Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18196 del 16/02/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18196 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AURICHELLA ANTONIO N. IL 18/06/1980
avverso la sentenza n. 27041/2013 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 15/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 16/02/2015

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Mario Pinelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
– Udito, per il ricorrente, l’avv. Salvatore Cannata, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

emessa dalla I Sezione Penale, ha rigettato il ricorso proposto da Aurichella
Antonio avverso la sentenza della Corte di Assise d’appello di Catania del
19/11/2012, che lo aveva condannato per omicidio premeditato.

2. La vicenda esaminata è quella dell’omicidio di Lo Faro Nicola, consumato il 4
maggio 2009, in ordine al quale Aurichella è stato condannato a titolo di
concorso per aver partecipato ai pedinamenti funzionali da accertare le abitudini
di Lo Faro e per avere, il giorno dell’omicidio, fatto da vedetta, appostato nei
pressi dell’abitazione di Lo Faro per verificare, e segnalare ai complici in agguato,
il momento di uscita dall’abitazione della vittima designata.

3. Aurichella Antonio, a mezzo degli avvocati Carlo Federico Grosso e Salvatore
Cannata, propone ricorso straordinario, ex art. 625-bis cod. proc. pen., contro la
sentenza di questa Corte del 15/4/2014, per errore di fatto.
3.1. I difensori deducono, innanzitutto, che la decisione di questa Corte “è
fondata su un errore di fatto relativo alla sussistenza dei pedinamenti e alla
partecipazione agli stessi dell’Aurichella” nella fase preparatoria e prodromica
dell’omicidio, in quanto trattasi di circostanza “esclusa dalle emergenze
investigative del tutto ignorate fino a questo grado di giudizio”. Infatti,
aggiungono, l’unico dato probatorio da cui è stata desunta la partecipazione di
Aurichella ai pedinamenti di Lo Faro è una intercettazione del 30 aprile 2008 che,
valutata alla luce delle dichiarazioni rese dal collaboratore D’Aquino Gaetano,
assume un significato del tutto diverso, avendo questi riferito che, nello stesso
periodo in cui veniva progettato l’omicidio di Lo Faro, era in corso una
operazione relativa a grossa partita di droga ed anch’essa era oggetto di
conversazione nelle telefonate intercettate. Da qui l’errore nella lettura
dell’intercettazione.
Aggiungono che, “proprio per scongiurare un simile errore”, la difesa aveva
chiesto al giudice d’appello la riapertura dell’istruttoria, “al fine di acquisire la
posizione del Lo faro attraverso le celle d’aggancio relative al proprio telefono
cellulare”, al fine di provare la compatibilità tra la posizione di Aurichella e quella
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1. Questa Corte, con sentenza del 15/4/2014, depositata il 4 giugno 2014,

di Lo Faro al momento della conversazione intercettata; e lamentano che questa
Corte abbia errato “nel non considerare come esistente qualcosa che emerge
chiaramente dagli atti processuali” ed escluso la decisività della prova.
3.2. Altro errore è consistito nell’imputare ad Aurichella un contributo morale
nell’omicidio, sebbene siano altri .”gli elementi fattuali offertici dagli atti del
processo”. Dalle intercettazioni del giorno del delitto sarebbe emerso, infatti, che
il gruppo di fuoco aveva fallito, in un primo momento, l’obbiettivo, “anche per
l’intervento omissivo dell’Aurichella”, il quale, posto a vedetta dai complici, aveva

invitato per questo ad andare via da D’Aquino. Solo l’intervento “provvidenziale”
di Crisafulli consentì poi al gruppo di fuoco di portare a termine la missione.
Evidente, quindi, che Aurichella non diede alcun contributo morale o materiale
all’azione omicida; anzi, “evitò”, per quanto lo riguardava, l’omicidio.
3.3. Un terzo errore riguarda, infine, l’interpretazione data dalla Suprema Corte
al ricorso della parte. Alla pag. 32 della sentenza il Collegio scrive che, “come
rileva lo stesso ricorrente non era una novità assoluta che Lo Faro si recava ogni
tanto dalle proprie nipotine, come era accaduto il sabato precedente”. Al
contrario, sostengono i ricorrenti, “è del tutto oggettivo come questa difesa si sia
ben guardata dal sostenere una siffatta valutazione”, giacché nel ricorso si
sottolineava come non fosse credibile il racconto della sorella della vittima, la
sola che aveva riferito la circostanza; così come non credibile avevano ritenuto
quel racconto i giudici di primo e secondo grado. Sul punto, concludono i
ricorrenti, la Corte di cassazione ha confuso le motivazioni del ricorso di
Aurichella con quelle di altro coimputato (“presumibilmente con quelle del
Crisafulli”).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
1. La legge 26/3/2001, n. 128, ha introdotto nell’ordinamento il nuovo istituto
del «ricorso straordinario», finalizzato alla eliminazione degli errori materiali e di
fatto interni al giudizio di cassazione. Mentre il primo tipo di errore trovava già
rimedio nella procedura di correzione regolata dell’ art. 130, il secondo è
divenuto rilevante, per la prima volta, con la novella del 2001, che ha inteso
porre riparo, in questo modo, agli errori del giudice di legittimità, in vista della
tutela di esigenze di giustizia sostanziale e del diritto ad ottenere un effettivo
controllo di legittimità sulla decisione impugnata.
Dato il carattere straordinario dell’impugnazione, che rappresenta deroga alla
regola generale della definitività e dell’irrevocabilità delle decisioni del giudice di
legittimità, il nuovo gravame ha, per unanime giudizio, natura eccezionale; per
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omesso di segnalare l’arrivo di Lo Faro nel posto programmato per l’omicidio e fu

tale motivo, le disposizioni regolatrici dell’impugnazione straordinaria per errore
di fatto sono tassative, non sono suscettibili di applicazione analogica e, dunque,
non si applicano oltre i casi in esse considerati, in forza del divieto sancito dall’
art. 14 preleggi, proprio perché rappresentano puntuale deroga alla regola
dell’intangibilità dei provvedimenti del giudice di legittimità. Quanto alla sua
natura, questa Corte ha avuto modo di precisare, nel suo/ più alto consesso, che
l’errore di fatto, che« legittima il ricorso straordinario ex articolo 625 bis del cod.
proc. pen., consiste nell’erronea percezione di un dato di fatto, così come

quale derivi uno sviamento decisivo della deliberazione assunta (deliberazione
che abbia implicato l’irrevocabilità di una sentenza di condanna). L’errore, che
può riguardare sia fatti processuali che circostanze pertinenti alla vicenda
sottoposta a giudizio, è rilevante quando sia riconoscibile ictu oculi, senza alcuna
necessità di valutazione critica delle risultanze, e quando sia riferibile in via
esclusiva al giudice di legittimità (dovendo gli errori di fatto dei giudici di merito
essere emendati con gli ordinari mezzi di impugnazione): Cass., SU, 27/3/2002,
n. 16104)’. Più specificamente, è stato affermato che per la nozione di “errore di
fatto”, inteso come quello di natura percettiva, occorre fare riferimento
all’analoga figura prevista dall’art. 395, comma 1, n.4, c.p.c.(richiamato, per il
ricorso per cassazione, dall’art.391 bis stesso codice), secondo cui si ha errore di
fatto “quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è
incontestabilmente esclusa oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la
cui verità è positivamente stabilita” (Cass., n. 42794 del 7/9/2001. Da ultimo,
Cass., n. 46065 del 6/11/2014). Di conseguenza, errore rilevante è solo quello
che ha inciso, in maniera determinate, nel processo formativo della volontà
giudiziale, determinandola in una certa direzione anziché in un’altra e, quindi,
influendo sul contenuto della decisione, che, senza quell’errore, sarebbe stata
diversa.

2. Alla luce di tali criteri nessuno degli “errori” lamentati dai ricorrenti presenta le
caratteristiche richieste per l’esperibilità del rimedio straordinario attivato.
2.1. Con la prima doglianza i ricorrenti si dolgono di un errore commesso, a loro
giudizio, non dalla Corte di Cassazione, ma dai giudici di merito, i quali
avrebbero dato presente l’Aurichella nella fase preparatoria dell’omicidio,
sebbene la partecipazione di quest’ultimo ai pedinamenti fosse esclusa da
“emergenze investigative del tutto ignorate fino a questo grado di giudizio”. La
doglianza si scontra, pertanto, col principio, immanente al rimedio invocato, che
è escluso dal campo di applicazione del ricorso straordinario l’errore percettivo
non inerente al processo formativo della volontà del giudice di legittimità, perché
riferibile alla decisione del giudice di merito, potendo, in tale ipotesi, l’errore
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rappresentato (o non rapppresentato) negli atti del giudizio di cassazione, dalla

essere fatto valere soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie:
di talché il travisamento del fatto — che, secondo l’opinione largamente
maggioritaria, non legittima neppure il ricorso ordinario – non può legittimare il
ricorso straordinario ex art. 625-bis quando costituisca un vizio della decisione
del giudice di merito (Cass., n. 24169 del 16/5/2003). Infatti, l’apprezzamento
dell’errore lamentato non potrebbe avvenire se non attraverso la lettura e
l’interpretazione delle intercettazioni cui si riferiscono i ricorrenti, nonché
attraverso la lettura delle dichiarazioni rese dal collaboratore D’Aquino:

Sotto il medesimo profilo lamentano, poi, che la Corte di Cassazione abbia
omesso di censurare l’errore in cui sarebbe caduta la Corte d’appello nel
rigettare la richiesta di riapertura dell’istruttoria: si dolgono, cioè, di un “errore”
di giudizio (e non di un errore di percezione) commesso — a loro dire — dalla
Corte di Cassazione, che avrebbe inopinatamente ritenuto “non decisiva” la
nuova prova richiesta; e come tale chiaramente irrilevante (seppur fosse reale).

2.2. Anche il secondo “errore” lamentato dai ricorrenti manca di tutte le
caratteristiche richieste dall’art. 625/bis cod. proc. pen. per essere un “errore di
fatto”. Anche in questo caso i ricorrenti lamentano che sia stato imputato ad
Aurichella un contributo, morale e materiale, escluso dagli “elementi fattuali
offertici dagli atti del processo”: id est, che la condanna dell’Aurichella è
avvenuta senza prove o, comunque, all’esito di una erronea interpretazione delle
evenienze probatorie che lo riguardano. Trattasi, all’evidenza, di una doglianza
che impinge direttamente il giudizio di colpevolezza e che non potrebbe portare
all’annullamento della condanna nemmeno se fosse stata sollevata in sede di
ricorso ordinario. Anche in questo caso si pretende di rinnovare, in sede di
ricorso straordinario, la valutazione degli elementi probatori emersi dalle
intercettazioni e si insiste in una tesi (quella della desistenza volontaria)
ampiamente esaminata e commentata nel corso del giudizio di merito e in quello
di legittimità.

2.3. Quanto al terzo “errore”, rimane persino incomprensibile capire a cosa si
riferisca. L’errore di percezione sarebbe caduto, in questo caso, sulla lettura del
ricorso di parte, malamente interpretato, in un suo passaggio, dalla Suprema
Corte (laddove si parla della visita di Lo Faro alle nipotine). Ma quel sia l’errore
non viene spiegato, né è dato comprendere: Lo Faro non si recava ogni sabato
dalle nipotine? Lo faro non si era recato il sabato precedente dalle nipotine?
Quarera la “diversa valutazione” fatta dai ricorrenti?
Sta di fatto che, seppur la Corte avesse errato nell’interpretare, in questo
strettissimo punto, il ricorso della parte, non si tratterebbe comunque di un
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evenienze entrambe . escluse dai limiti del giudizio di legittimità.

errore decisivo, giacché tutta la costruzione giuridica fatta dai giudici di merito, e
avallata dalla Corte, per affermare il concorso di Aurichella nell’omicidio
prescinde totalmente dalle affermazioni contenute nel ricorso, essendo ancorata
a risultanze istruttorie di diversa provenienza e solido spessore.

3. La totale infondatezza dei motivi comporta che il ricorso va dichiarato
inammissibile. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere

profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento
a favore della cassa delle ammende della somma di duemila euro, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16/2/2015

condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché — ravvisandosi

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