Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18220 del 11/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18220 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Beti Ilir, nato il 20/06/1976;

Avverso la sentenza n. 6/2013 emessa il 20/06/2013 dalla Corte di assise di
appello di Torino;

Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal Consigliere dott. Alessandro
Centonze;

Udito il Procuratore generale, in persona del dott. Gabriele Mazzotta, che ha
concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza;

Uditi per l’imputato il prof. avv. Franco Coppi e l’avv. Mario Boccassi;

Data Udienza: 11/03/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 20/07/2012 il Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Torino, procedendo con rito abbreviato, condannava Ilir Beti alla
pena di anni venti di reclusione, ritenendolo responsabile dell’omicidio, ascritto al
capo 1) della rubrica, di Jean Julien Raymond, Vincent Luis Patrick Lorin, Audrey
Julie Reynard ed Elsa Rita Desliers, che viaggiavano, quali trasportati, a bordo
dell’autovettura Opel Astra, con cui collideva il suo veicolo Audi Q7, che guidava

dell’autostrada A26. Questa ipotesi di reato veniva unificata sotto il vincolo della
continuazione con quella ascrittagli al capo 2), consistente nelle lesioni personali
gravi cagionate a Laurent Boette, che era alla guida dell’autovettura a bordo
della quale viaggiavano le quattro vittime dell’incidente.
L’imputato, inoltre, veniva condannato per il reato ascrittogli al capo 3),
consistente nella guida in stato di ebbrezza nelle circostanze di fatto e con le
conseguenze delittuose di cui al capo 1), per il quale gli veniva irrogata la pena
di anni uno di arresto e 4.000,00 euro di ammenda. Il Beti, inoltre, veniva
condannato per il reato di cui al capo 4), consistente nel porto di un coltello a
serramanico con lama lunga 9,30 centimetri, che portava fuori dalla sua
abitazione senza giustificato motivo, per il quale veniva condannato alla pena di
mesi quattro di arresto e 800,00 euro di ammenda.
Oltre alle pene accessorie, con la sentenza di primo grado, il Beti veniva
condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, da
liquidarsi in separato giudizio civile.
Nella sentenza si accertava che, il 13/08/2011, alle ore 5.06, si verificava un
sinistro stradale sull’autostrada A26, nel tratto che da Genova Voltri si dirige
verso Gravellona, all’altezza del chilometro 36,632. Nell’occasione, il veicolo Audi
Q7, condotto dall’imputato, procedendo contromano, urtava tangenzialmente la
vettura Peugeot 206, condotta da Mario Gastaldi, proveniente dalla direzione
opposta; per effetto dell’urto, il Beti perdeva il controllo del mezzo e deviava
verso sinistra, andando a collidere frontalmente contro l’autovettura Opel Astra
guidata da Laurent Boette, che, in quel momento, procedeva da Genova Voltri
verso Gravellona, lungo la propria corsia destra.
Si accertava, inoltre, che la prima segnalazione telefonica pervenuta al 113
di un veicolo che procedeva contromano era stata effettuata alle ore 4.55 da un
automobilista che comunicava di trovarsi sulla A26 con direzione nord e di avere
visto un’autovettura, indicata come un SUV nero, percorrere in senso contrario la
carreggiata. Tale segnalazione telefonica proveniva da Giorgio Tori che – assunto
a sommarie informazioni il 07/10/2011 – confermava il contenuto della sua
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in stato di ebbrezza, con cui stava percorrendo contromano la carreggiata nord

comunicazione, che precedeva di undici minuti il sinistro stradale in
contestazione.
Nell’impatto veicolare che ne conseguiva il conducente della Opel Astra
rimaneva ferito, mentre i quattro passeggeri che erano trasportati a bordo del
suo mezzo decedevano; per effetto dell’impatto, Jean Julien Raymond, Vincent
Luis Patrick Lorin e Audrey Julie Reynard perivano sul colpo, mentre Elsa Rita
Desliers decedeva qualche ora dopo il suo ricovero ospedaliero. Sul sedile
posteriore dell’autovettura condotta del Beti, invece, viaggiava Tatiana

Nell’immediatezza dei fatti, l’imputato veniva sottoposto a controllo
alcolimetrico, facendo registrare i seguenti tassi: alla prima verifica, eseguita alle
ore 5.47, un tasso pari a 1,58 g/I; alla seconda verifica, eseguita alle ore 5.59,
un tasso pari a 1,51 g/I; alla terza verifica, eseguita alle ore 6.06, un tasso pari
a 1,42 g/l.
Nel punto in cui si verificava lo scontro frontale tra l’Audi Q7 condotta dal
Beti e l’Opel Astra condotta dal Boette, il tratto autostradale, composto da tre
corsie di marcia, risultava costituito da due carreggiate separate per ogni senso
di marcia, suddivise da strisce longitudinali discontinue di colore bianco, con
un’unica striscia longitudinale del medesimo colore per suddividere la corsia di
emergenza dalle altre corsie; il tratto in questione, a senso unico di marcia, si
sviluppava in modo rettilineo, con un andamento altimetrico leggermente
sfavorevole, presentando un piano con una leggerissima salita nel senso di
marcia da sud verso nord.
Al momento del sinistro, il fondo del tratto autostradale, su cui vigeva il
limite di velocità di 130 chilometri orari, si presentava asciutto e libero da
sostanze sdrucciolevoli; le condizioni meteorologiche erano buone e
consentivano una visibilità discreta, con la precisazione che, data l’ora, proprio in
quei frangenti, stava progressivamente svanendo l’oscurità notturna; il traffico,
al momento del sinistro, era relativamente scarso ma costante, atteso che si era
all’inizio del ponte di ferragosto; la carreggiata nord, in quello stesso tratto
stradale, si presentava separata dalla carreggiata sud, per mezzo di un guard rail
metallico, che non presentava irruzioni.
In ordine alla dinamica del sinistro stradale, nella sentenza, si accertava che
la parte anteriore sinistra dell’Audi Q7, procedente nella direzione da Gravellona
verso Genova Voltri, dapprima impattava tangenzialmente la fiancata laterale
sinistra della Peugeot 206 e nella circostanza provocava il distacco delle portiere
sinistre della vettura condotta da Mario Gastaldi, che finivano nella corsia di
emergenza; subito dopo il primo urto, il Beti perdeva il controllo del veicolo che
guidava, il quale, continuando a percorrere la corsia di marcia in senso inverso
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Prostakova, che rimaneva illesa, come lo stesso imputato.

alla direzione dell’Opel Astra condotta dal Boette, impattava frontalmente con la
stessa vettura, dando origine allo scontro mortale.
In particolare, la collisione interessava la parte anteriore destra dell’Audi Q7
e le parti anteriori centrale e destra dell’Opel Astra che, dopo lo scontro, compiva
un movimento rotatorio da destra verso sinistra e concludeva la corsa contro il
guard rail centrale; la vettura antagonista, animata da residua energia cinetica,
deviava verso la propria sinistra e, dopo avere lasciato sull’asfalto tracce di
scalfittura e di abrasione gommosa, si arrestava nella corsia di emergenza, con

di impatto con l’Opel Astra; nella corsia di emergenza veniva in seguito rinvenuta
la sua ruota anteriore destra, divelta dalla collisione.
Una pattuglia della Polizia stradale di Alessandria, Sottosezione di Ovada,
giungeva sul posto alle ore 5.40, assumendo a sommarie informazioni
l’imputato, Tatiana Prostakova, Mario Gastaldi e Stefano Spirito, ancora presenti
nell’area del sinistro. In tale ambito, si accertava che il veicolo guidato dal Beti
procedeva in direzione contraria e vietata rispetto al traffico circolante da sud
verso nord, con una ricostruzione dei fatti che corrispondeva alle segnalazioni
telefoniche effettuate da diversi automobilisti, nei minuti che avevano preceduto
il sinistro, all’operatore in servizio presso la Questura di Alessandria.
Nell’occasione, il Beti sosteneva di ricordare solo che proveniva da
Arenzano, di non essere in grado di ricostruire la dinamica del sinistro culminato
con lo scontro frontale e di non sapere nemmeno contro quale veicolo avesse
colliso. L’imputato, inoltre, aveva l’alito vinoso, gli occhi lucidi e un’espressione
vocale confusa, con la conseguenza che veniva sottoposto ai controlli
alcolimetrici, i cui risultati si sono richiamati.
Il 17/08/2012, veniva eseguita nei confronti del Beti una misura cautelare,
disposta in relazione al reato di plurimo omicidio volontario o di plurimo omicidio
colposo di cui al capo 1), contestati in forma alternativa.
Nell’interrogatorio che ne seguiva, svoltosi il 18/08/2012, il Beti dichiarava
di avere trascorso la serata precedente con Tatiana Prostakova nel locale “La
Kascia” di Arenzano e di essere ripartito lungo l’autostrada A26 con l’amica, per
fare ritorno ad Alessandria, ma di non ricordare se, arrivato al casello di
Alessandria sud, aveva imboccato la rampa di uscita e di non sapere perché
viaggiava contromano. Negava, inoltre, di essersi accorto degli autoveicoli che,
procedendo in senso contrario al suo e incrociandolo, gli avevano ripetutamente
lampeggiato e suonato il clacson, non essendo in grado di riferire quando aveva
iniziato a viaggiare contromano.
Tali fatti venivano ritenuti incontroversi e non venivano contestati nella loro
consistenza materiale nemmeno dalla difesa del Beti, consentendo al giudice di
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la parte anteriore rivolta verso Alessandria, alla distanza di 60,50 metri dal punto

primo grado di ritenere l’imputato colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1), 2), 3),
4) della rubrica, condannandolo alle pene richiamate in premessa.

2.

Avverso tale sentenza la difesa dell’imputato proponeva appello,

deducendo preliminarmente che le fattispecie contestate ai capi 1) e 2), alla
stregua delle evidenze probatorie, non rientravano nella previsioni delle norme
incriminatrici dei delitti di omicidio e di lesioni volontarie commessi con dolo
eventuale, concretizzando al contrario le corrispondenti ipotesi di reati colposi
commessi con colpa cosciente.

Secondo la ricostruzione difensiva, il giudice di primo grado aveva compiuto
una valutazione errata, laddove, dopo avere premesso che l’imputato aveva
posto in essere un comportamento di guida connotato da eccezionale
pericolosità, osservava che tale condotta, per la sua abnormità, fatta eccezione
per l’eventualità di un’incapacità di intendere e di volere non riscontrata nel caso
di specie, poteva provocare conseguenze per l’incolumità degli altri utenti della
strada. Tale erroneità del percorso argomentativo seguito emergeva proprio dalle
espressioni utilizzate nella sentenza impugnata, che evidenziavano l’esistenza di
obblighi di diligenza, prudenza e perizia a carico del Beti, la cui violazione non
poteva che comportare una responsabilità a titolo di colpa, facendosi riferimento
alle conseguenze della sua azione, che l’imputato avrebbe dovuto e potuto
prevedere.
Ne discendeva che il giudice di primo grado, dopo avere affermato la
pericolosità della condotta di guida del Beti, cadeva in un paralogismo giudiziario
nel punto in cui interpretava tale pericolosità come un elemento indiziario dal
quale ricavare la prova dell’accettazione del rischio, configurando
conseguentemente la volontà eventuale di cagionare gli eventi dei reati di
omicidio e di lesione personale volontaria. Tale paralogismo, nel caso di specie,
consisteva nell’errore logico di attribuire, nelle premesse del ragionamento sul
quale era fondata l’attribuzione di responsabilità, un differente significato
all’obbligo di previsione degli eventi delittuosi provocati, che comportava – nella
prospettiva recepita nella sentenza impugnata – che tutti coloro i quali adottano
la condotta pericolosa contestata all’imputato hanno l’obbligo di prevedere le
conseguenze che da essa possono scaturirne, con la conseguenza che il Beti, non
potendo non prevedere tali conseguenze, le aveva accettate.
Il percorso argomentativo seguito dal giudice di primo grado veniva
censurato anche sotto un ulteriore profilo, riguardante l’accettazione del rischio
come il solo requisito perché l’elemento soggettivo dell’agente possa ricondursi
alla figura del dolo eventuale. Infatti, una tale ricostruzione trascurava che, per
configurare il dolo eventuale, non è sufficiente che l’agente si rappresenti la
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t

possibilità che l’evento si verifichi e ne accetti il rischio, occorrendo un’ulteriore
elemento, relativo all’individuazione del momento volitivo.
In altri termini, si era trascurato di valutare il distinto requisito della volontà
dell’evento, inesistente ad avviso dell’appellante, approdando in tal modo a
un’arbitraria estensione della figura del dolo eventuale e invadendo la figura
contigua della colpa con previsione dell’evento delittuoso.
Si deduceva ulteriormente che nella sentenza impugnata non si era fornita
un’adeguata motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti

tenendo conto degli elementi fattuali emersi. Si evidenziava, in particolare, che il
giudice di primo grado aveva omesso di considerare gli elementi relativi alla
gravità concreta del fatto delittuoso contestato, considerato nelle specifiche
circostanze storiche, la cui corretta disamina avrebbe imposto di concedere al
Beti le attenuanti generiche invocate.
Si deduceva, infine, l’erroneità degli aumenti di pena a titolo di
continuazione, distinguendo le ipotesi di reato contestate ai capi 1) e 2) della
rubrica, unificate dal vincolo della continuazione, da quelle di cui ai capi 3) e 4),
per cui veniva applicata una pena autonoma.

3. Con sentenza emessa il 20/06/2013 la Corte di assise di appello di Torino
confermava la sentenza impugnata e condannava l’appellante al pagamento delle
ulteriori spese processuali.
In tale ambito, innanzitutto, si ribadiva la correttezza dell’inquadramento
dei delitti ascritti al Beti ai capi 1) e 2) della rubrica, richiamandosi
l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, per la sussistenza del dolo
eventuale, occorre che l’agente abbia accettato la verificazione dell’evento
delittuoso, consistente nell’accettazione della possibilità

hic et nunc,

della

concreta probabilità che questo, ancorché non voluto direttamente, abbia a
realizzarsi.
Nel caso di specie, gli elementi di prova sui quali fondare la conoscenza dei
fatti e le possibilità volitive che concretamente si dischiudevano all’imputato, a
proposito dell’atteggiamento psicologico maturato in quel determinato contesto,
erano molteplici e complessivamente idonei a fondare una ricostruzione
attendibile in funzione del giudizio di responsabilità penale compiuto nei suoi
confronti. Tali elementi erano stati correttamente valutati dal giudice di primo
grado sulla base dei rilievi eseguiti sul contingente traffico automobilistico dalla
Polizia stradale di Alessandria, Sottosezione di Ovada, che giungeva sul posto
nell’immediatezza dei fatti, che consentivano di individuare con certezza le

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generiche, allo scopo di adeguare l’entità della pena alla colpevolezza del Beti,

circostanze di tempo e di luogo in cui si succedevano gli avvenimenti che
portavano alla conclusione della vicenda delittuosa in esame.
Questa cornice probatoria veniva esaminata tenendo presente la
giurisprudenza delle Sezioni unite formatasi in materia di dolo eventuale, nel
valutare la quale la corte territoriale, pur recependone il presupposto
ermeneutico, se ne discostava sul piano metodologico, affermando che la
cosiddetta “formula di Frank” su cui si incentrava tale arresto giurisprudenziale
doveva ritenersi limitata ai soli delitti di ricettazione, in relazione ai quali tale

configurare il dolo eventuale tutte le volte in cui il giudice si formi la convinzione
che l’imputato avrebbe agito nello stesso modo in cui si attivava concretamente,
anche se fosse stato certo delle conseguenze della propria condotta e della
verificazione dell’evento lesivo (cfr. Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, dep.
30/03/2010, Nocera, Rv. 246324)
Nel caso di specie, l’applicazione di tale formula era inidonea a inquadrare il
comportamento del Beti, atteso che nei reati contro la persona che gli venivano
contestati ai capi 1) e 2) della rubrica non sussistevano quelle connotazioni di
inafferrabilità volitiva tipici dei reati di ricettazione e, per converso, era possibile
valutare l’atteggiamento soggettivo dell’imputato sulla base degli elementi di
prova acquisiti, che consentivano di enucleare le implicazioni causali derivanti dal
suo comportamento e le scelte che avevano guidato la sua condotta fino al
momento del sinistro stradale.
In questi termini, gli elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini
preliminari imponevano di ritenere che il Beti avesse deciso con sufficiente
chiarezza di procedere contromano sull’autostrada A26, prospettandosi
l’eventualità che un sinistro stradale, con gravi conseguenze in danno delle
persone, si potesse verificare in diretta connessione con la condotta che aveva
deciso di tenere e accettando, in tal modo, la possibilità che questo tipo di eventi
si potesse effettivamente verificare. Ne conseguiva che, avendo l’imputato
percorso contromano un tratto autostradale di diversi chilometri, doveva
ipotizzarsi che aveva una percezione di allarme visivo idonea a consentirgli di
guidare la sua vettura, con la conseguenza di dovere ritenere che non soltanto
aveva una chiara visione dei pericoli che erano collegati alla sua abnorme
condotta, ma che, decidendo di proseguire nel suo comportamento, aveva
accettato il rischio che si verificassero gli eventi di cui era in condizione di
prefigurarsi l’accadimento.
Sul piano sanzionatorio, la corte territoriale riteneva corretta la
quantificazione della pena irrogata all’appellante, tanto sotto il profilo della
mancata concessione delle attenuanti generiche invocate dalla difesa, quanto
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arresto era intervenuto. Com’è noto, secondo tale formula, è possibile

sotto il profilo degli aumenti di pena disposti per la continuazione tra le ipotesi di
reato contestate.
Sotto il primo profilo, doveva rilevarsi che la mancata concessione delle
attenuanti generiche da parte del giudice di primo grado veniva fondata su un
giudizio di gravità dei fatti delittuosi contestati esente da discrasie processuali,
siccome fondato sulla disamina delle modalità dell’azione intrapresa e della
gravità dei danni causati alle persone, rimaste vittime di un evento di matrice
dolosa che aveva assunto proporzioni assolutamente drammatiche.

discendeva ulteriormente dal movente dell’azione criminosa, che assumeva un
rilievo indiziario non secondario alla luce del criterio di giudizio indicato dall’art.
133, comma 2, n. 1, cod. pen., che doveva essere esaminato tenuto conto dei
precedenti che connotavano l’anagrafe giudiziaria dell’imputato, gravata da
pregressi reati.
Quanto, infine, alla censura relativa agli aumenti di pena disposti dal giudice
di primo grado, la corte territoriale rilevava che l’aumento sulla pena base di
anni ventuno di reclusione per il reato di cui al capo 1) della rubrica, teneva
conto della gravità delle condotte delittuose ascritte all’imputato, correttamente
valutate sulla scorta dei parametri dell’art. 133 cod. pen. In ogni caso, la pena
irrogata al Beti nella sentenza impugnata si caratterizzava per l’irreprensibilità
dei criteri di giudizio applicati al caso concreto e per la congruità dosimetrica
della quantificazione finale.

4. Avverso tale sentenza ricorrevano per cassazione i difensori di Ilir Beti, il
prof. avv. Franco Coppi e l’avv. Mario Boccassi, con atto sottoscritto
congiuntamente il 29/10/2013.
Quale primo motivo di ricorso, i difensori del Beti eccepivano la nullità della
sentenza ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per erronea
applicazione della legge penale e per contraddittorietà e illogicità della
motivazione.
Si deduceva, innanzitutto, che la sentenza impugnata muoveva da un
presupposto ermeneutico corretto, concordante con l’impostazione difensiva,
secondo cui l’elemento qualificante del dolo eventuale consisteva
nell’accettazione del rischio dell’evento delittuoso, in linea con la giurisprudenza
delle Sezioni unite, secondo la quale tale configurazione dolosa imponeva di
verificare che l’agente avesse agito pur avendo piena consapevolezza della
possibile verificazione dell’evento medesimo (cfr. Sez. un., n. 12433 del
26/11/2009, dep. 30/03/2010, Nocera, Rv. 246324).

La valutazione della spiccata pericolosità del comportamento del Beti

Tuttavia, a fronte di tali presupposti ermeneutici incontroversi, i giudici di
appello si discostavano dalle conseguenze metodologiche sottese all’approccio
giurisprudenziale richiamato – eminentemente incentrato sulla cosiddetta
“formula di Frank” sulla quale ci si è già sinteticamente soffermati – effettuando
una ricerca condotta sul terreno dei fatti, incapace di rivelare, alla luce delle
emergenze processuali, l’effettivo ambito della determinazione volitiva del Beti.
In questo modo, nella sentenza impugnata, disattendendo i parametri
ermeneutici richiamati in materia di dolo eventuale da questa Corte, si riteneva

titolo, doveva essergli attribuita la responsabilità per la morte e per le lesioni
personali determinatesi a seguito dell’incidente stradale provocato con la sua
condotta di guida abnorme.
La dimostrazione dell’erroneità del percorso argomentativo seguito nella
sentenza impugnata si traeva ulteriormente dal continuo riferimento alla
personalità del Beti, allo scopo di ricavare da questa motivi di ricostruzione
dell’elemento soggettivo del reato, con un percorso evidentemente fuorviante,
nella misura in cui sembrava virare verso la teorica della “colpa d’autore” ,
ritenendo di potere dedurre la prova del dolo eventuale più dalla personalità
dell’imputato che non dalle reali, concrete e irripetibili modalità dei fatti
contestati. Ne conseguiva che il provvedimento impugnato si poneva in contrasto
non solo con l’orientamento giurisprudenziale richiamato ma con la stessa lettura
costituzionalmente orientata del dolo eventuale, così come affermata dall’art. 43
cod. pen., introducendo, nella verifica giurisdizionale sull’elemento soggettivo dei
reati contestati ai capi 1) e 2), elementi non omogenei con la natura e la
struttura di tale elemento.
Accanto a tali insuperabili discrasie, nella sentenza impugnata, emergevano
ulteriori contraddizioni motivazionali, afferenti la rappresentazione volitiva del
Beti in ordine alle conseguenze della sua azione, atteso che nessuna verifica
processuale era stata compiuta sulla possibilità o sulla mera probabilità di
verificazione dell’evento considerato. Infatti, l’accettazione del pericolo poteva
determinare una responsabilità per colpa in relazione a eventi ulteriori, ma mai
una responsabilità a titolo di dolo, laddove tali eventi non avevano costituito
oggetto di una puntuale rappresentazione e non ne era stata accettata, come
probabile o comunque come possibile, la sua effettiva verificazione.
Tali aporie motivazionali, secondo i difensori del ricorrente, emergevano
dallo stesso testo del provvedimento impugnato, nel quale, alle pagine 35 e 36,
si affermava che «il reale atteggiamento volitivo che animava l’agente non era
certamente quello di innescare un processo causale suscettibile di provocare uno
scontro frontale, bensì di creare una gravissima turbativa del traffico che gli
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erroneamente che l’imputato avesse agito con dolo eventuale e che, a questo

avrebbe permesso di porre in pericolo la altrui incolumità senza esporsi, nella
sua previsione personale, ad analogo rischio di incidenti in danno della sua
stessa i ncolu mità».
Queste discrasie, inoltre, emergevano da ulteriori passaggi argomentativi,
contenuti nelle pagine 37, 40 e 41 del provvedimento impugnato, espressamente
richiamati nel ricorso in esame. Il tenore letterale di questi passaggi, secondo la
difesa ricorrente, rendeva evidenti gli errori valutativi nei quali erano incorsi i
giudici di appello, la cui ricostruzione non consentiva di configurare in capo al

suoi confronti, in relazione alle ipotesi delittuose ascrittegli ai capi 1) e 2) della
rubrica.
A tutto questo occorreva aggiungere che, nel compiere una tale valutazione,
la corte territoriale poneva in secondo piano la circostanza che il Beti, al
momento del sinistro, versava in stato di ebbrezza alcolica, così come
contestargli al capo 3) della rubrica. Tale disattenzione motivazionale appariva
ancora più rilevante alla luce delle carenze argomentative che si richiamavano a
proposito dell’elemento soggettivo sotteso alla condotta del ricorrente, nel
valutare il quale occorreva osservare che, se è vero che l’ubriachezza non
derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude l’imputabilità, è
parimenti vero che, nella ricostruzione dei fatti delittuosi, non era possibile
ignorare gli effetti che lo stato di ebbrezza aveva determinato nei processi
rappresentativi e volitivi dell’imputato.
La prospettazione di tali elementi circostanziali, secondo la difesa, non
mirava a vanificare il dettato normativo dell’art. 92 cod. pen., ma a rendere
evidente la natura colposa delle condotte di guida del Beti, non essendo
dubitabile che – proprio a causa della sua ubriachezza – era caduto in un errore
di percezione, di cui si doveva tenere conto sul piano dell’inquadramento
dell’elemento soggettivo.
Passando, infine, a considerare il secondo motivo del ricorso proposto
nell’interesse del Beti, deve evidenziarsi che, con tale doglianza, i suoi difensori
eccepivano la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.
proc. pen., per erronea applicazione della legge penale e per illogicità della
motivazione, in relazione al diniego delle attenuanti generiche e agli aumenti di
pena per la continuazione.
Si deduceva, in tale ambito, che la sentenza impugnata riteneva, con una
motivazione apodittica, che al Beti non potevano essere riconosciute le
circostanze attenuanti generiche, valutando erroneamente come congrui gli
aumenti per la continuazione, sul presupposto che i delitti contestati al Beti ai
capi 1) e 2) fossero di natura colposa.
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Beti il dolo eventuale presupposto per il giudizio di colpevolezza formulato nei

Tuttavia, le considerazioni che la difesa del ricorrente aveva esposto nel
primo motivo di ricorso, alle quali si faceva espressamente rinvio, inducevano a
ritenere erroneamente valutato il presupposto applicativo del giudizio
dosimetrico compiuto dai giudici di appello, non potendosi affermare con
certezza – sulla base di tali considerazioni – la natura dolosa delle condotte di cui
ai capi 1) e 2) della rubrica.
Questi motivi di ricorso imponevano l’annullamento della sentenza

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via preliminare, deve rilevarsi che i fatti ascritti al ricorrente ai capi 1),
2), 3), 4) della rubrica, nella loro consistenza materiale, risultano incontroversi e
non vengono contestati dalle parti processuali.
In questa cornice probatoria, occorre prendere le mosse dal primo motivo
del ricorso proposto nell’interesse di Ilir Beti, con cui i suoi difensori eccepivano
la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.
proc. pen., per erronea applicazione della legge penale e per contraddittorietà e
illogicità della motivazione.

1.1. In tale ambito, occorre evidenziare che costituisce un’operazione
ermeneutica preliminare quella funzionale a individuare i parametri
giurisprudenziali utili a distinguere il dolo eventuale dalla colpa cosciente,
compiendo un’attività ricognitiva necessaria a inquadrare la condotta del Beti,
allo scopo di valutare le carenze motivazionali lamentate nel primo motivo di
ricorso.
Deve, in proposito, rilevarsi che la possibilità che l’evento non voluto sia
comunque previsto dal soggetto che agisce è indicata incidentalmente nella
definizione del delitto colposo dall’art. 43, comma 3, cod. pen., secondo cui tale
delitto si configura «quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto
dall’agente».
Secondo un’impostazione risalente che ha avuto origine e diffusione nella
dottrina tedesca, venendo successivamente ripresa dalla dottrina e dalla
giurisprudenza nostrana, la colpa cosciente è una categoria confinante con quella
del dolo eventuale, che rappresenta la situazione soggettiva di chi,
analogamente a quanto si contesta al Beti, agisce con la consapevolezza della
possibilità di verificazione di un evento delittuoso, accettandone il rischio (cfr. R.
Frank, Das Strafgesetzbuch fúr das deutsche Reich, 1926, pp. 181 ss.).

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impugnata nell’interesse di Ilir Beti.

In questa prospettiva, il criterio distintivo tra il dolo eventuale e la colpa
cosciente è stato tradizionalmente individuato attraverso la cosiddetta “formula
di Frank” – dall’autore tedesco cui la stessa è dovuta – che è stata recepita dalla
giurisprudenza di legittimità, inizialmente con riferimento al tema del rapporto
tra la ricettazione e l’incauto acquisto. In tale ambito giurisprudenziale, la
necessità di un approccio rigoroso nell’accertamento del dolo eventuale si
riteneva imposto dalla necessità di delimitare l’ambito di operatività del reato di
ricettazione rispetto a quello di incauto acquisto, evitando che attraverso il dolo

fattispecie della ricettazione (cfr. Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, dep.
30/03/2010, Nocera, Rv. 246324).
Ai presenti fini processuali, si reputa necessario richiamare il passaggio
contenuto nelle pagine 10 e 11 della pronunzia delle Sezioni unite richiamata, in
cui si precisava: «Insomma perché possa ravvisarsi il dolo eventuale si richiede
più di un semplice motivo di sospetto, rispetto al quale l’agente potrebbe avere
un atteggiamento psicologico di disattenzione, di noncuranza o di mero
disinteresse; è necessaria una situazione fattuale di significato inequivoco, che
impone all’agente una scelta consapevole tra l’agire, accettando l’eventualità di
commettere una ricettazione, e il non agire, perciò, richiamando un criterio
elaborato in dottrina per descrivere il dolo eventuale, può ragionevolmente
concludersi che questo rispetto alla ricettazione è ravvisabile quando l’agente,
rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non
avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuta la
certezza» (cfr. Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, dep. 30/03/2010, Nocera, Rv.
246324).
Sul piano processuale, questo modello non è empiricamente verificabile, ma
costituisce una piattaforma epistemologica che, in quanto tale, non rappresenta
un criterio di verificabilità fattuale del dolo eventuale, necessitando di un
ulteriore e imprescindibile passaggio giurisdizionale, funzionale a riscontrare la
connessione dell’evento delittuoso con l’azione criminosa, tenuto conto della
rappresentazione volitiva del soggetto attivo del reato. Su questi passaggi
metodologici i giudici di appello si soffermavano nelle pagine 26 e 27,
richiamando la giurisprudenza delle Sezioni unite che originariamente confinava
l’applicazione del modello ermeneutico riconducibile alla “formula di Frank” alle
sole ipotesi di ricettazione.
Con un successivo approdo interpretativo le Sezioni unite intervenivano
nuovamente sul tema del dolo eventuale, individuandone i confini distintivi
rispetto alla colpa cosciente ed elaborando una nozione, eminentemente
connotata sul piano dell’accertamento probatorio dell’elemento soggettivo, con
12

eventuale le condotte incaute venissero ricondotte surrettiziamente alla

la quale ci si deve necessariamente confrontare nel valutare la posizione
processuale del Beti.
In questo intervento, innanzitutto, le Sezioni unite, sotto il profilo
dell’elemento soggettivo, distinguevano il dolo eventuale e la colpa cosciente nei
seguenti termini: «In tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale
ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa
possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver
considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato

per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa cosciente quando la volontà
dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente
presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento
illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza,
irragionevolezza o altro biasimevole motivo» (cfr. Sez. un., n. 8 del 24/04/2014,
dep. 18/09/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261104).
Nello stesso arresto chiarificatore le Sezioni unite fornivano, sul piano
probatorio, l’indicazione degli elementi sintomatici del dolo eventuale, ai fini della
distinzione con la colpa cosciente, affermando: «In tema di elemento soggettivo
del reato, per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione
rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia
confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella
fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l’indagine
giudiziaria, volta a ricostruire Imiter” e l’esito del processo decisionale, può
fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da
quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; c) la
durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il
fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la
probabilità di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per
l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta
l’azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni
probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure
se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (cosiddetta prima
formula di Frank)» (cfr. Sez. un., n. 8 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014,
Espenhahn e altri, Rv. 261105).
In questa cornice ermeneutica, non può non prendersi atto che le categorie
del dolo eventuale e della colpa cosciente sono concepite dogmaticamente come
figure contigue e speculari, tanto è vero che si utilizza la “formula di Frank”
proprio allo scopo di risolvere i casi di confine, analoghi a quello che si sta
considerando; tuttavia, è proprio questa contiguità dogmatica – ed
13

ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso,

evidentemente sistematica – a imporre al giudice del merito di compiere una
verifica rigorosa degli elementi processuali sottoposti alla sua cognizione, che
non lasci spazio a presunzioni o a semplificazioni probatorie, ossequiose a
esigenze esclusivamente edittali.
Si è, dunque, in presenza di un giudizio ipotetico, ma ciò non è per nulla
estraneo alla scienza penalistica che, a ben vedere, da valutazioni di natura
congetturale e controfattuale è tradizionalmente pervasa. L’importante è, come
hanno sottolineato le Sezioni unite, nella parte narrativa dell’arresto

informazioni altamente affidabili che consentano di esperire il controfattuale e di
rispondere con sicurezza alla domanda su ciò che l’agente avrebbe fatto se
avesse conseguito la previsione della sicura verificazione dell’evento illecito
collaterale».
Occorre, però, prendere atto realisticamente che tale situazione processuale
non sempre si verifica, atteso che in molte situazioni il dubbio rimane irrisolto, in
quanto vi sono casi in cui neppure l’interessato saprebbe rispondere ad una
domanda del genere. Ne consegue che il modello in esame costituisce un
indicatore importante ed anzi sostanzialmente risolutivo quando si abbia modo di
esperire in modo affidabile e concludente il relativo giudizio controfattuale.
L’accertamento del dolo eventuale, tuttavia, non può essere affidato solo a tale
modello euristico, come affermato dalle stesse Sezioni unite a pagina 187, in
ragione del fatto che il giudice, nel compiere una tale valutazione processuale,
deve «avvalersi di tutti i possibili, alternativi strumenti d’indagine».
Tali affermazioni inducevano le Sezioni unite, a pagina 188, nel passaggio
dedicato al procedimento di accertamento controffattuale che deve compiere il
giudice di merito, ad affermare: «In conseguenza, in tutte le situazioni
probatorie irrisolte alla stregua della regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole
dubbio, occorre attenersi al principio di favore per l’imputato e rinunziare
all’imputazione soggettiva più grave a favore di quella colposa, se prevista dalla
legge».

1.2. Ricostruita in questi termini la differenza tra dolo eventuale e colpa
cosciente, non sembra che, nel caso di specie, i giudici di merito, sulla base delle
evidenze processuali e dei parametri ermeneutici forniti da questa Corte, abbiano
risposto al quesito fondamentale sotteso alla formulazione di un giudizio di
colpevolezza nei confronti del Beti, consistente nel comprendere se lo stesso, al
momento dell’impatto con l’autovettura Opel Astra condotta dal Boette,
procedeva contromano inconsapevolmente, per effetto dello stato di alterazione
alcolica nella quale versava; procedeva contromano consapevolmente,
14

giurisprudenziale che si è richiamato, a pagina 187, che «si sia in possesso di

prevedendo l’evento mortale che correva e accettandolo, allo scopo di sfidare il
pericolo che correva con tale condotta di guida abnorme; ovvero, procedeva
contromano consapevolmente, prevedendo l’evento rischioso che poteva correre
con il suo comportamento, ma non accettandolo.
Tale fondamentale passaggio della vicenda processuale, a tutt’oggi, non è
risolto, come evidenziato dalle conclusioni formulate, nel giudizio di appello e in
quello di legittimità, dai procuratori generali di udienza, che concludevano la loro
requisitoria esprimendo una valutazione contraria a quella trasfusa nella

Invero, sul punto, la sentenza impugnata non si mostra esaustiva,
limitandosi a richiamare, per un verso, il dato processuale incontroverso secondo
cui il Beti aveva imboccato contromano l’autostrada A26, nel tratto che da
Genova Voltri si dirige verso Gravellona, per affermare che avesse percorso in
modo pienamente consapevole il tratto autostradale nel quale si verificava
l’incidente mortale, per altro verso, facendo riferimento alla personalità
dell’imputato, valutata attraverso i comportamenti che precedevano la sua
condotta di guida e l’imbocco del tratto stradale nel quale si verificava il sinistro.
Tali discrasie motivazionali, già evidenti sulla base del compendio probatorio
richiamato nella sentenza impugnata, assumono un rilievo processuale ancora
maggiore se vagliate alla luce dei parametri ermeneutici forniti dalle Sezioni
unite nell’arresto giurisprudenziale al quale ci si è riferiti nel paragrafo
precedente.
Sotto il primo profilo, i giudici di appello non spiegavano, salvo un breve
riferimento contenuto a pagina 40, le ragioni che avevano indotto il Beti a
effettuare un’inversione di marcia repentina, dopo avere oltrepassato l’uscita per
Alessandria sud, compiendo il tratto autostradale che lo separava dal punto
dell’impatto con l’autovettura del Boette, limitandosi ad affermare in modo
assertivo che l’imputato «aveva precisa coscienza e volontà di procedere
contromano». Su questa fondamentale frazione della vicenda delittuosa compresa tra le ore 4.55 in cui perveniva al 113 la prima segnalazione telefonica
di un veicolo che procedeva contromano effettuata da Giorgio Tori e le ore 5.06
in cui perveniva allo stesso recapito d’emergenza la telefonata di Christian
Sternativo che comunicava in diretta all’operatore il verificarsi del sinistro
stradale di cui al capo 1) – la ricostruzione della corte territoriale non risulta
approfondita, non collegando adeguatamente tale profilo processuale al
problema dell’enucleazione dell’elemento soggettivo in capo al Beti, che deve
essere eseguito alla luce degli indicatori sintomatici richiamati dalla
giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. un., n. 8 del 24/04/2014, dep.
18/09/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261105).
15

sentenza impugnata.

Sotto il secondo profilo, non appaiono esaustivi rispetto all’impostazione
processuale recepita dalla corte territoriale ì riferimenti allo stato d’animo che
caratterizzava il Beti nel momento in cui si poneva alla guida della sua
autovettura, esplicitati senza spiegarne la pertinenza rispetto alla determinazione
volitiva sottesa ai delitti contestati ai capi 1) e 2) della rubrica. Tali riferimenti,
infatti, possiedono una valenza meramente congetturale, inidonea in quanto tale
– in assenza di un’adeguata ricognizione delle evidenze probatorie da cui trarre
tali conclusioni – a fondare un giudizio adeguato sulla determinazione volitiva del
Beti, nella prospettiva ermeneutica prefigurata dalla corte territoriale.

Esemplare, da questo punto di vista, ci appare il passaggio della
motivazione del provvedimento impugnato, contenuto a pagina 37, nel quale la
corte territoriale, facendo riferimento alle delusioni patite dal Beti durante la
serata appena trascorsa, conclusasi con il suo allontanamento dalla discoteca “La
Kascia” in compagnia della Prostakova, affermava in termini evidentemente
congetturali: «In breve, aveva motivo di sentirsi avvilito e ferito nell’orgoglio per
il modo con cui aveva trascorso le ultime ore, aveva bisogno perciò di riscattare
ai propri occhi ed agli occhi della Prostakova la propria figura dagli affronti e
dagli insuccessi che l’avevano mortificato. Tutto ciò evidentemente costituiva per
lui una ragione sufficiente perché si lasciasse attirare dalla smania di adottare
dei comportamenti di aperta sfida verso la società che avevano la funzione di
medicare il suo amor proprio offeso. Naturalmente la constatazione non può in
nessun modo rappresentare una scusante per la condotta adottata nella
circostanza; dimostra tuttavia che non agì con totale irrazionalità, ma che, anzi,
in qualche misura gli atti da lui realizzati erano coerenti con i tratti salienti della
sua personalità e sono spiegabili con la particolare situazione psicologica del
momento».
Invero, questo passaggio non sembra coerente con gli obiettivi motivazionali
perseguiti dai giudici di appello, non comprendendosi perché il comportamento
abnorme del Beti fosse da collegare alla presenza della Prostakova all’interno del
veicolo, se si considera che l’amica, al momento dell’incidente, dormiva, in
condizioni di ubriachezza, nel sedile posteriore del veicolo, senza essere in grado
di apprezzare o anche solo di valutare il senso delle azioni del guidatore. Né si
comprende, sulla scorta di quanto riferito nella sentenza impugnata, nelle pagine
35-37, se e in quale misura il presunto atteggiamento di sfida e di rivalsa
individuale del Beti abbia inciso sulla rappresentazione volitiva degli eventi
delittuosi mortali esaminati, orientando il giudizio della corte territoriale verso il
dolo eventuale anziché verso la colpa cosciente, determinando la situazione di
incertezza probatoria segnalata dalla difesa del ricorrente, su cui il
provvedimento in esame non forniva alcuna indicazione risolutiva, omettendo di
16

t

esaminare analiticamente gli elementi sintomatici dell’elemento soggettivo del
ricorrente.
Analoghe considerazioni valgono per l’ulteriore passaggio della sentenza
impugnata, contenuto a pagina 41, nel quale l’intento volitivo del Beti veniva
desunto presuntivamente dalla sua volontà di dimostrare la sua abilità di
conducente, sulla base di un’analisi meramente congetturale, affermando:
«L’atteggiamento soggettivo che emerge dalle considerazioni ora esposte
concreta la prova del dolo eventuale. Infatti la volontà dell’imputato era diretta

scontro con i veicoli che circolavano nella direzione opposta e dando così a se
stesso una prova di destrezza nella guida, di audacia e di prontezza di riflessi.
Tuttavia era perfettamente in grado di rappresentarsi, e in effetti si rappresentò,
che, agendo nel modo che aveva deciso di seguire, dalla sua azione sarebbero
potute derivare delle conseguenze devastanti per l’altrui integrità».
In questi termini, se lo scopo della prova di esibizione era quello di
dimostrare la sua destrezza alla guida e se tale prova di abilità doveva consistere
proprio nell’evitare i veicoli che provenivano dalla direzione opposta, la corte
territoriale avrebbe dovuto affrontare preliminarmente il problema del momento
in cui il Beti – proprio al fine di concretizzare tale progetto esibizionistico imboccava contromano il tratto autostradale in cui si verificava il sinistro stradale
nel quale andava a impattare contro il veicolo condotto dal Boette, provocando la
morte dei suoi quattro passeggeri.
Così ricostruiti i passaggi motivazionali censurati dalla difesa del ricorrente,
occorre rilevare che la sentenza impugnata non consente di affermare con
certezza che il Beti, viaggiando contromano, abbia accettato il rischio degli
eventi lesivi prodotti con la sua condotta di guida, soddisfacendo i parametri
richiesti per ipotizzare la sussistenza del dolo eventuale da questa Corte, sui
quali ci si è soffermati nel paragrafo precedente (cfr. Sez. un., n. 8 del
24/04/2014, dep. 18/09/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261105).
Tali conclusioni impongono un ulteriore giudizio, affinché la corte territoriale
enuclei, con maggiore precisione e valutandone analiticamente gli indicatori
sintomatici, l’elemento soggettivo sotteso al comportamento del ricorrente.

1.3. Nell’ambito del primo motivo di ricorso occorre richiamare l’ulteriore

doglianza attraverso cui si articolava la censura difensiva, secondo cui i giudici di
appello avevano trascurato la circostanza che il ricorrente, al momento del
sinistro, versava in uno stato di ebbrezza alcolica, così come contestatogli al
capo 3), che rendeva ancora più evidenti le disarmonie motivazionali richiamate

17

principalmente a percorrere l’autostrada contromano, evitando di misura lo

nel paragrafo precedente sul piano dell’accertamento probatorio dell’elemento
soggettivo.
Deve, invero, rilevarsi che, sotto questo profilo, la sentenza impugnata
presenta delle carenze motivazionali oggettive, atteso che nella ricostruzione dei
fatti delittuosi non era possibile ignorare gli effetti che lo stato di ebbrezza aveva
potuto provocare nel processo di determinazione del Beti, con quanto di
conseguenza ai fini della sussistenza o meno di quella particolare figura di dolo il dolo eventuale – connotata proprio, rispetto alla colpa cosciente, da una

dell’elemento volitivo.
Si consideri, in proposito, che, su tale fondamentale profilo, entrambe le
sentenze di merito si limitavano ad affermare che, a seguito del controllo
alcolimetrico effettuato dalla pattuglia della polizia stradale giunta sul luogo del
sinistro stradale, l’imputato faceva registrare, nel corso delle verifiche
alcolimetriche eseguite tra le ore 5.47 e le ore 6.06, un tasso superiore ai limiti
imposti dalla legge, donde la contestazione di cui al capo 3).
Nelle sottostanti sentenze di merito nessun’altra indicazione veniva fornita,
né tantomeno veniva precisato se e in quale misura lo stato di alterazione
alcolica nel quale versava il Beti avesse influito sulle sue condizioni psichiche,
tenuto conto del processo di determinazione volitiva sotteso al delitto contestato
al capo 1). Tale accertamento probatorio, a ben vedere, era indispensabile,
proprio alla luce delle incertezze che si sono richiamate nel paragrafo
precedente, a proposito dell’accettazione del rischio di verificazione dell’evento
lesivo, verificatosi in concreto, valutato in modo incongruo da entrambi i giudici
di merito.
Né è possibile attribuire, sotto questo aspetto, decisività all’esame clinico del
ricorrente, eseguito presso l’Ospedale di Ovada alle ore 10.10 del 14/08/2012,
atteso che nel provvedimento impugnato si faceva riferimento a tali verifiche, a
pagina 42, in termini assertivi: «Del resto in seguito, ed esattamente alle ore
10.10, visitato presso l’Ospedale di Ovada, è risultato perfettamente orientato
nel tempo e nello spazio, privo di deficit di memoria, di allucinazioni e di
dispercezioni e calmo, pur con la precisazione che in quel tempo accusava un
tasso di alcolemia pari a 1 O. Perciò non si può sostenere che all’atto del
sinistro che aveva provocato fosse frastornato e disorientato, ed ancor meno che
fosse inconsapevole delle circostanze di tempo e di luogo. Quindi è coerente
ritenere che, quando aveva tenuto la condotta causalmente collegata con il
verificarsi della collisione frontale, si fosse trovato nella condizione di valutare
adeguatamente, con discreto grado di consapevolezza, le possibili conseguenze
di danno per l’incolumità delle persone che dipendevano dall’anomalia degli atti
18

residua, anche se sfocata in confronto a quella netta del dolo diretto, presenza

che stava compiendo. Pertanto è altrettanto coerente concludere che, in allora,
aveva accettato in anticipo tali conseguenze per l’ipotesi che si verificassero».
In questi termini, è certamente un dato ermeneutico incontroverso quello
secondo cui l’ubriachezza non derivata da caso fortuito o forza maggiore non è
idonea, in quanto tale, a escludere l’imputabilità dell’agente, secondo quanto
previsto dall’art. 92, comma 1, cod. proc. pen. Tuttavia, di tale circostanza, così
come di ogni altro elemento circostanziale utile ai fini della valutazione
dell’atteggiamento volitivo del Beti, occorreva tenere conto, non potendosi

dall’ingerenza di elevati quantitativi di sostanze alcoliche, era idoneo a produrre
sui processi rappresentativi e volitivi del ricorrente.
Come si è detto, passando in rassegna il passaggio della sentenza di appello
dedicato alla visita ospedaliera effettuata la mattina dopo il sinistro stradale, il
Beti veniva ritenuto pienamente consapevole delle azioni che lo avevano portato
a compiere le condotte illecite che gli venivano contestate ai capi 1) e 2) della
rubrica.
Tuttavia, la sobrietà accertata in sede di visita non poteva considerarsi
dirimente circa l’incidenza dello stato di ebbrezza sul grado di lucidità e
consapevolezza dell’imputato al momento dei fatti, in quanto si riferiva a una
verifica effettuata a distanza di ore dagli stessi e in un contesto certamente non
comparabile a quello, cui la valutazione andava rapportata, della guida in orario
prelucano su tratto autostradale interessato da traffico non intenso ma costante.
Tutto questo rende evidenti le lacune motivazionali su tale fondamentale
profilo della vicenda delittuosa, che avrebbe dovuto essere affrontato in maniera
più approfondita e che, in sede di rinvio, impone una nuova adeguata
ricognizione, essenziale per il problema della distinzione tra colpa cosciente e
dolo eventuale.
Né potrebbe essere diversamente, tenuto conto di quanto affermato da
questa Corte che, fermi restando i parametri ermeneutici indicati dagli artt. 92 e
93 cod. pen., con particolare riferimento allo stato di alterazione psichica dovuto
all’ingestione di sostanze alcoliche o stupefacenti, osserva: «La regola secondo
cui l’imputabilità non è esclusa né diminuita dall’ubriachezza o dall’assunzione di
sostanze stupefacenti, a meno che esse non siano conseguenza di caso fortuito o
forza maggiore, non esime dal dovere di accertamento della colpevolezza
attraverso l’indagine sull’atteggiamento psicologico tenuto dall’agente al
momento della commissione del fatto imputato» (cfr. Sez. 1, n. 42387 del
28/09/2007, dep. 16/11/2007, Bruschi, Rv. 238111).
Queste considerazioni processuali rendono evidente la necessità di un nuovo
giudizio, affinché che la corte territoriale, applicando correttamente i principi di
19

ignorare gli effetti che tale stato di alterazione psichica, determinato

7

diritto che si sono richiamati, enuclei l’elemento soggettivo, doloso o colposo,
sotteso al comportamento del Beti.
Nel compiere tale operazione il giudice del rinvio dovrà tenere conto del più
recente arresto giurisprudenziale in tema di accertamento del dolo eventuale, del
quale la sentenza impugnata – emessa in epoca antecedente all’approdo
ermeneutico medesimo – non poteva tenere conto, ma con il quale nel nuovo
giudizio non potrà fare a meno di confrontarsi (cfr. Sez. un., n. 8 del

2.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso deve essere ritenuto

assorbente rispetto all’ulteriore doglianza della difesa del ricorrente, relativa
all’erronea applicazione della legge penale e all’illogicità della motivazione, in
relazione al trattamento sanzionatorio irrogato al Beti, che si omette di
esaminare.

3. Le ragioni giuridiche che si sono esposte compiutamente nei paragrafi 1.1
e 1.2 di questa sentenza impongono conclusivamente l’annullamento del
provvedimento impugnato e il rinvio ad altra sezione della Corte di assise di
appello di Torino per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della
Corte di assise di appello di Torino.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’Il marzo 2015.

24/04/2014, dep. 18/09/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261105).

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