Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18212 del 22/10/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 18212 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GANAPINI ROBERTO N. IL 07/01/1953
avverso la sentenza n. 3604/2012 CORTE APPELLO di GENOVA, del
11/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO ONITO
c_en,,„ W
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

4-1

Data Udienza: 22/10/2014

F

1. Con sentenza del 1° giugno 2012 il GUP del Tribunale di Genova
dichiarava Ganapini Roberto colpevole del tentato omicidio,
aggravato dalla premeditazione, di Pupillo Giovanna, colpita con
pugni e calci e con diverse coltellate al torace, all’addome ed al
volto, e di Vasquez Macias Largarita Azucena, anch’essa attinta da
una coltellata all’emitorace destro per essere accorsa in aiuto della
Pupillo, in Genova il 28 luglio 2011.
Il giudice di prima istanza, unificati i reati ai sensi dell’art. 81 c.p,
infliggeva all’imputato, esclusa l’aggravante dei futili motivi e
riconosciute in suo favore le attenuanti generiche con giudizio di
equivalenza alla contestata premeditazione, la pena di anni dodici di
reclusione con le sanzioni accessorie previste dalla legge.
A sostegno della condanna il giudice di prime cure poneva la
perizia psichiatrica dibattimentale eseguita sulla persona
dell’imputato, la testimonianza delle pp.11., le stesse dichiarazioni
del Ganapini, che non negava l’accaduto, numerose testimonianze
dirette, gli accertamenti medici sulle pp.00, gli accertamenti di
polizia con il sequestro del coltello utilizzato nelle azioni criminose,
ricostruendo i fatti di causa, sulla base di tali esiti processuali, come
segue.
Tra l’imputato e la Pupillo vi era stata una lunga relazione
sentimentale interrotta dalla donna circa tre mesi prima dei fatti di
causa; l’imputato non aveva accettato la separazione e fin dal suo
inizio aveva intrapreso una serie di pressanti azioni di stalking; il
giorno del delitto la Pupillo si era recata dal padre, ricoverato in una
casa di riposo e qui era stata raggiunta dall’imputato, che intendeva
avere con lei un colloquio chiarificatore; il prevenuto aveva con sé
il coltello sequestrato dopo l’aggressione per cui è causa; il
colloquio, per quanto riferito dalla p.o., si era svolto in un clima
inusuale di sereno confronto, al contrario di quanto solitamente era
accaduto in occasione di precedenti analoghi incontri; dopo
l’ennesimo rifiuto di riprendere la convivenza espresso dalla Pupillo
e mentre quest’ultima aveva ripreso a camminare verso la struttura
ove era ricoverato il genitore, la donna si era accorta di essere
nuovamente seguita dall’imputato, il quale l’aveva aggredita
colpendola ripetutamente con il coltello che aveva con sé; in tali
frangenti Vasquez Macias Margarita Azucena, resasi conto di
quanto stava accadendo, aveva cercato di avvicinarsi ai due ma era
stata immediatamente affrontata dall’imputato, il quale non aveva
esitato a colpirla con una coltellata al torace.

RITENUTO IN FATTO

Ai fini della decisione il giudice richiamava la perizia psichiatrica
per ribadire la piena capacità di intendere e di volere dell’imputato,
valorizzava la natura delle lesioni cagionate dall’azione delittuosa ai
fini della qualificazione giuridica della condotta contestata, indicava
la circostanza del possesso del coltello ai fini del riconoscimento
dell’aggravante della premeditazione.

2. La decisione di prime cure veniva confermata dal giudice
dell’appello con sentenza pronunciata il dì 11 aprile 2014, con la
quale venivano replicate le argomentazioni del primo giudice circa
la capacità del prevenuto al momento del delitto, quanto alla
qualificazione giuridica della condotta e quanto, infine, alla
ricorrenza, nella fattispecie, della aggravante della premeditazione.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ricorre per cassazione il
Ganapini, assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse
sviluppa plurime censure ai sensi delle lett. b) ed e) del primo
comma dell’art. 606 c.p.p., in relazione ai seguenti punti della
sentenza impugnata.
3.1 Quanto alla premeditazione del tentato omicidio della Pupillo:
la tesi accusatoria accolta dai giudici di merito è nel senso che
l’imputato premeditò l’accoltellamento della vittima al fine di
ucciderla portando con sé il coltello con il quale poi concretamente
la colpì, proposito peraltro condizionato al persistere del rifiuto
della donna a riprendere la convivenza; non indicano però i giudici
di merito quando sarebbe insorto il proposito omicida, di guisa che
l’argomento accusatorio si risolve nell’affermazione della
preordinazione e non già della premeditazione; in realtà la
motivazione impugnata si articola in termini tali da confondere
l’esistenza della condizione con la sussistenza della premeditazione;
ed allora, se v’è incertezza circa la ricorrenza dei requisiti
dell’aggravante in parola, essa deve risolversi in favore
dell’imputato; peraltro il possesso del coltello era stato ampiamente
giustificato nell’atto di appello; esso veniva abitualmente portato
con sé dal prevenuto per esigenze di lavoro, giacchè
autotrasportatore e per aprire gli imballaggi; anche le caratteristiche
del coltello sono state ben descritte ai fini di causa, trattandosi di
coltello con lama di cm. 8, seghettata, privo di sistemi di fermo,
poco idoneo all’uso “di punta” invece che “di taglio”; di qui la
conseguenza, ignorata dai decidenti, che, se realmente premeditata
l’intenzione omicida, assai diversa sarebbe stata la scelta dell’arma;
lo stesso P.G. ha concluso nel senso della esclusione della
premeditazione.
2

3.2 Quanto alla qualificazione giuridica di cui al capo b): secondo
quanto si legge nella motivazione impugnata, l’accoltellamento al
torace dell’amica della Pupillo, per le sue caratteristiche, sarebbe
sorretto da dolo alternativo; la conclusione detta si risolve in una
affermazione apodittica, dappoichè non individuati, nella
fattispecie, i requisiti caratterizzanti tale tipologia di elemento
psicologico, quali la reiterazione dei colpi, la mancanza di
motivazioni alternative all’azione, il comportamento dell’agente
prima e dopo il reato; l’unica circostanza valorizzata ai fini in
discorso dalla sentenza sarebbe fornita dalla zona attinta dall’unico
fendente e dalla forza impressa; l’azione in danno dell’amica della
Pupillo va inserita nel suo contesto, evidenziando che mai
l’imputato aveva pensato di arrecarle danno, che lo stesso aveva
ormai perso il controllo di sé e che la p.l. venne colpita quando si
intromise per portare aiuto alla Pupillo; da qui appare arduo
concepire che l’azione verso la Vasquez possa essere ricondotta a
lucida e consapevole scelta di condotta da parte del Ganapini; di
qui, anche, la necessità giuridica di valorizzare il dubbio in favore
dell’imputato e di orientare l’interpretazione dei fatti in danno di un
obbiettivo non originario della condotta come sorretto da dolo
eventuale, di per sé escludente del contestato tentativo.
3.3 Quanto alla capacità di intendere di volere dell’imputato: è nota
la lezione giurisprudenziale, a far tempo da SS.UU. 9163/2005,
sulla valorizzazione, ai fini della capacità dell’imputato, del
disturbo psichiatrico della personalità; in tale prospettiva deve
evidenziarsi che già la sentenza di prime cure aveva rilevato in capo
al prevenuto un compromesso stato di salute psichica; diversamente
la sentenza impugnata ha collegato lo stato personale alla
detenzione e l’amnesia sull’accaduto ad un atteggiamento
interessato; l’errore metodologico è stato quello di analizzare ai fini
di causa il passato e le circostanze per cui è processo, per desumere
dalla loro razionalità la risposta al quesito sulla capacità, senza
pertanto valutare se il disturbo della personalità in capo al
prevenuto abbia avuto incidenza al momento delle condotte
delittuose, circostanza questa che ha rilievo anche ai fini del
riconoscimento in concreto della premeditazione.
3.3 Quanto al trattamento sanzionatorio, anche in punto di
continuazione, ed alla ritenuta equivalenza delle concesse attenuanti
generiche: non ha considerato il giudice territoriale lo stato di
prostrazione in cui versava l’imputato, che in pochi mesi aveva
perso la madre e subìto l’abbandono da parte della compagna, tanto
da doversi curare con psicofarmaci; la estrema intensità del dolo
rilevato dai giudicanti non ha considerato tutto ciò; la stessa perizia
3

di ufficio ha sottolineato l’incidenza dei fatti personali nella
dinamica del fatto reato; ai fini sanzionatori la sentenza impugnata
ha valorizzato i profili oggettivi del fatto e non quelli soggettivi
della capacità a delinquere dell’imputato (art. 133 co. II c.p.).
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Pregiudiziale ad ogni altra questione è l’esame della censura
difensiva relativa alla capacità di intendere e volere, ad avviso della
difesa comunque compromessa in capo all’imputato al momento del
fatto.
Orbene, al riguardo i giudici di merito hanno valorizzato la perizia
di ufficio la quale, come è noto, è pervenuta alle conclusioni che
l’imputato appare affetto da disturbo di personalità, non altrimenti
specificato, con compresenza di significativa deflessione del tono
dell’umore e che non vi sono elementi per ritenere la presenza di un
eventuale vizio parziale di mente riferibile al prevenuto al momento
dei fatti per i quali è causa.
Ad esse la difesa ricorrente oppone generiche censure del tutto
inidonee a contrastarle in termini di apprezzabilità in quanto
espressione di acritica opinione di parte e non già di ragionata
valutazione giuridica e scientifica.
La doglianza è, pertanto, manifestamente infondata.
2. Il ricorso è, viceversa, fondato in riferimento alla qualificazione
giuridica della condotta contestata all’imputato, ma solo con
riferimento al capo B.
Al riguardo si osserva quanto segue.
Sul punto della qualificazione dei fatti si contrappongono nel
processo due tesi, quella accusatoria, che ricostruisce la fattispecie
nei termini dell’omicidio volontario, per di più aggravato, quanto al
capo A, dalla premeditazione, sub specie di dolo cosiddetto
alternativo (da intendersi diretto), e quella difensiva, secondo la
quale l’imputato non intendeva uccidere e la sua condotta fu
animata, quanto alla volontarietà dell’azione, a tutto concedere, dal
semplice dolo eventuale, incompatibile, come è noto, con lo schema
giuridico del reato tentato.
Orbene, giova rammentare che questa Corte ha ritenuto ricorrere la
fattispecie di tentato omicidio sorretto da dolo alternativo (in forma
diretta), e non quella di lesioni personali, se il tipo di arma
impiegata e specificamente l’idoneità offensiva della stessa, la sede
corporea della vittima raggiunta dal colpo di arma e la profondità
della ferita inferta inducano a ritenere la sussistenza in capo al
soggetto agente del cosiddetto “animus necandi”. (Cass., Sez. I,
4

22/09/2010, n. 37516), puntualizzando che risponde di tentativo di
omicidio con dolo alternativo (diretto) chi prevede e vuole, come
scelta sostanzialmente equipollente, la morte o il grave ferimento
della vittima (Cass., Sez. I, 31/05/2011, n. 30694).
Si contrappone tradizionalmente al dolo alternativo (diretto) il dolo
eventuale, figura questa di giurisprudenziale conio, che si individua,
secondo tralaticia definizione, quando l’agente, rappresentandosi
l’eventualità dell’evento più grave, non avrebbe agito diversamente
anche se di esso avesse avuto la certezza (cfr. Sez. un., n. 12433 del
26/11/2009, Nocera, Rv. 246324) e dell’evento non voluto ha,
comunque, accettato il rischio che si verificasse.
Di recente le Sezioni unite (sent. n. 33343 del 24/04/2014, dep.
18/09/2014, Espenhahn e altri) sono tornate sul tema del dolo
eventuale con una pronuncia destinata a costituire, attesa
l’autorevolezza della fonte, precedente ineludibile per l’interprete.
In particolare, il Supremo Consesso, riportandosi all’attualmente
prevalente indirizzo che configura una tripartizione del dolo in dolo
intenzionale, dolo diretto, dolo eventuale, precisa che: – il dolo
intenzionale è solitamente ricollegato alla circostanza che la
rappresentazione del verificarsi del fatto di reato rientra nella serie
di scopi in vista dei quali il soggetto si determina alla condotta e
l’agente persegue, appunto, intenzionalmente quale scopo finalistico
della propria azione od omissione un risultato certo, probabile o
solo possibile; quando cioè ha di mira proprio la realizzazione della
condotta criminosa (reati di azione) ovvero la causazione
dell’evento (reati di evento); – si ha dolo diretto quando la volontà
non si dirige verso l’evento tipico e tuttavia l’agente si rappresenta
come conseguenza certa o altamente probabile della propria
condotta un risultato che però non persegue intenzionalmente; – il
dolo eventuale designa l’area dell’imputazione soggettiva in cui
l’evento non costituisce l’esito finalistico della condotta, né è
previsto come conseguenza certa o altamente probabile,
rappresentandosi l’agente un possibile risultato della sua condotta e
ciononostante inducendosi ad agire accettando la prospettiva che
l’accadimento abbia luogo.
Un importante chiarimento presente nella sentenza in commento è
che il dolo eventuale è compatibile con il dolo alternativo. Tale
figura si caratterizza, com’è noto, per il fatto che i diversi fatti
previsti sono incompatibili fra loro, nel senso che la realizzazione
dell’uno esclude la realizzazione dell’altro: si spara per ferire od
uccidere indifferentemente. Nella figura in questione, puntualizzano
le SS.UU. «il dolo potrà configurarsi come intenzionale, diretto o
eventuale».
5

Alla stregua di quanto sopra, è evidente che, per escludere, in
relazione a una determinata fattispecie, la ricorrenza del dolo
eventuale, in favore di un dolo più intenso, non basta il mero
riferimento alla ricorrenza del dolo alternativo, occorrendo
ulteriormente, nell’ambito di tale ultima figura, stabilire, in
relazione alla fattispecie stessa, in quale forma di dolo essa si
estrinsechi.
Per la distinzione fra dolo eventuale e dolo diretto, è necessario
ricordare — sempre seguendo l’insegnamento delle SS.UU. — che il
secondo si configura tutte le volte in cui l’agente si rappresenta con
certezza gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice e si
rende conto che la sua condotta la integrerà, rappresentando
l’evento lesivo una conseguenza accessoria necessariamente o assai
probabilmente connessa alla realizzazione volontaria del fatto
principale. In breve, si è in presenza di un livello di probabilità del
verificarsi dell’evento che tocca una soglia tanto elevata da
implicare la certezza che l’evento accadrà, salvo che in chi agisce
risultasse il convincimento del non realizzarsi dell’evento rilevante.
Per non scivolare nel dolo eventuale, deve insomma venire in gioco
un livello di previsione in termini di ben elevata probabilità e
dunque tanto rilevante che sarebbe insensato far conto a qualsiasi
fine sul non verificarsi dell’evento.
La distinzione fra dolo eventuale e dolo diretto, anche nell’ambito
della categoria dolo alternativo, deve passare attraverso una verifica
rigorosa degli elementi processuali sottoposti alla cognizione del
giudice che non lasci spazio a presunzioni o a semplificazioni
probatorie, ma si confronti col fatto e con le acquisizioni
processuali che consentano di stabilire se nella specie ricorreva il
suddetto livello di previsione dell’evento in termini di elevata
probabilità ovvero solo la rappresentazione di un possibile risultato
della condotta con accettazione della prospettiva che l’accadimento
avesse luogo, fermo restando, in caso di persistente dubbio al
riguardo, il richiamo al principio del “favor rei”.
Alla luce dei sintetizzati sviluppi interpretativi, deve senza dubbio
reputarsi corretta l’esclusione del dolo eventuale e l’affermazione
della ricorrenza del dolo alternativo da intendersi nella forma del
dolo diretto, in relazione al tentato omicidio di cui al capo A) della
rubrica, e ciò in forza della ricostruzione dei fatti non illogicamente
compiuta dai giudici di merito, con riferimento in particolare: – alla
situazione creatasi fra l’imputato e la Pupillo e ai pregressi episodi
di stalking; – al previo possesso del coltello; – al singolare
atteggiamento di calma tenuto dall’imputato nell’occasione; all’aggressione messa in atto dopo aver seguito la donna che si
6

Diversa è la situazione per il fatto di cui al capo B). Qui il
riconoscimento di un dolo alternativo da intendersi nella forma

stava avviando verso la struttura ove era ricoverato il padre; – alla
reiterazione dei colpi di coltello; – alla reazione avuta rispetto
all’intervento di Vasquez Macias Margarita Azucena.
Alla stregua di detta ricostruzione, il ravvisamento di un dolo
alternativo diretto appare corretto e immune da vizi.
Corretta è anche la motivazione resa sull’aggravante della
premeditazione.
E’ al riguardo noto l’insegnamento di legittimità secondo cui
elementi costitutivi della circostanza aggravante in parola sono un
apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito
criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata
riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di natura
cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza
soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione
del crimine (elemento di natura ideologica) (Cass., Sez. Unite,
18/12/2008,11. 337).
Nel caso in esame hanno logicamente sostenuto i giudici di merito,
dopo aver escluso la verosimiglianza dell’abitudine dell’imputato,
per ragioni di lavoro, di portare con sé quella destinata a diventare
l’arma del delitto, che l’essersi recato là dove sapeva, il prevenuto,
che avrebbe trovato la ex compagna dopo tre mesi scanditi da una
serie continua ed asfissiante e sgradite petulanze, l’aver portato con
sé un coltello utilizzato per colpire reiteratamente la vittima, verso
la quale aveva covato palese risentimento, l’aver consumato poi
l’aggressione violenta all’esito dell’ennesima richiesta di
riconciliazione ed immediatamente dopo il convinto diniego della
p.1., integrano tutte circostanze significative di un progetto meditato
da tempo apprezzabile, secondo il quale l’ostinato atteggiamento
della ex compagna, se confermato dopo l’ultimo invito, avrebbe
giustificato la violenta punizione dell’omicidio.
Non già, pertanto, mera preordinazione della condotta violenta, ma
precisa preparazione di essa, curata nel dettaglio del suo dipanarsi e
delle condizioni che man mano si sarebbero presentate, valutazione
e scelta del momento favorevole per l’azione, preparazione
dell’arma da utilizzare, ricerca della vittima presso l’ospizio ove era
ricoverato il padre, realizzazione del progetto con l’ennesimo invito
a riprendere la relazione, significativamente rivolto, questa volta,
con animo tranquillo e non già con la concitazione delle volte
precedenti, esecuzione del proponimento omicida all’esito del
rifiuto della vittima.

P. T. M.

la Corte, annulla la sentenza impugnata limitatamente alla
qualificazione del reato di cui al capo b) e rinvia per nuovo giudizio
ad altra sezione della Corte di appello di Genova. Rigetta nel resto
il ricorso.
Così deciso in Roma, addì 22 ottobre 20
Il cons. est.

diretta appare ancorato solo all’elemento della zona attinta
dall’unico fendente e dalla forza impressa. Per stabilire, però, se
ricorresse effettivamente, nelle circostanze concrete del fatto, la
precisa previsione (anche) dell’evento mortale in termini di elevata
probabilità (dolo diretto), e non invece la semplice rappresentazione
di una tale possibilità con accettazione del suo eventuale
inveramento (dolo eventuale, incompatibile col tentativo),
l’elemento suddetto doveva essere messo a confronto sia con la
mancata reiterazione dei colpi, sia col carattere pacificamente
occasionale dell’azione reattiva posta in essere dal prevenuto.
Sotto tale profilo, la motivazione resa dalla sentenza impugnata
appare logicamente carente e comporta di conseguenza
l’annullamento con rinvio “in parte qua”.
Quanto al trattamento sanzionatorio, premesso l’assorbimento della
doglianza relativa all’aumento per continuazione, basti richiamare,
sul giudizio di equivalenza delle concesse attenuanti generiche con
l’aggravante della premeditazione, l’insegnamento di Cass. Sez.
Unite, 25/02/2010, n. 10713, secondo cui “le statuizioni relative al
giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una
valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al
sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione,
tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione
dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare
l’adeguatezza della pena irrogata in concreto”.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA