Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18212 del 28/02/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18212 Anno 2018
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA

SENTENZA

SEMPLIFICATA

sul ricorso proposto da:
CANARGIU PIERO nato a San Gavino Monreale il 7.5.1952,
avverso la sentenza n. 796/2016 della Corte d’Appello di Cagliari – sez.
distaccata di Sassari del 23.11.2016
Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Udita nella pubblica udienza del 28.2.2018 la relazione fatta dal Consigliere
Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;
Udito il Sostituto Procuratore Generale in persona di Pietro Molino, che ha
concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 novembre 2016, la Corte d’appello di Cagliari – sez.
distaccata di Sassari, giudicando in sede di rinvio dalla Corte Suprema di
cassazione, ha confermato la sentenza emessa dalla stessa Corte d’appello il 16
ottobre 2014, con cui CANARGIU PIETRO, in atti generalizzato, è stato
condannato alla pena ritenuta di giustizia in relazione ai reati di cui agli artt. 337,
582, 585 e 576 n. 1 c.p.
Avverso la sentenza d’appello e le ordinanze di rigetto della richiesta di
acquisizione delle videoriprese, effettuate dalle videocamere del Banco di
Sardegna, e di rigetto della successiva richiesta di rinnovazione dell’istruttoria il
difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti
motivi:

Data Udienza: 28/02/2018

1)

contraddittorietà della motivazione in merito all’atto arbitrario del

comandante dei carabinieri rispetto all’elemento soggettivo dei delitti di cui agli
artt. 337 e 582 c.p.. Secondo il ricorrente, al fine della valutazione
sull’arbitrarietà dell’atto del P.U., la Corte territoriale avrebbe omesso di
considerare che il P.U. non aveva motivo di chiedere i documenti al ricorrente,
dato che quest’ultimo non avrebbe potuto in alcun modo sottrarsi
all’identificazione, essendo ben conosciuto dal maresciallo. Inoltre, al ricorrente
sarebbe stata contestata la violazione dell’art. 157 C.d.S„ mentre egli avrebbe

marcia. Ciò, oltre all’ingerenza nella sfera privata, avendo il P.U. invaso
l’abitacolo dell’autovettura del ricorrente, avrebbe dovuto indurre a valutare
diversamente l’elemento soggettivo dell’imputato rispetto al dolo specifico,
richiesto per il delitto di resistenza, e quello generico necessario per il delitto di
lesioni;
2) contraddittorietà della motivazione, per non avere la Corte territoriale
considerato che il ricorrente avrebbe reagito perché: a) stava subendo un fermo
illecito; b) il P.U. richiedeva i documenti senza che vi fossero gli estremi per
farlo; c) veniva elevata una contravvenzione inesistente. A fronte di queste
premesse, il giudice di merito avrebbe tralasciato di considerare che la condotta,
arbitraria o meno, del P.U. sarebbe stata in grado di determinare un turbamento
psichico che avrebbe fatto ritenere al Canargiu di subire un atto arbitrario;
3)

contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte d’appello

trascurato che la paventata minaccia, posta in essere dal ricorrente, non si
sarebbe presentata in modo tale da essere idonea a coartare l’agire del P.U.;
4) contraddittorietà della motivazione, non potendosi escludere, secondo un
giudizio ex ante, che, a fronte una situazione di grave ingiustizia per la propria
persona, l’imputato versasse in errore scusabile, così da escludersi il dolo del
reato di lesioni contestato;
5)

violazione di legge e vizi di motivazione in relazione al rigetto della

richiesta di rinnovazione dell’istruttoria mediante l’acquisizione della video
ripresa della Banca, che sarebbe stata decisiva nel consentire di superare
l’anomalia della vicenda.
E’ pervenuta memoria difensiva a firma del difensore del ricorrente,
reiterativa delle censure innanzi indicate.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché presentato per motivi privi di specificità.
1.1

Riguardo ai primi quattro motivi, che possono essere trattati

congiuntamente, risolvendosi in censure avverso l’affermazione della

2

posto in essere non una sosta ma una temporanea e breve sospensione della

responsabilità del ricorrente, devesi osservare che la Sesta sezione di questa
Corte, ritenendo assorbita ogni altra questione, aveva annullato la precedente
sentenza, non risultando alcuna motivazione sia in ordine alla violenza, che
sarebbe stata posta in essere volontariamente dall’imputato per impedire al P.U.
l’attività di ufficio, sia in merito al concreto contenuto minaccioso del riferimento,
fatto dal ricorrente, alla precedente vicenda del maresciallo Romagna.
Siffatti vizi risultano emendati dalla sentenza in esame.
La Corte d’appello, infatti, ha diffusamente motivato in ordine alle lacune
“l’odierno

imputato non potesse non essere consapevole di mettere in moto la sua
autovettura e di procurarne il movimento, nonostante fosse aperto lo sportello
del conducente e nonostante il pubblico ufficiale si trovasse in quel frangente a
stretto contatto con l’autovettura lato conducente, giacché è lo stesso prevenuto
a ricordare che il maresciallo si era addirittura chinato per cercare di togliere le
chiavi dal quadro motore”.
La Corte territoriale ha altresì rimarcato che,

“se si fosse trattato di un

atteggiamento colposo, ci si sarebbe dovuto aspettare che nell’immediatezza,
appena dopo l’errata manovra di retromarcia e il danno prodotto al maresciallo
con essa, il prevenuto si fermasse, si informasse dell’eventuale danno cagionato
al suo interlocutotre (danno di cui non poteva non avere contezza), si sincerasse
delle condizioni di salute del maresciallo e, soprattutto, non si allontanasse in
tutta fretta (“sgommando” hanno detto alcuni testi) come in realtà è accaduto”.
La Corte d’appello, inoltre, ha motivato anche sul significato minaccioso
della frase pronunciata dall’imputato, peraltro correttamente ritenendo che,
anche a volere ritenere insussistente la minaccia, il reato di resistenza a pubblico
ufficiale era integrato dall’uso della violenza,

“ossia dalla condotta volta

intenzionalmente a ledere la persona offesa e a impedire che il pubblico ufficiale
potesse realizzare la propria attività di istituto, procedendo alla compiuta e
formale identificazione del prevenuto al quale andavano contestate le
contravvenzioni al codice della strada per la sosta irregolare dell’autovettura e
perché l’autovettura era priva di tagliando dell’assicurazione.
Conseguentemente, si deve concludere ritenendo che la condotta del prevenuto
è stata sicuramente volontaria e volta esplicitamente ad impedire l’attività di
istituto del pubblico ufficiale, integrando quanto contestato”.
La medesima Corte ha altresì precisato che, all’esito delle prove e, in
particolare, delle numerose testimonianze, la condotta ascritta al prevenuto
doveva ritenersi non solo intenzionale ma anche evidentemente strumentale a
procurare lesioni alla persona offesa, oltre che a opporsi all’atto d’ufficio del
pubblico ufficiale.

3

evidenziate dalla sentenza rescindente, affermando, tra l’altro, che

Con siffatti rilievi il giudice d’appello ha adeguatamente dato risposta al
dictum della Corte di cassazione, motivando in ordine alla ritenuta sussistenza
dei reati contestati all’imputato ed escludendo che l’attività del Pubblico ufficiale
concretizzasse un travalicamento consapevole dei limiti e delle modalità con cui
le pubbliche funzioni devono essere esercitate, ritenendola, di contro, “attività di
istituto”del medesimo pubblico ufficiale.
A fronte di tali argomentazioni, corrette, logiche, non contraddittorie, il
ricorrente ha inammissibilmente proposto la propria lettura alternativa, senza

1.1.1 Deve precisarsi – con riguardo alla doglianza relativa all’avere il
giudice di merito tralasciato di considerare che la condotta, arbitraria o meno,
del P.U. sarebbe stata in grado di determinare un turbamento psichico, che
avrebbe fatto ritenere al Canargiu di subire un atto arbitrario – che questa Corte
ha già avuto modo di affermare (Sez. 6, n. 31288 del 28/3/2017, Rv. 270859;
Sez. 6, n. 46743 del 6/11/2013, Rv. 257513) che, in materia di atti arbitrari del
pubblico ufficiale, l’art. 393 bis cod. pen. (che ha sostituito l’art. 4 del d.lgs.lgt.
n. 288 del 1944) non prevede una circostanza di esclusione della pena ricadente
sotto la disciplina dell’art. 59 cod. pen., ma dispone l’esclusione della tutela nei
confronti del pubblico ufficiale che se ne dimostri indegno: essa pertanto trova
applicazione solo in rapporto ad atti che obbiettivamente e non soltanto
nell’opinione dell’agente, concretino una condotta arbitraria.
1.2. Riguardo all’ultimo motivo, deve ricordarsi che, come già chiarito da
questa Corte Suprema, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio
di appello è evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione giudiziale di
assoluta necessità conseguente all’insufficienza degli elementi istruttori già
acquisiti, che impone l’assunzione di ulteriori mezzi istruttori pur se le parti non
abbiano provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito dall’art.
468 c.p.p. (Sez. II, sentenza n. 41808 del 27 settembre 2013, CED Cass. n.
256968); e la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale può
essere censurata soltanto qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato
motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste
illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di
decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate
provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello
(Sez. VI, sentenza n. 1256 del 28 novembre 2013, dep. 14 gennaio 2014, CED
Cass. n. 258236). Evenienza, quest’ultima, che non ricorre nella specie,
essendosi il ricorrente limitato genericamente a dolersi della mancata assunzione
della prova a suo avviso decisiva, consistente nella video ripresa del Banco di
Sardegna.

4

documentare nei modi di rito eventuali travisamenti della prova.

2. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché – apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso
determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000
n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa – della somma indicata
in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione
pecuniaria.

P.Q.M.

spese processuali ed al versamento della somma di duemila euro in favore della
Cassa delle ammende.
Sentenza con motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, udienza del 28 febbraio 2018
Il Presidente

Il Consigliere estensore

Piercallo Davigo

Giuseppina A. R. Pacilli

9.) ,,e-y<, - ( dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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