reato commesso nel periodo di riferimento, e non già al

inammissibile superamento del giudicato già formatosi.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21 gennaio 2015

Il Consigliere estensore

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