Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18215 del 23/01/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18215 Anno 2018
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PARADISO ANTONIO N. IL 01/05/1990
avverso l’ordinanza n. 649/2017 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 29/06/2017
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
-›,

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 23/01/2018

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Tribunale dei Riesame di Catanzaro con ordinanza in data 29.6.2017 respingeva l’appello
proposto da Paradiso Antonio avverso l’ordinanza emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro
di rigetto dell’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare in atto applicata con
riguardo all’articolo 416 bis codice penale.

misura massima custodiale perché condannato – con sentenza di primo grado, pronunciata
all’esito di giudizio abbreviato – per partecipazione all’associazione mafiosa CERRATORCASIO-GUALTIERI. Evidenziavano che per quanto riguarda le esigenze di cautelare non
poteva che richiamarsi l’articolo 275 co 3 c.p.p. e rilevavano che nel caso di specie non era
stata superata la presunzione di pericolosità sociale con conseguente applicazione dell’unica
misura considerata adeguata dalla legge. In particolare rilevavano che una valutazione di
insussistenza delle esigenze cautelari, con conseguente superamento della presunzione di
legge, non poteva derivare dagli elementi esposti dalla difesa nell’atto di appello e relativi
allo stato di incensuratezza e al decorso del tempo in stato di custodia cautelare che, per
un profilo, non denotano una rescissione, tanto meno dotata di stabilità, dal gruppo dalla cui
appartenenza è conseguito condanna, per altro motivo non fanno emergere un
allontanamento effettivo e duraturo dalla organizzazione criminale
Deduce il ricorrente che l’ordinanza impugnata è errata quando afferma che non esiste una
Qutornatica possibilità di revoca della misura in costanza del semplice decorso del tempo e
ritiene che il tribunale del riesame doveva considerare l’effetto monitorio che si era prodotto
sul soggetto dal complessivo periodo cautelare sofferto. Evidenzia anche che nel caso di
specie l’imputazione associativa era chiusa al 7 luglio 2011 data in cui era cessata la
permanenza del reato contestato e con essa la pericolosità sociale .
Il ricorso è palesemente destituito di fondamento giuridico.
Premesso che le esigenze cautelari sono state individuate nel pericolo di reiterazione, va
ricordato come, anche all’esito dell’intervento riformatore di cui alla L. n. 47/2015, a fronte
della contestazione del reato di associazione mafiosa, l’art. 275 comma 3 c.p.p. continua a
prevedere una doppia presunzione, relativa quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari
ed assoluta con riguardo all’adeguatezza della misura carceraria. Pertanto, qualora
sussistano i gravi indizi di colpevolezza del menzionato delitto e non ci si trovi in presenza di
una situazione nella quale fa difetto una qualunque esigenza cautelare, deve trovare
applicazione in via obbligatoria la misura della custodia in carcere.
Sul piano pratico, tale disciplina si traduce, da un lato, in un’inversione dell’onere probatorio
in favore della pubblica accusa, che è sollevata dal dovere di dimostrare l’esistenza dei
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I giudice del riesame respingevano l’appello rilevando che il PARADISO era sottoposto alla

pericula libertatis e l’idoneità della sola custodia in carcere, aspetti presupposti dalla
valutazione “bloccata” del legislatore; dall’altro lato, in una semplificazione dell’impianto
argomentativo dei provvedimenti de libertate ed in una marcata attenuazione dell’onere di
motivazione. Come è stato efficacemente rilevato, la presunzione relativa di pericolosità
sociale prevista dall’art. 275, comma 3, inverte gli ordinari poli del ragionamento
giustificativo, nel senso che il giudice che applica o che conferma la misura cautelare non ha
un obbligo di dimostrare in positivo la ricorrenza dei pericula líbertatís, ma deve soltanto

evincibili dagli atti, tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione (Sez. 1, n.
45657 del 6 ottobre 2015, Varzaru, Rv. 265419; Sez. 1, n. 5787 del 21 ottobre 2015,
Calandrino, Rv. 265986).
L’obbligo di motivazione può così ritenersi compiutamente assolto allorquando il giudice
abbia dato atto dei gravi indizi in merito all’ipotesi di reato sopra menzionata e dell’assenza
delle condizioni per ritenere del tutto assenti detti perícula, così da vincere la presunzione,
con il corollario che spetta all’indagato confutare i presupposti e dunque dimostrare
l’inesistenza in radice delle esigenze cautelari. Soltanto nel caso in cui l’indagato o la sua
difesa abbiano allegato elementi di segno contrario, il giudicante sarà tenuto a giustificare la
ritenuta inidoneità degli stessi a superare la presunzione (ex multís e da ultima Sez. 6 n.
23012 del 20 aprile 2016, Notarianni, in motivazione).
E’ dunque onere della difesa evidenziare gli elementi idonei a superare la presunzione di
pericolosità, onere che nel caso di specie il ricorrente non ha assolto.
I giudici del Riesame hanno dato atto dell’assenza di elementi in grado di far
ragionevolmente ritenere che il ricorrente abbia rescisso il legame con la compagine
associativa, attenendosi ad un principio ampiamente condiviso dalla giurisprudenza di
legittimità secondo cui, in tema di misure cautelari personali, l’attenuazione o il venir meno
delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione
della misura dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al
mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare (Rv. 265652; Rv.
227430; Rv. 235391; Rv. 238518; Rv. 238763).
Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

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apprezzare le ragioni di esclusione, eventualmente evidenziate dalla parte o direttamente

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle Ammende. Manda alla
Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 co 1 ter Disp. Att. C.p.p.
Così deliberato in Roma il 23.1.2018
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

Il Presidente
Matilde CAMMINO

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