Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18194 del 22/01/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18194 Anno 2015
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAGNONI RUGGERO N. IL 10/02/1951
avverso l’ordinanza n. 156/2014 TRIB. LIBERTA’ di MILANO, del
19/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO;

Data Udienza: 22/01/2015

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Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. M. Pinelli, che ha concluso per la rideterminazione della
somma dovuta in relazione al primo e al settimo motivo di ricorso e per il rigetto
nel resto. Udito altresì per il ricorrente l’avv. E. Amodio, che, enunciato il motivo
aggiunto di seguito indicato e depositata documentazione, ha concluso per
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza
impugnata.

1. Con ordinanza deliberata in data 19/06/2014, il Tribunale di Milano, in
funzione di giudice del riesame, ha confermato il decreto di sequestro preventivo
del G.i.p. del medesimo Tribunale in data 05/05/2014, con il quale, per quanto è
qui di interesse, veniva disposto il sequestro preventivo ai fini della confisca per
equivalente, ai sensi dell’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., in relazione all’art.
11 I. 146 del 2006, di tutte le proprietà, conti correnti ed eventuali provviste
presenti sugli stessi, cassette di sicurezza e loro contenuto, liquidità, beni
immobili, quote societarie comunque riconducibili a Ruggero Magnoni, sino a
concorrenza della somma di euro 70.106.967,93.

2. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano ha proposto
ricorso per cassazione Ruggero Magnoni, attraverso i difensori avv. E. Amodio e
avv. M. Bassi, articolando sette motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art.
173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione al
sequestro dell’asserito profitto del capo B1) in mancanza di richiesta da parte del
P.M. di applicazione della misura cautelare reale per quel capo. La richiesta di
sequestro preventivo del 18/04/2014 fa riferimento ai reati di cui ai capi A), B9),
B10) ed E2), laddove il decreto del G.I.P. ha disposto la misura anche in
relazione all’asserito profitto del reato di cui al capo B1), non oggetto della
richiesta cautelare, il che integra una nullità di ordine generale e assoluta,
insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
2.2. Violazione della legge penale sostanziale per insussistenza della
fattispecie di partecipazione al delitto di associazione per delinquere
transnazionale (capo Al) contestato al ricorrente quale asserito amministratore
di fatto di Sopaf s.p.a., in quanto le condotte di questi risultanti in atti non sono
riconducibili a tale figura giuridica; omessa e apparente motivazione nelle parti in
cui il Tribunale del riesame ha preteso di ricavare il ruolo gestorio del ricorrente
da elementi probatori che non attestano tale circostanza. L’ordinanza impugnata

RITENUTO IN FATTO

,

muove dall’erroneo presupposto che il ricorrente fosse amministratore di fatto di
Sopaf s.p.a., mentre la prova della condotta partecipativa è ricavata non già
dalla condotta descritta al capo A), ma dall’ipotetico esercizio di funzioni apicali
della società. L’affermazione secondo cui il ricorrente avrebbe posto in essere
condotte consiste nel decidere le scelte strategiche gestionali della società non è
accompagnata dagli atti istruttori su cui si fonda e, comparata con le
dichiarazioni di Muneroni (che ha indicato il ricorrente come partecipe a riunioni
in cui si “discutevano” le scelte gestionali strategiche), si rivela viziata per

sommarie informazioni rese da Muneroni e da Nicchinello si ricava che nessuna
delle condotte riferite al ricorrente descrive comportamenti di gestione tipici degli
amministratori. Il vizio denunciato sussiste altresì in relazione all’affermazione
che la qualità di socio e di fratello di Giorgio Magnoni sarebbero elementi a
carico; al mancato esame del rilievo difensivo circa il titolo lecito degli incontri;
alla presenza in Sopaf di un c.d.a. autorevole di 8/10 persone; al riferimento alle
dichiarazioni di Muneroni secondo cui, durante le riunioni, gli venivano richieste
delucidazioni su operazioni; al riferimento a direttive impartite che non risulta da
alcun elemento; al giudizio di irrilevanza dei contributi a discarico offerti da Cirla
e da Morri; all’argomento, desunto dalle dichiarazioni di Nicchiniello, secondo cui
Magnoni si “interfacciava” con i dipendenti e a quello, desunto dalle dichiarazioni
di Muneroni e integrante una mera voce corrente nel pubblico, secondo cui il
componente del c.d.a. Cassaro era pacificamente in rappresentanza del
ricorrente; al riferimento, desunto sempre dalle dichiarazioni di Muneroni, alla
prevalenza della volontà del ricorrente, rispetto a quella del fratello Giorgio, a
proposito della cessione di una partecipazione; al riferimento ad alcune mail con
le quali il ricorrente era aggiornato delle vicende relative ad alcune incolpazioni
(in realtà, solo quella concernente Five Star); alla mancata indicazione di
elementi a riscontro del presunto profitto personale del ricorrente.
2.3. Violazione della legge penale sostanziale per erronea sussunzione della
condotta dell’indagato nella fattispecie di partecipazione al delitto di associazione
per delinquere desunta dalla asserita partecipazione ai reati scopo. L’ordinanza
impugnata non ha sostanzialmente affrontato la questione proposta dalla difesa
secondo cui, una volta provata la partecipazione ad alcuni reati scopo, non si è
ancora fornito alcun elemento in ordine alla partecipazione all’associazione, non
sussistendo nel caso di specie i requisiti individuati dalla giurisprudenza a
fondamento della presunzione richiamata nel decreto di sequestro preventivo,
come provano la mancata descrizione nei capi di incolpazione di alcun condotta
attiva del ricorrente e l’esistenza di plurime ragioni di contatto pregresso lecito
con alcuni degli associati.

erronea applicazione della legge penale e apparenza della motivazione. Dalle

2.4. Violazione della legge penale sostanziale per la non riconducibilità dei
fatti di cui al capo E2) al reato di trasferimento fraudolento e possesso
ingiustificato di valori. Non risulta alcuna intestazione fittizia da parte degli
asseriti autori dell’appropriazione indebita del provento da essi asseritamente
conseguito, in quanto esso è confluito nella disponibilità di terzi, come risulta
dalla richiesta integrativa di misura cautelare del P.M. secondo cui le somme
oggetto di appropriazione sarebbero finite nella disponibilità di Selvi. Il preteso
legame tra i contestati trasferimenti di somme di denaro e il cd. “Progetto

all’art. 12 quinquies I. n. 356 del 1992, ascrivibilità di cui non costituisce
riscontro l’interessamento della società Kapp all’acquisizione della partecipazione
in Ademium, trattandosi di vicenda che attiene al capo di accusa e non comprova
la fittizia attribuzione a terzi della titolarità o la disponibilità di denaro.
2.5. Violazione della legge penale sostanziale e omessa motivazione in
relazione alla ipotizzata riconducibilità del reato di cui al capo E2) tra i reatiscopo dell’associazione per delinquere di cui al capo Al). Il reato sub E2) è
attribuito a persone diverse (con l’eccezione dei soli Toschi e Ciaperoni,
comunque estranei alla famiglia Magnoni) da quelle indicate al capo Al), mentre
gli asseriti trasferimenti fraudolenti di denaro riguardano la presunta
appropriazione indebita compiuta da Adenium nei confronti della Cassa nazionale
di previdenza dei ragionieri, che nella stessa prospettiva accusatoria non è
funzionale agli interessi di Sopaf, ma al rientro in Italia dei fondi a favore di
persone fisiche e giuridiche, ma non della famiglia Magnoni.
2.6. Violazione della legge penale sostanziale e omessa motivazione in
relazione all’ipotizzata riconducibilità della condotta descritta nella seconda parte
del capo E2) (vicenda “Agate Assets s.a.”) al novero dei reati-scopo
dell’associazione per delinquere transnazionale. Posto che dal 21/02/2013 Sopaf
è stata ammessa alla procedura di concordato preventivo, l’affermazione
dell’ordinanza impugnata secondo cui la presenza dei commissari giudiziali non
impediva agli associati di interferire nella procedura in corso rappresenta una
mera illazione svincolata dalle risultanze processuali relative al ricorrente.
L’ordinanza impugnata ha violato il principio secondo cui qualora intervenga un
evento che di per sé possa provocare l’interruzione della partecipazione alla
associazione criminosa, è onere dell’accusa dimostrare la prosecuzione della
partecipazione nonostante quell’evento.
2.7. Violazione della legge penale sostanziale in relazione alla ritenuta
sussistenza del requisito della transnazionalità con riferimento alla condotta di
bancarotta per dissipazione di cui al capo B9) (vicenda Five Stars s.a.).
Erroneamente il Tribunale del riesame ha ritenuto che, sulla questione, si sia

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d’acciaio” è irrilevante al fine della ascrivibilità di quelle condotte al reato di cui

formato il c.d. giudicato cautelare, in quanto il procedimento cautelare reale è
autonomo e distinto rispetto al procedimento cautelare personale e, comunque, il
c.d. giudicato cautelare copre solo il dedotto e non il deducibile. Sul piano
sostanziale, le circostanze indicate dall’ordinanza impugnata sono estranee
all’episodio di bancarotta asseritamente commessa mediante la svendita della
partecipazione detenuta da Sopaf in Five Star s.a. a favore di Vittorio Pignatti di
Morano, sicché l’aggravante della transnazionalità è stata contestata fuori dei

3. Nel corso dell’odierna udienza il difensore del ricorrente ha enunciato ai
sensi degli artt. 325 e 311 cod. proc. pen. motivi nuovi del seguente tenore:
erronea applicazione degli artt. 3, 4 e 11 della legge n. 146 del 2006 con
riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della
transnazionalità in relazione ai reati di cui ai capi A), B1), B9), B10) ed E2).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è solo in parte fondato.

2. In ordine ai motivi nuovi proposti nel corso dell’udienza odierna, deve in
premessa ribadirsi che i “motivi nuovi” a sostegno dell’impugnazione, previsti
tanto nella disposizione di ordine generale contenuta nell’art. 585, quarto
comma, cod. proc. pen., quanto nelle norme concernenti il ricorso per cassazione
in materia cautelare (art. 311, quarto comma, cod. proc. pen.) ed il
procedimento in camera di consiglio nel giudizio di legittimità (art. 611, primo
comma, cod. proc. pen.), devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione
impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi
dell’art. 581, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998 – dep.
20/04/1998, Bono ed altri, Rv. 210259); infatti, il principio generale delle
impugnazioni, concernente la necessaria connessione tra i motivi originariamente
proposti e i motivi nuovi, non è derogato nell’ambito del ricorso per cassazione
contro provvedimenti “de libertate”, e l’unica diversità rispetto alla ordinaria
disciplina attiene al termine per la proposizione dei motivi nuovi, che non è
quello di quindici giorni prima dell’udienza ma è spostato all’inizio della
discussione (Sez. 1, n. 46711 del 14/07/2011 – dep. 19/12/2011, Colitti, Rv.
251412). Ciò premesso, rileva il Collegio che la circostanza aggravante della
transnazionalità aveva formato oggetto di doglianza, nell’originario atto di
impugnazione, con esclusivo riferimento al fatto di bancarotta per dissipazione di
cui al capo B9) (settimo motivo del ricorso): con riferimento alle altre

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casi previsti dalla legge.

imputazioni provvisorie, invece, il punto relativo alla configurabilità della
predetta aggravante non era stato investito dall’originario di ricorso, sicché le
relative censure proposte con i motivi nuovi sono inammissibili.

3.

Il primo motivo (che denuncia nullità in relazione al sequestro

dell’asserito profitto del capo B1) in mancanza di richiesta da parte del P.M. di
applicazione della misura cautelare reale per quel capo) non è fondato. La
richiesta di sequestro preventivo del P.M., oltre a riportare integralmente

richiamata la possibilità di procedere ad un «sequestro per equivalente del
profitto del reato», affermava che «tale possibilità trova fondamento nella
contestazione, con riferimento a talune fattispecie incriminatrici, del cd. reato
transnazionale, esplicitato nella contestazione dell’aggravante di cui all’art. 4
legge 146/2006 ai capi A), B1), B9), B10) e E2)». A fronte degli univoci dati
formali evidenziati, il difetto di domanda cautelare non può trovare sostegno nel
mancato riferimento al reato sub B1) nella parte finale della richiesta, tanto più
che la richiesta del pubblico ministero può risultare anche dal contesto
motivazionale (Sez. 1, n. 4038 del 04/07/1995 – dep. 03/08/1995, Tomasello e
altro, Rv. 202206).

4.

Il secondo e il terzo motivo, che possono essere esaminati

congiuntamente

attenendo

entrambi

all’imputazione

provvisoria

di

partecipazione ad associazione per delinquere sub A), non sono fondati.
4.1. Quanto al terzo motivo, che investe principalmente il ruolo del
ricorrente di amministratore di fatto di Sopaf s.p.a., il Tribunale del riesame ha
evidenziato che la partecipazione dell’indagato all’associazione per delinquere si
connota, appunto, dall’indicato ruolo e che il richiamo di cui alla contestazione
all’assistenza e alla collaborazione fornita per la costruzione delle operazioni
finanziarie finalizzate al conseguimento di illeciti profitti è meramente descrittiva
di condotte che si aggiungono a quelle tipiche dell’amministratore (e, nel caso di
specie, apicali) consistite nel decidere, unitamente agli altri componenti della
famiglia Magnoni, le scelte strategiche gestionali della società quotata in borsa,
oltre a fornire il proprio costante apporto (di conoscenze tecniche, esperienza e
relazioni) a tutto vantaggio degli scopi dell’associazione stessa, diventata
strumento per perseguire vantaggi economici per la famiglia Magnoni e gli
associati. I rilievi dell’ordinanza impugnata rendono ragione dell’infondatezza
della doglianza difensiva circa la mancata descrizione della condotta attribuita
all’indagato, laddove, quanto al compendio indiziario relativo al ruolo di
amministratore di fatto ascritto all’indagato, il Tribunale del riesame ha

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l’imputazione provvisoria sub B1), ad essa faceva esplicito riferimento laddove,

valorizzato una molteplicità di elementi, ritenuti espressivi della concreta
ingerenza dell’indagato nelle scelte strategiche della società e con poteri
direttivi: la regolare presenza dell’indagato in società dove si riuniva con Giorgio
e Luca Magnoni (entrambi componenti del c.d.a.), come dichiarato da Muneroni e
Nicchiniello; le dichiarazioni di Muneroni (teste qualificato in quanto si occupava
della tesoreria) che ha riferito di aver appreso che in tali riunioni si discutevano
le scelte gestionali strategiche di Sopaf, ossia questioni che investivano i tipici
poteri gestori apicali di una società; la considerazione che il ricorrente era socio

fratello di Giorgio Magnoni, rilievo, questo, che si associa a quello del carattere
famigliare della società; la prevalenza della volontà del ricorrente in occasione
delle cessione di una partecipazione; la circostanza che l’indagato si
“interfacciava”, avendo relazioni dirette, con i dipendenti Sopaf; il rilievo che il
ruolo gestorio non è smentito dalla dichiarazioni di Morra e di Cirla, posto che, in
ragioni delle cariche ricoperte, Muneroni e Nicchiniello erano più direttamente in
contatto con i vertici aziendali, laddove anche lo stesso Morra ha fatto
riferimento a un livello superiore nella gestione degli interessi di Sopaf, che
investiva la famiglia Magnoni; la circostanza che il ricorrente era tenuto
costantemente aggiornato, anche via mail, dell’esecuzione e della concreta
operatività delle operazioni oggetto delle imputazioni provvisorie.
Le deduzioni difensive – quando non articolano censure schiettamente di
merito (ad esempio, con riguardo alla presenza di un autorevole c.d.a.) o
trascurano il puntuale confronto con le argomentazioni della decisione impugnata
(a proposito delle dichiarazioni di Cirla e Morri, esaminate ed oggetto di congrua
motivazione da parte del giudice del riesame) – fanno leva su una considerazione
atomistica del quadro indiziario delineato dall’ordinanza impugnata e, nella
sostanza, pur articolate in termini di violazione di legge, deducono un vizio di
motivazione il cui esame è estraneo all’ambito dei vizi sindacabili da parte della
Corte in materia di riesame cautelare reale: infatti, il ricorso per cassazione
contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è
ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia
gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così
radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del
provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile
l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep.
26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692), ipotesi, questa, non riferibile, sul punto in
esame, all’ordinanza impugnata.

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di un certo rilievo, aveva indubbia preparazione e competenza professionale ed è

4.2. Anche le ulteriori censure articolare con il terzo motivo non possono
essere accolte. Escluso, alla luce di quanto si è detto, che il giudice cautelare
abbia fatto esclusivo riferimento, con riguardo alla partecipazione al delitto di
associazione per delinquere, alla partecipazione ad alcuni reati-scopo, il richiamo
a questi ultimi, è funzionale, nel percorso argomentativo del Tribunale del
riesame, a rispondere ai rilievi difensivi (che, tra l’altro, avevano dedotto il
carattere lecito dell’interessamento dell’indagato in alcune vicende). In questa
prospettiva, il Tribunale del riesame ha richiamato non solo l’illiceità delle

relazione alla sottoscrizione di un prestito obbligazionario emesso dalla società
sudafricana Newman Lowther & Associates Ltd del valore di euro 1.000.000, poi
convertito in corrispondenti quote di capitale, operazione priva di qualsiasi
giustificazione economica) e B9) (fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale in
relazione alla dissipazione del patrimonio di Sopaf in relazione all’alienazione
della partecipazione in Five Stars SA in favore di Vittorio Pignatti Morano
Campori, al prezzo vile di euro 2.155.000), ma ha sottolineato il concorso
dell’indagato nei delitti di cui ai capi C2 (omessa presentazione della
dichiarazione dei redditi di Five Stars SA, con sede amministrativa e gestione
effettiva a Milano, al fine di evadere le imposte dirette, realizzando un’evasione
fiscale ai fine Ires pari a euro 3.345.286), D1) (truffa in danno di enti
previdenziali) e D2 (truffa in danno dell’EMPAM), vicende, queste ultime,
diffusamente ripercorse dal Tribunale del riesame e rispetto alle quali il
ricorrente non propone alcuna censura. In ogni caso, anche sotto questo profilo,
il ricorso denuncia, al più, un mero vizio di motivazione insindacabile in questa
sede.

5. Il quarto motivo (che denuncia la non riconducibilità dei fatti contestati al
reato di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori di cui al capo
E2) è, invece, fondato, nei termini di seguito indicati.
Il Tribunale del riesame, richiamati gli accertamenti che avevano consentito
di ricostruire un’appropriazione indebita di 52 milioni di euro in danno della
Cassa di Previdenza dei ragionieri (CNPR), osserva che «in due occasioni (nel
novembre 2012 e nel luglio 2013), venivano prelevati dei fondi della CNPR dai
comparti della SICAV lussemburghese, ove erano depositati, che venivano fatti
transitare, estero su estero in conti off shore, e poi venivano fatti rientrare in

Italia nella disponibilità di due società riconducibili a Selvi e a Zappaterra e da lì
utilizzati a pioggia verso diverse destinazioni»; osserva ancora l’ordinanza
impugnata che «la fittizia intestazione della provvista di denaro ben si coglie ove
si considera che la complessiva operazione (…) era collegata al progetto “Patto

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operazioni indicate ai capi B5) (fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale in

d’acciaio” (…) per il conferimento dell’allora Sopaf Capital Management Sgr (ora
Adeniun Sgr) nel capitale di Previra Sim, società controllata dalla CNPR, al fine di
ricondurre la Sgr nel perimetro della nuova Sim». L’ordinanza impugnata
aggiunge cheì per tentare di acquisire Adeníum sgr e Previra sim, gli indagati
utilizzavano la provvista proveniente da CNPR per costituire nell’aprile del 2013
due società denominate Kapp s.r.l. e Investimenti s.r.I., amministrate
rispettivamente da Toschi e da Carracoi, che avrebbero dovuto controllare la sgr
e la sim; al fine di evidenziare il carattere fittizio dell’intestazione l’ordinanza

presentato al Tribunale di Milano nel giugno del 2013 un’istanza di autorizzazione
per l’acquisizione dell’intera partecipazione di Adenium sgr al prezzo di 2,8 mill.
di euro. Nell’aprile del 2013, con la provvista di 16,5 mill. di cui si discute HPS
s.p.a. (che aveva ricevuto 16,5 mill. dell’operazione) disponeva a favore di
Toschi e di Carracoi alcuni bonifici di somme che i due versarono a Kapp s.r.l. e a
Investimenti s.r.I., ossia alle società che avrebbero dovuto acquisire il controllo
di Adenium sgr e di Previra sim.
Nei termini indicati, l’ordinanza impugnata è del tutto inidonea a rendere
comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del
29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692) e, in particolare, a dar
conto della configurabilità, nel caso di specie, di condotte che realizzino di fatto
una situazione di apparenza, con la separazione tra colui o coloro che hanno la
titolarità effettiva di denaro o utilità e colui o coloro che, in base ad una fittizia
attribuzione, ne risultano formalmente titolari o disponenti (Sez. 6, n. 15140 del
12/04/2012 – dep. 19/04/2012, Mangiaracina, Rv. 252610), gli uni e gli altri non
specificamente evidenziati dalla pur analitica ricostruzione della vicenda offerta
dall’ordinanza impugnata; né, in particolare, risulta il carattere effettivo o
meramente fittizio della disponibilità delle somme oggetto di appropriazione
indebita in capo alle due società indicate dal giudice del riesame. Pertanto,
assorbiti il quinto e il sesto motivo, l’ordinanza impugnata deve essere in parte
qua annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Milano.

6. Il medesimo esito si impone con riguardo al settimo motivo (che contesta
la sussistenza della circostanza aggravante della transnazionalità con riferimento
alla condotta di bancarotta per dissipazione di cui al capo B9), che è fondato nei
termini di seguito indicati.
Il Tribunale del riesame muove dalla duplice premessa che la difesa ha
evidenziato la non sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 4 L. n. 146 del 2006
in relazione al solo capo B9) e che nessuna doglianza di analogo tenore era stata
proposta in sede di riesame avverso l’ordinanza applicativa della misura

evidenzia che dalla documentazione sequestrata emergeva che Kapp s.r.l. aveva

personale, desumendo da ciò la formazione del c.d. giudicato cautelare.
L’affermazione è errata per l’assorbente ragione che il c.d. giudicato cautelare
non si estende a tutte le questioni deducibili, bensì esclusivamente a quelle che
sono state dedotte ed effettivamente decise (ex plurimis, Sez. 4, n. 32929 del
04/06/2009 – dep. 12/08/2009, Mariani, Rv. 244976).
Esclusa, dunque, la preclusione del c.d. giudicato cautelare, deve osservarsi
che il Tribunale del riesame ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui
all’art. 4 I. n. 146 del 2006 in relazione al capo B9) (bancarotta per dissipazione

della costituzione di Five Stars SA, finalizzata all’acquisto delle quote FIP e
ritenendo evidente che la successiva svalutazione della partecipazione al
momento della cessione a Pignatti rappresenta solo l’anello terminale di
un’operazione complessiva sviluppatasi con la partecipazione di soggetti collocati
all’estero, con il drenaggio di risorse verso l’estero mediante la esterovestizione
di società e l’interposizione di soggetti apparentemente esteri, tanto da potersi
ritenere che il reato sia stato commesso in Italia, ma con una parte sostanziale
di preparazione e di direzione avvenuta in più Stati: di qui la conclusione che la
dissipazione è stata resa possibile da un gruppo criminale organizzato impegnato
in attività criminali in più di uno stato composto da soggetti operanti a livello
transnazionale e forniti di autonomia organizzativa.
Così sintetizzato il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata, va
ricordato che le Sezioni unite di questa Corte hanno individuato gli elementi che
caratterizzano il gruppo criminale organizzato, cui fanno riferimento gli artt. 3 e
4 della legge n. 146 del 2006, precisando in tal senso, secondo le indicazioni
contenute nell’art. 2, punti a) e c) della Convenzione delle Nazioni unite contro il
crimine organizzato del 15 novembre 2000 (cosiddetta convenzione di Palermo),
come gli stessi debbano essere identificati: a) nella stabilità di rapporti fra gli
adepti; b) in un minimo di organizzazione, senza che peraltro sia necessaria una
formale definizione di ruoli; c) nella non occasionalità o estemporaneità
dell’organizzazione; d) nella sua costituzione in vista anche di un solo reato e per
il conseguimento di un vantaggio finanziario o di altro vantaggio materiale (Sez.
Un., n. 18374 del 31 gennaio 2013, Adami e altro, Rv. 255034). L’ordinanza
impugnata è priva dei requisiti minimi idonei a rendere ragione della sussistenza
dei requisiti della fattispecie in esame, così come puntualizzati dalla pronuncia
appena richiamata: infatti, l’ordinanza impugnata delinea, nel nucleo essenziale
del ragionamento del Tribunale del riesame, una sorta di preordinazione della
stessa costituzione di Five Stars SA al fatto di bancarotta per dissipazione sub
B9) in modo del tutto disancorato dal riscontro di dati indiziari e, comunque, non
offre alcuna indicazione in ordine alla riconducibilità dei soggetti che hanno

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della partecipazione in Five Stars SA detenuta da Sopaf) ripercorrendo le vicende

operato nelle diverse fasi della vicenda a «una struttura unitaria identificabile
come gruppo criminale» (Sez. 5, n. 500 del 06/11/2014 – dep. 08/01/2015,
Zappaterra). Anche per questa parte, dunque, l’ordinanza impugnata deve
essere annullata con rinvio al Tribunale di Milano.

7. In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio
per nuovo esame al Tribunale di Milano in ordine alla determinazione del profitto
in relazione ai reati di cui ai capi B9) ed E2), mentre, nel resto, il ricorso deve

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di
Milano in ordine alla determinazione del profitto in relazione ai reati di cui ai capi
B9) ed E2); rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 22/01/2015

essere rigettato.

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