Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18225 del 27/02/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18225 Anno 2018
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: MESSINI D’AGOSTINI PIERO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PECORARO MARCO nato il 28/03/1980 in GERMANIA

avverso l’ordinanza del 06/10/2017 del TRIBUNALE DI LECCE

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere PIERO MESSINI D’AGOSTINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale DELIA
CARDIA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. LADISLAO MASSARI, che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 6/10/2017, il Tribunale di Lecce, in sede di riesame,
confermava l’ordinanza in data 13/9/2017 con la quale il G.i.p. dello stesso
Tribunale aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere a Marco
Pecoraro, limitatamente al reato di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309

Data Udienza: 27/02/2018

(capo 24), e a due reati-fine (capi 59 e 62), annullando il provvedimento
imp. ugnato in relazione a” tutti gli altri delitti. –

2. Propone ricorso Marco Pecoraro, a mezzo del proprio difensore di
fiducia, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza sulla base di quattro motivi.
2.1. Violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c) ed e), cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 292, comma 2 lett.

c), e 309 cod. proc. pen.: nullità

dell’ordinanza di custodia cautelare per mancanza di autonoma valutazione da

Premesso che il Tribunale del riesame in data 31/12/2016 aveva una
prima volta annullato un’ordinanza di custodia cautelare emessa per gli stessi
fatti, in ragione della mancanza di autonoma valutazione e di una motivazione
costituita da una mera elencazione delle fonti di prova, la difesa sostiene che
detto vizio, che ne comporta la nullità, è presente anche nel successivo
provvedimento.
Il Tribunale ha dato atto di una lettura critica degli elementi indiziari da
parte del G.i.p. “del tutto carente”, ma ha escluso in modo formalistico che
anche la motivazione della seconda ordinanza sia apparente, ritenendo così di
poter integrarla in sede di riesame.
2.2. Violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c) ed e), cod. proc. pen. in
relazione all’art. 292, comma 2 lett. c-bis), cod. proc. pen.: nullità dell’ordinanza
di custodia cautelare per totale omissione nella valutazione degli elementi
favorevoli alla difesa intervenuti successivamente all’esecuzione della ordinanza
del 9/12/2016, poi annullata.
Nella seconda ordinanza il G.i.p. ha del tutto ignorato le difese articolate
dal ricorrente in sede di riesame (poi accolto) e le dichiarazioni rese da numerosi
coindagati, anche in ordine al contenuto delle conversazioni intercettate.
2.3. Violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c) ed e), cod. proc. pen. in
relazione all’art. 273 cod. proc. pen.: motivazione illogica e contraddittoria con
riferimento alla gravità indiziaria per i reati contestati ai capi 24), 59) e 62).
Quanto al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, i giudici di merito
hanno erroneamente fatto confluire nella condotta associativa singole cessioni
che potrebbero essere qualificate esclusivamente come concorso nelle violazioni
previste dall’art. 73 dello stesso decreto.
Ancora più evanescente risulta la contestazione del ruolo di promotore e
dirigente dell’associazione, non desumibile dalla circostanza che Pecoraro
sarebbe stato l’interlocutore privilegiato di Carlo Solazzo.
In ordine ai reati-fine, si deduce che la motivazione della impugnata
ordinanza è spesso esclusivamente fondata sulla descrizione valutativa e

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parte del G.I.P. con riferimento alla gravità indiziaria.

argomentativa del materiale probatorio costituito dal linguaggio captato degli
interlocutori; inoltre . “non pare possibile nel caso di specie affermare la
sussistenza a livello indiziario” della circostanza aggravante ex art. 7 decretolegge 13 maggio 1991, n. 152, nella sua duplice natura.
2.4. Violazione dell’art. 606, comma 1 lett. e) ed e), cod. proc. pen. in
relazione agli art. 292, comma 2 lett. c-bis), e 274 cod. proc. pen.
Il G.i.p. non avrebbe potuto fondare la propria valutazione sulla presenza
di esigenze cautelari sulla base di atti relativi ai controlli ed ai precedenti penali

nell’ordinanza poi annullata; il Tribunale del riesame, poi, non ha motivato in
ordine alla irrilevanza del tempo (cinque anni) trascorso dalla cessazione della
condotta associativa.

3. In data 20/2/2018 sono stati depositati motivi nuovi, con documenti,
allegati, ai sensi dell’art. 311, comma 4, cod. proc. pen., a sostegno del secondo
e del quarto motivo proposti con il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato limitatamente all’ultimo motivo proposto, nei
termini che verranno di seguito indicati.
In relazione alle altre doglianze, il ricorrente ha riproposto in questa sede
le medesime questioni già sollevate con le richieste di riesame, affrontate e
risolte dal Tribunale alla luce di argomentazioni con le quali la difesa si è
confrontata solo in parte.
Il lungo ricorso, infatti, è caratterizzato da richiami molti ampi alla
giurisprudenza di legittimità, ma da deduzioni spesso assai generiche sulla
specifica vicenda cautelare.
In proposito va ricordato che «la funzione tipica dell’impugnazione è
quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale
critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena
di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le
ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto
essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente
il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli
elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del
provvedimento il cui dispositivo si contesta» (così, in motivazione, Sez. 6 n.

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degli indagati trasmessi un anno prima, reiterando il giudizio espresso

8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584; da ultimo cfr. Sez. U., n. 8825 del
« ep. 2017, Galtelli, Rx./. 268822).
27/10/2016, d
Attesa la comune ratio fondata sul necessario rispetto dei requisiti di
specificità di cui all’art. 581, comma 1 lett. c), c.p.p., tali principi valgono anche
con riferimento al ricorso avverso provvedimenti del tribunale del riesame (Sez.
3, n. 13744 del 24/02/2016, Schiorlin, Rv. 266782; Sez. 2, Sentenza n. 13951
del 05/02/2014, Caruso, Rv. 259704; Sez. 6, Sentenza n. 32227 del

2. Quanto al primo motivo di ricorso, correttamente il Tribunale ha
escluso che la (seconda) ordinanza emessa dal G.i.p. fosse priva di motivazione
e di una autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza.
Secondo il diritto vivente, il requisito introdotto all’art. 292, comma 1,
lett. c), cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 impone al giudice di
esplicitare le ragioni per cui egli ritiene di poter attribuire al compendio indiziario
un significato coerente all’integrazione dei presupposti normativi per l’adozione
della misura, ma non implica la necessità di una riscrittura “originale” degli
elementi indizianti o di quelli riferiti alle esigenze cautelari (Sez. 6, n. 13864 del
16/03/2017, Marra, Rv. 269648; Sez. 3, n. 2257 del 18/10/2016, dep. 2017,
Burani, Rv. 268800; Sez. 3, n. 28979 del 11/05/2016, Sabounjian, Rv. 267350;
Sez. 5, n. 11922 del 02/12/2015, dep. 2016, Belsito, Rv. 266428; Sez. 1, n.
5787 del 21/10/2015, Calandrino, Rv. 265984).
Detto obbligo non è violato per il solo fatto che il giudice riporti – pure in
maniera pedissequa – atti del fascicolo per come riferiti o riassunti nella richiesta
del pubblico ministero, riguardando tali elementi esclusivamente i profili
espositivi del fatto (Sez. 6, n. 46792 del 11/09/2017, Hasani, Rv. 271507; Sez.
5, n. 36917 del 20/06/2017, C., Rv. 271307, in motivazione; Sez. 2, n. 13838
del 16/12/2016, dep. 2017, Schetter, Rv. 269970).
In proposito è stato efficacemente osservato che il concetto di autonoma
valutazione espresso dal legislatore «non può che essere inteso come
valutazione “non condizionata” che è cosa ben diversa da una valutazione “non
conforme” in quanto, se così non fosse, si dovrebbe giungere al paradosso di
sostenere che il Giudice potrebbe dimostrare la propria “autonomia” (così da
evitare vizi dell’emittendo provvedimento cautelare) solo non accogliendo (in
tutto od in parte) la richiesta del Pubblico Ministero o ricorrendo, pur in presenza
di fatti di palese evidenza e di univoca interpretazione, a motivazioni distoniche
rispetto a quelle del Pubblico Ministero che però portino comunque al medesimo
condiviso risultato» (Sez. 2, n. 5497 del 29/01/2016, Pellegrino, Rv. 266336).

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16/07/2010, T., Rv. 248037).

Nel caso di specie, il G.i.p. del Tribunale di Lecce, dopo avere
pedissequamente riportato le risultanze • delle attività di indagine, in larga parte
costituite dalla descrizione di elementi obiettivi, ha dato dimostrazione di avere
compiuto un’autonoma valutazione della gravità indiziaria, richiamando, sia pure
sommariamente, il contenuto degli elementi probatori, diversamente da quanto
fatto nell’ordinanza annullata, nella quale il giudice si era limitato ad una mera
elencazione delle fonti di prova.
Una conferma che il G.i.p. ha compiuto detta valutazione è data anche

per due indagati e, quanto ad altri due indagati, per un capo d’imputazione. In
proposito si è affermato che l’obbligo dell’autonoma valutazione deve ritenersi
assolto «quando l’ordinanza, benché redatta con la tecnica del cd. copia-incolla,
accolga la richiesta del P.M. solo per talune imputazioni cautelari ovvero solo per
alcuni indagati, in quanto il parziale diniego opposto dal giudice costituisce di per
sé indice di una valutazione critica, e non meramente adesiva, della richiesta
cautelare, nell’intero complesso delle sue articolazioni interne» (Sez. 2, n. 25750
del 04/05/2017, Persano, Rv. 270662; Sez. 6, n. 51936 del 17/11/2016, Aliperti,
Rv. 268523; Sez. 2, n. 3289 del 14/12/2015, dep. 2016, Astolfi, Rv. 265807).
Non si è di fronte, dunque, ad una motivazione mancante od apparente
(come ritenuto dal Tribunale per la precedente ordinanza del G.i.p., limitatasi a
indicare “un mero elenco di fonti di prova”), bensì – come correttamente
osservato nel provvedimento impugnato – ad una motivazione “insufficiente”,
“non esauriente e ancor meno soddisfacente”, tale comunque da avere
consentito legittimamente allo stesso Tribunale del riesame di integrare
l’ordinanza genetica, colmandone le lacune motivazionali.
Infatti, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, anche a seguito
delle modifiche apportate agli artt. 292 e 309 cod. proc. pen. dalla legge 16
aprile 2015, n. 47, l’ordinanza che decide sulla richiesta di riesame può integrare
l’eventuale carenza o insufficienza della motivazione di quella adottata dal primo
giudice, salve le ipotesi di motivazione mancante o apparente (Sez. 2, n. 46136
del 28/10/2015, Campanella, Rv. 265212; Sez. 3, n. 49175 del 27/10/2015,
Grosso, Rv. 265365; Sez. 5, n. 6230 del 15/10/2015, Vecchio, dep. 2016, Rv.
266150; Sez. 5, n. 3581 del 15/10/2015, dep. 2016, Carpentieri, Rv. 266050).

3. Il secondo motivo è stato proposto, come già in sede di riesame, in
termini del tutto generici; il ricorrente non specifica quali sarebbero stati in
concreto gli elementi trascurati dal G.i.p. che avrebbero potuto portare ad un
esito diverso della richiesta cautelare, facendo un insufficiente riferimento solo
alla difesa articolata da Pecoraro in sede di prima impugnazione ex art. 309 cod.

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dal fatto che la richiesta del Pubblico Ministero sia stata respinta integralmente

proc. pen. ed ai chiarimenti forniti da “numerosi coindagati”, durante gli
inte .rrogatori di garanzia, ‘sul contenuto delle co . nversazioni intercettate.
Il Tribunale, in ordine all’obbligo di esporre i motivi per i quali non sono
stati ritenuti rilevanti gli “elementi forniti dalla difesa” (art. 292, comma 2 lett. cbis), cod. proc. pen.), ha condivisibilmente affermato che “essi non possono
consistere in mere argomentazioni difensive ma in specifiche circostanze di fatto
idonee ad almeno degradare la ravvisata gravità indiziaria e/o la ritenuta
responsabilità”.

dalla difesa” richiamati nella norma vanno intesi quali «specifici elementi a
discarico» (Sez. 2, n. 2657 del 19/12/2017, dep. 2018, Celentano, n.m.).

4. In ordine al terzo motivo, il ricorrente ha trascurato il principio, da
tempo consolidato in giurisprudenza, secondo il quale il controllo di legittimità
relativo ai provvedimenti

de libertate è circoscritto all’esame del contenuto

dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno
determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
In particolare, la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273
cod. proc. pen. è rilevabile in Cassazione soltanto se si traduce nella violazione di
specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione,
risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Il motivo, invero, è stato proposto in termini del tutto generici; il
ricorrente non si è confrontato affatto con gli esiti dell’attività di intercettazione,
ampiamente richiamati ed esaminati con autonoma valutazione dal Tribunale del
riesame (da pag. 5 a pag. 9), che con motivazione logica e adeguata, sulla base
di dette risultanze, ha delineato l’attività svolta in Cellino S. Marco dal sodalizio
dedito allo spaccio di stupefacente, con l’indicazione dei fornitori e della struttura
distributiva, nonché del ruolo centrale ricoperto da Pecoraro: “partecipa a tutte
le decisioni relative all’approvvigionamento ed alla politica commerciale e
tiene….in prima persona i contatti con i rivenditori al minuto”, anche utilizzando
modalità violente nei confronti degli acquirenti inadempienti.
Tale ruolo, in forza del quale egli pure poteva autorizzare altri soggetti a
porre in essere sullo stesso territorio analoghe attività di spaccio, è stato
evidenziato e valorizzato nell’ordinanza impugnata, ove vi è anche un riferimento
allo stretto rapporto con Carlo Solazzo, componente della “Sacra Corona Unita”,
accusato dell’omicidio di Antonio Presta.
In proposito va ricordato che riveste il ruolo di promotore di
un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti non solo chi sia

6

Sul punto la Suprema Corte ha da ultimo statuito che gli “elementi forniti

stato l’iniziatore della stessa ma anche colui che, rispetto ad un gruppo già
costituito,. provochi ulteriori adesioni, sovraintenda «alla complessiva attiv« ità di
gestione di esso, assuma funzioni decisionali (Sez. 6, n. 45168 del 29/10/2015,
Cidoni, Rv. 265524).
Il provvedimento, dunque, è congruamente motivato anche in ordine alla
sussistenza della ipotesi di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309, dovendosi precisare che – diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente
ed anche dal Tribunale del riesame – trattasi di ipotesi autonoma di reato e non

del 06/07/2016, Martiello, Rv. 267761, nonché Sez. 1, n. 6312 del 27/01/2010,
Mento, Rv. 246118).
Parimenti generica è la doglianza in ordine alla motivazione sulla
sussistenza dei due reati-fine, che il ricorrente contesta essere esclusivamente
fondata sulla descrizione valutativa e argomentativa del materiale probatorio
costituito dal linguaggio captato degli interlocutori.
Sul punto va ribadito che il contenuto di intercettazioni captate fra terzi,
dalle quali emergano elementi di accusa nei confronti dell’imputato, può
costituire fonte diretta di prova della sua colpevolezza senza necessità dei
riscontri previsti dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del
giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di
linearità logica (Sez. U., n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 5, n.
48286 del 12/07/2016, Cigliola, Rv. 268414; Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015,
Ambroggio, Rv. 265747; Sez. 1, Sentenza n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera,
Rv. 260842; Sez. 2, n. 47028 del 03/10/2013, Farinella, Rv. 257519).
Il Tribunale ha riportato (pag. 10-11) le conversazioni che dimostrano le
due cessioni contestate, rilevando invece, quanto ai numerosissimi altri reati-fine
contestati a Pecoraro, in ordine ai quali l’ordinanza è stata annullata, il difetto
non già di gravità indiziaria o di un’autonoma valutazione da parte del G.i.p.
bensì la mancanza, anche grafica, della motivazione.
Nell’ordinanza impugnata si è dato atto, sempre alla luce delle risultanze
di varie conversazioni intercettate, della “metodologia tipicamente mafiosa” con
la quale Pecoraro si rapportava in posizione egemonica sul territorio; sul punto
apodittica e generica è la deduzione difensiva, secondo la quale “non pare
possibile nel caso di specie affermare la sussistenza a livello indiziario” della
circostanza aggravante ex art. 7 decreto-legge n. 152 del 1991.

5. Fondato, invece, è il motivo proposto in tema di esigenze cautelari.
Il G.i.p. si è limitato a richiamare i precedenti penali e giudiziari di
Pecoraro (che “risulta imputato per il delitto di cui all’art. 73 D.P.R. 309/1990,

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di circostanza aggravante (oltre alla sentenza appena citata v. Sez. 3, n. 40348

commesso sino al giugno 2014”) e l’operatività della presunzione prevista
dall’art. 275, comma 3, cod. Proc. pen. per il reato . associativo.
L’ordinanza impugnata ha sostenuto che Pecoraro “ha fatto una precisa,
radicale e tendenzialmente irreversibile scelta di vita”, a fronte della quale il
tempo trascorso dai fatti sarebbe irrilevante ai fini della valutazione sull’attualità
del pericolo di recidiva specifica, tutelabile unicamente con la misura di massimo
grado (che la difesa ha documentato essere stata sostituita, pochi giorni dopo
l’esecuzione, con quella degli arresti domiciliari dallo stesso G.i.p. per molti

contestati).
Secondo un recente (anche se controverso) indirizzo della giurisprudenza
di legittimità, affermatosi successivamente all’entrata in vigore della legge 16
aprile 2015, n. 47, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari,
prevista dall’ad. 275, comma 3, cod. proc. pen. – da coniugare, dopo detta
novella, con gli estremi dell’attualità e della concretezza del pericolo di
reiterazione ex art. 292, comma 2 lett. c), cod. proc. pen. – può essere superata
ove si registri il decorso di un rilevante lasso temporale tra le condotte ascritte
ed il momento applicativo della misura cautelare, dovendo il fattore tempo
entrare nella valutazione cui è chiamato il giudice della cautela nel riscontrare, in
concreto, l’attualità del pericolo di recidiva: occorre pertanto «valorizzare quegli
elementi che, oggetto di deduzione difensiva o comunque contenuti in atti, siano
in modo conducente idonei a revocare in dubbio la ripetibilità del contributo
causale offerto dall’indagato e quindi la sua pericolosità, altrimenti presunta dalla
norma» (così Sez. 6, n. 29807 del 04/05/2017, Nocerino, Rv. 270738; in senso
conforme v. Sez. 6, n. 25517 del 11/05/2017, Fazio, Rv. 270342; Sez. 6, n.
20304 del 30/03/2017, Sinesi, Rv. 269957; Sez. 1, n. 13593 del 09/11/2016,
dep. 2017, Curcio, Rv. 269510; Sez. 5, n. 52628 del 23/09/2016, Gallo, Rv.
268727; Sez. 5, n. 36569 del 19/07/2016, Cosentino, Rv. 267995; Sez. 6, n.
12669 del 02/03/2016, Mamone, Rv. 266784; Sez. 4, n. 20987 del 27/01/2016,
C., Rv. 266962; Sez. 6, n. 42630 del 18/09/2015, Tortora, Rv. 264984; Sez.
6, n. 27544 del 16/06/2015, Rechichi, Rv. 263942; in senso difforme – quanto
all’obbligo di valutare il fattore temporale nel reato ex art. 416 bis cod. pen. – v.
Sez. 5, n. 52303 del 14/07/2016, Gerbino, Rv. 268726; Sez. 5, n. 48285 del
12/07/2016, Girardo, Rv. 268413; Sez. 5, n. 44644 del 28/06/2016, Leonardi,
Rv. 268197; Sez. 5, n. 32817 del 10/06/2016, Muscolino, Rv. 267700; Sez. 2, n.
11029 del 20/01/2016, Franco, Rv. 267727; Sez. 1, n. 17624 del 17/12/2015,
dep. 2016, S., Rv. 266984).
Nel caso di specie, ritiene il Collegio che il significativo intervallo
temporale fra la condotta ascritta a Pecoraro e l’applicazione della misura della

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coindagati, in qualche caso in ragione dell’epoca in cui furono commessi i fatti

custodia in carcere, se di per sé non sia decisivo al fine di valutare insussistenti
le esigenze cautelari, -non possa neppure essere ritenuto “irrilevante”: il reato
associativo è stato contestato in forma “chiusa” (dal settembre 2012 all’aprile
2013, periodo nel quale ricade l’epoca di commissione dei due reati-fine) e
dunque, secondo l’ipotesi accusatoria, l’associazione finalizzata al traffico di
sostanze stupefacenti avrebbe operato per otto mesi, cessando la propria attività
quattro anni e mezzo prima del deposito dell’ordinanza genetica (13/9/2017).
Sul punto sussiste il vizio motivazionale del provvedimento impugnato,

G.i.p., espressa a distanza di nove mesi dalla prima ordinanza genetica poi
annullata, peraltro sulla base di una rinnovata richiesta di misure coercitive da
parte del Pubblico Ministero che, in punto di esigenze cautelari, ricalcava quella
presentata un anno prima.
L’ordinanza impugnata, dunque, va annullata limitatamente a detto
aspetto, dovendo il giudice di rinvio compiere un nuovo esame, alla luce dei
rilievi che precedono, in ordine alla perdurante sussistenza delle esigenze
cautelari previste dall’art. 274, comma 1 lett. c), del codice di rito.

6. Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà
del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1

ter delle norme

di attuazione del codice di procedura penale, che copia della stessa sia trasmessa
al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato si trova ristretto, perché
provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’attuale sussistenza di
esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame, con integrale trasmissione degli
atti, al Tribunale di Lecce (Sezione per il riesame delle misure coercitive).
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 co. 1-ter disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 27/2/2018.

Il Consigliere estensore
pjero Messini D’Agostini
Il Presidente
Matilde Cammino

con il quale non è stata adeguatamente integrata la motivazione insufficiente del

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