Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1820 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1820 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

CLEVA SILVANO n. 17/01/1951 in JUGOSLAVIA

DE CASSAN ROBERTA n. 5/04/1966 a VITTORIO VENETO

avverso l’ordinanza n. 24/2012 del Tribunale del riesame di PORDENONE in data
18/10/2012
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale dott. G. MAZZOTTA, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
sentito il difensore, avv. G. ZANNIER, anche in sostituzione dell’avv. M.
BALLARIN, che ha chiesto accogliersi il ricorso;

Data Udienza: 27/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18/10/2012, depositata in data 15/02/2013, il Tribunale del
riesame di PORDENONE, decidendo sulla richiesta di riesame promossa dagli
odierni ricorrenti, respingeva l’impugnazione difensiva avente ad oggetto il
provvedimento 19/09/2012, con cui il GIP dello stesso Tribunale, ha disposto il

immobili di cui risultino avere la disponibilità diretta ed indiretta gli attuali
ricorrenti CLEVA SILVANO e DE CASSAN ROBERTA, sino alla concorrenza
dell’importo di C 1.637.473,00 pari al profitto dei reati ex artt. 2 e 3 D. Lgs. n.
74/00, dei quali ha ritenuto sussistere il fumus delicti, nonché il sequestro
preventivo diretto finalizzato alla futura confisca ex art. 240, comma 1, c.p., dei
beni immobili e dei crediti apportati nel

trust Fondo ARGENTOVIVO e meglio

descritti nel decreto stesso in riferimento al reato di cui all’art. 11, D. Lgs. n.
74/00, di cui ha parimenti ritenuto sussistere il fumus.

2. Hanno proposto tempestivi e separati ricorsi i difensori fiduciari – procuratori
speciali cassazionisti, impugnando la suddetta ordinanza e deducendo, ciascuno,
un unico ed identico motivo di ricorso, di seguito enunciato nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3. Deducono, in particolare, violazione di legge (artt. 322-ter c.p. 299, n. 2 e
324, n. 7 c.p.p.), sub specie di erronea individuazione del profitto del reato e
conseguente erronea determinazione dell’importo sottoposto a sequestro per
equivalente nonché violazione del principio di proporzionalità tra la misura
applicata e l’entità del fatto. In sintesi, si duole il ricorrente che il tribunale del
riesame, pur chiarendo che tra le due ipotizzate dall’art. 1, n. 1, lett. a), d. Igs.
n. 74/00, quella contestata all’indagato sub 3) e sub 4) dell’imputazione è
un’ipotesi di utilizzazione di fatture per operazioni solo in parte inesistenti, ha
confermato integralmente il decreto impugnato che, nella sua motivazione, non
specificherebbe quale sia l’importo dell’imposta evasa riferibile alla sola parte
“gonfiata” delle fatture sotto osservazione, cioè del profitto del reato
legittimamente confiscabile, limitandosi a richiamare i conteggi effettuati dalla
Guardia di Finanza e quelli contenuti nella richiesta integrativa del PM. In realtà,
né nei predetti conteggi né nella richiesta integrativa del PM allegata al decreto
di sequestro, vi sarebbe alcuna specifica distinzione in tal senso, distinzione che
invece avrebbe dovuto essere effettuata, all’interno degli importi indicati nelle
singole fatture sospettate di inesistenza parziale (ossia quelle del capo 3), come
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sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni mobili ed

si evincerebbe dalla lettura dell’ordinanza), tra quelli riferibili alle opere
effettivamente realizzate dalle imprese esecutrici e quelli in ordine ai quali si
sospetta il contrario.
Conclusivamente, dunque, il tribunale del riesame avrebbe posto a calcolo
dell’imposta evasa, cioè del profitto del reato, gli imponibili e VIVA esposti nelle
fatture nel loro intero ammontare, fatture che la GdF ha di volta in volta

cui all’art. 109 TUIR senza alcuna specifica distinzione, in ordine a quali delle
poste indicate nei documenti contabili fossero riferibili ad operazioni esistenti e
quali no. Tale originario vizio del decreto, non emendato dal tribunale del
riesame, avrebbe reso impossibile ai ricorrenti la verifica di correttezza dei
conteggi svolti a loro danno, realizzando in tutta evidenza anche una violazione
del principio di proporzionalità tra la misura cautelare imposta e l’entità del fatto,
in quanto la somma sottoposta a sequestro per equivalente, non solo non
rappresenterebbe la misura esatta del profitto del reato, ma risulterebbe anche
sproporzionata rispetto a quanto in futuro potrebbe essere oggetto di confisca.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è fondato.

5. Osserva il Collegio come, nel caso in esame, il Tribunale, ha analizzato con
particolare dovizia motivazionale la configurabilità del fumus degli ipotizzati reati,
soffermandosi sia sulle vicende di cui al capo 3 ascritto al CLEVA (pagg. 4/7) ed
alla DE CASSAN (pagg. 17/19), sia sulle vicende relative al capo 4 sempre
ascritto al CLEVA (pagg. 7/10), sia, infine, sulle vicende di cui al capo 6) ascritto
al CLEVA (pagg. 17/19), ritenendo con motivazione congrua ed immune da vizi
di manifesta illogicità – peraltro non sindacabili in questa sede ex art. 325 c.p.p.
(v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in
proc.Bevilacqua, Rv. 226710) -, che per tutti i fatti ipotizzati fossero ravvisabili le
violazioni ascritte agli indagati, atteso che, per quanto d’interesse in questa
sede: a) quanto alle fatture indicate nel capo 3 ascritto all’indagato CLEVA, si
trattasse di fatture “gonfiate” (ovvero emesse per altre lavori) e non di fatture
relative a lavori non eseguiti, emesse dalla Edilnova s.r.l. o da Edilprata s.r.l. in
favore della Soler s.n.c., di cui il CLEVA risultava essere il legale rappresentante
(fatture nn. 29, 39, 57 e 60 del 2008 e n. 25/2009 emessa da Edilprata s.r.I.), al
fine di consentire alla Soler s.n.c. di aumentare gli elementi passivi che poi
sarebbero stati indicati nelle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e sul
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segnalato sotto il profilo fiscale come carenti di tutti o di taluno dei requisiti di

valore aggiunto; b) quanto alla fattura n. 6/2007, oggetto della contestazione di
cui al capo 4) ascritto al CLEVA, emessa dalla ELDI s.r.l. (agenzia di mediazione)
nei confronti di Files.Cos s.r.I., la stessa risulta relativa ad un’intermediazione
nella compravendita di un terreni – e, segnatamente, dell’area SILES di Gorizia
(cliente Eurospin) ed area Majano (cliente Petrol Sevice) -, allo stato delle
indagini, come emerge dall’ordinanza impugnata, qualificabile come emessa per

per la vendita dell’area Majano alla quale Files. Cos s.r.l. risulta estranea in tutte
le sue fasi.

6. Ritiene, però, questa Corte ravvisabile il denunciato vizio di violazione dì legge

sub specie per l’erronea individuazione del profitto del reato e la, conseguente,
erronea determinazione dell’importo sottoposto a sequestro per equivalente.
Come già affermato da questa Corte, il sequestro preventivo “per equivalente”,
disposto nei confronti di persona sottoposta ad indagini per il reato di frode
fiscale finalizzata all’evasione delle imposte sui redditi, non può avere ad oggetto
beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicché il giudice è tenuto a
valutare l’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto così come
avviene in sede di confisca (v., tra le tante: Sez. 3, n. 1893 del 12/10/2011 dep. 18/01/2012, Manfellotto, Rv. 251797). Orbene, il denunciato vizio si trae
dalla lettura del percorso argomentativo esposto dal tribunale della cautela
(pagg. 19/20) a sostegno della sussistenza del periculum in mora, essendosi
limitato il tribunale ad affermare che ai fini della sequestrabilità per equivalente
del profitto dei reati di cui agli artt. 2 e 3 del D. Igs n. 74/00, quest’ultimo,
rappresentato dalle imposte evase, non restava che “richiamarsi allo stato ai
conteggi effettuati dalla GDF ed allegati alla richiesta integrativa del PM, non
dovendo fare il GIP ed il Tribunale nessun’altra valutazione in quanto si tratta di
futura confisca obbligatoria in caso di condanna”.
La motivazione deve ritenersi, sul punto, assolutamente mancante, poiché nel
richiamato passaggio argomentativo difetta qualsiasi valutazione sulla
proporzionalità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente,
alla luce della pacifica affermazione che le fatture di cui ai capi di imputazione
provvisoria fossero riferibili, in parte, ad operazioni esistenti ed, in parte, ad
operazioni in tutto o parzialmente inesistenti. Ed invero, neppure il richiamo ai
conteggi eseguiti dalla GDF ed allegati alla richiesta integrativa del PM, riesce a
colmare la denunciata lacuna argomentativa, atteso che la predetta
documentazione contiene solo la sintesi delle imposte evase per singola
annualità e soggetto per cui viene richiesto il sequestro preventivo ai fini della
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operazioni oggettivamente in parte inesistenti, limitatamente all’intermediazione

confisca per equivalente, senza operare alcun effettivo scorporo dell’effettivo
profitto (conseguito dall’operazione parzialmente o in tutto inesistente, con
esclusione di quelle realmente esistenti) dall’imposta asseritamente evasa,
essendo palese dalla lettura della nota integrativa del PM l’assoluta coincidenza
tra imposta evasa (o la sommatoria delle imposte evase, nel caso Files.Cos s.r.I.)
ed importo totale ai fini dell’art. 322-ter c.p., ciò che impedisce ai ricorrenti la

violazione del principio di proporzionalità tra la misura cautelare imposta e
l’entità del fatto, in quanto la somma sottoposta a sequestro per equivalente,
non solo non rappresenta la misura esatta del profitto del reato, ma risulta
anche sproporzionata rispetto a quanto in futuro potrebbe essere oggetto di
confisca.

7. Deve, quindi, ai sensi dell’art. 173, comma secondo, disp. att. cod. proc. pen.,
affermarsi il seguente principio di diritto: In tema di frode fiscale, nell’ipotesi di
utilizzazione di fatture per operazioni solo in parte inesistenti, il giudice che
emette il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente (o, nell’esercizio dei poteri integrativi, il giudice del riesame), ha
l’obbligo di determinare con esattezza l’imposta evasa (pari all’effettivo profitto
conseguito dall’operazione parzialmente inesistente), non potendo il profitto, in
tal caso, coincidere con l’imposta aritmeticamente calcolata sulla base degli
imponibili esposti nelle fatture nel loro intero ammontare, pena la violazione del
principio di proporzionalità tra la misura cautelare imposta e l’entità del fatto.

8.

L’ordinanza dev’essere, pertanto, annullata con rinvio al tribunale di

Pordenone che si atterrà a quanto sopra disposto da questa Corte.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Pordenone.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013

Il Consi liere est.

verifica di correttezza dei conteggi svolti a loro danno, realizzandosi dunque una

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