Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18206 del 18/01/2018


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18206 Anno 2018
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CRISCI GERLANDO nato il 07/01/1982 a GELA

avverso la sentenza del 12/04/2016 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIANO IMPERIALI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIUSEPPINA
CASELLA
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissib+1 -ita del ricorso.
Liel-i.te il

et

Data Udienza: 18/01/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12/4/2016 la Corte di Appello di Milano ha confermato il
giudizio di penale responsabilità espresso dal Tribunale di Lodi il 16/4/2015 nei
confronti di Crisci Gerlando e Mulè Francesco in ordine al delitto di tentata
estorsione aggravata ai danni di Crisafulli Santo, ha dichiarato estinti per
prescrizione i delitti di lesioni e di calunnia ai danni dello stesso, ed ha
rideterminato la pena inflitta in primo grado nella misura ritenuta di giustizia e
confermando la concessione dei benefici di legge e le statuizioni civili.

sollevando quattro motivi di impugnazione:
2.1. Mancata assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione con
riferimento al motivo di appello avente ad oggetto la dedotta la nullità
dell’ordinanza emessa il 19/3/2015, con la quale il giudice di primo grado aveva
revocato l’ammissione del teste Castellino Pasquale, indicato dal ricorrente come
titolare della società subappaltatrice per la quale aveva lavorato la parte civile;
2.2. Mancanza di motivazione con riferimento alla valutazione delle prove a
discarico dell’imputato ritualmente acquisite in dibattimento, che si assumono
ignorate completamente dalla Corte di merito, ed in particolare delle
dichiarazioni dei testi Bilardi e Crisci.
2.3. Contraddittorietà della motivazione in ordine all’attendibilità della parte
civile, che si assume valutata dalla Corte territoriale senza esaminare le
doglianze circa l’incoerenza dei riscontri esterni.
2.4. Mancanza di motivazione sulle statuizioni civili, non avendo in alcun
modo argomentato sulla fondatezza o meno del nono motivo di appello, con il
quale si contestava la quantificazione della provvisionale in 7000 euro e la
provvisoria esecuzione della stessa.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3.

Il ricorso è inammissibile, in quanto si discosta dai parametri

dell’impugnazione di legittimità stabiliti dall’art. 606 cod. proc. pen.
3.1. Quanto al motivo di ricorso avente ad oggetto la revoca del
l’ammissione del teste Castellino Pasquale, indicato dal ricorrente come titolare
della società subappaltatrice per la quale aveva lavorato la parte civile, giova
premettere che compete al giudice del merito il potere di escludere le prove
manifestamente superflue ed irrilevanti, potere che sfugge al sindacato di
legittimità ove abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi
logici e giuridici (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246585).

1

2. Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorre per Cassazione il Crisci,

La violazione del diritto di difesa, sub specie di mancata ammissione delle
prove dedotte, infatti, esige che ne sia precisata la portata indicando
specificamente le prove che l’imputato non ha potuto assumere e le ragioni della
loro rilevanza ai fini della decisione nel contesto processuale di riferimento,
considerato che il diritto dell’imputato di difendersi citando e facendo esaminare i
propri testi, e trova anche un limite nel potere del giudice di escludere le prove
superflue ed irrilevanti, ex rt. 495 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 10425 del
28/10/2015, Rv. 267559; Sez. 2, n. 2350 del 21/12/2004, Rv. 230717).

revochi il provvedimento di ammissione dei testi della difesa in difetto di
motivazione sul necessario requisito della loro superfluità, in violazione del diritto
della parte di «difendersi provando», stabilito dal comma secondo dell’art. 495
cod. proc. pen., corrispondente al principio della «parità delle armi» sancito
dall’art. 6, comma terzo, lett. d), della CEDU, al quale si richiama l’art. 111,
comma secondo, della Costituzione in tema di contraddittorio tra le parti. (Sez.
5, n. 51522 del 30/09/2013, Rv. 257892).
L’esclusione della prova richiesta ed ammessa, se non adeguatamente
motivata, pertanto, determina nel processo di primo grado una nullità di
carattere relativo, soggetta al regime di cui all’art. 181 cod. proc. pen.; in
conseguenza, ai sensi dell’art. 182, comma 2, la parte pregiudicata, presente
all’atto è tenuta, a pena di decadenza, ad eccepire la nullità prima del suo
compimento o quantomeno immediatamente dopo, e così pure ad opporsi alla
dichiarazione di chiusura dell’istruttoria dibattimentale (Sez. 5, n. 2511 del
24/11/2016, Rv. 269050; Sez. 2, n. 9761 del 10/02/2015, Rv. 26321; Sez. 5, n.
51522 del 30/09/2013, Rv. 257892). Sul punto, si è espressamente rilevato: «La
revoca dell’ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di
motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale
che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art.
182, comma secondo, cod. proc. pen., con la conseguenza che in caso contrario
essa è sanata» (Sez. 5, n. 51522 del 30/09/2013, Rv. 257891; Sez. 5, n. 18351
del 17/02/2012, Rv. 252680; Sez. 3, n. 816 del 6/12/2005, Rv. 233256).
Nel caso di specie, dagli atti processuali non risulta alcuna traccia di
eccezioni difensive sul punto, con la conseguente decadenza, né viene allegato e
tantomeno provato sulla base di quali elementi la Corte potrebbe desumere le
eccezioni difensive volte ad opporsi al provvedimento pregiudizievole, dal solo
fatto di essere stati presentati dei motivi di appello sul punto.

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Conseguentemente, deve ritenersi nulla l’ordinanza con la quale il giudice

La doglianza tardivamente proposta in sede di appello era quindi
inammissibile per intervenuta decadenza, e tuttavia la Corte di appello ha anche
esplicitato le ragioni della ritenuta superfluità della prova invocata.
3.2. Sono inammissibili anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, con i
quali si viene ad attaccare, nella sostanza, il merito della decisione impugnata,
che senza incorrere in vizi logici o giuridici e, peraltro, senza limitarsi a
richiamare il contenuto della sentenza di primo grado, ha evidenziato in primo
luogo la credibilità delle dichiarazioni della persona offesa Crisafulli, e quindi

Maldera e Mortaretto, oltre che nella documentazione medica in atti, attestante
contusioni e fratture multiple riportate dallo stesso Crisafulli. Tali elementi hanno
supportato la valutazione della Corte territoriale secondo cui, risultando
comunque evidente l’interesse economico diretto del Crisci nella vicenda, non
poteva ritenersi determinante ai fini del decidere il rapporto formale della
persona offesa con la Cristal House, atteso che il Crisci era presente ogni giorno
nel cantiere in cui lavorava il Crisafulli e solo con lui quest’ultimo ed il collega
Mortaretto trattavano gli aspetti economici della vicenda. Infine, la Corte ha
evidenziato che l’inferiorità numerica in cui si trovava la persona offesa smentiva
le dichiarazioni di Crisci Fabio, rendendo inverosimile che lo stesso possa aver da
solo aggredito tre persone.
Si tratta di argomentazioni assorbenti ogni altra considerazione di merito,
anche emergente dalle dichiarazioni di altri testimoni, ed al Giudice di legittimità
è preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio
probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo
di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto,
mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta
dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta – giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili
censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua
manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio
ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali
ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le
doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore
o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che

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come queste abbiano trovato pieno riscontro nelle deposizioni dei testi Grittani,

sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle
diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti
sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza
probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via
esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di

adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/42/7/1997, riv. 207944).
3.3. Inammissibile, infine, è anche il motivo di ricorso concernente le
statuizioni civili, atteso che la provvisoria esecuzione è nella natura stessa della
provvisionale e che, quanto alla quantificazione di questa, si tratta di una
valutazione palesemente effettuata in misura equitativa dal giudice di merito,
con riferimento al danno non patrimoniale ritenuto senza vizi logici non inferiore
all’ammontare indicato, anche alla luce dei referti medici di cui ha dato atto la
Corte territoriale, attestanti contusioni multiple, la frattura della scapola destra e
delle costole, e la frattura pluriframmentaria metaepifisaria prossimale del primo
metacarpo della mano destra, riportate dalla persona offesa, sicché doveva
ritenersi inammissibile il nono motivo del ricorso in appello, con il quale si
contestava genericamente tale valutazione, senza addurre alcun elemento
specifico di segno contrario.
4. All’inammissibilita’ del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché
al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che,
considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente
in C 2.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila a favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 18 gennaio 2018
Il Consigliere estensore
D

uciano einperiali

Il Presidente
Dott. Pierca illo Davigo

legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più

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