Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18188 del 28/03/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18188 Anno 2013
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: MONTAGNI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SALAMINA MASSIMILIANO N. IL 15/04/1970
avverso la sentenza n. 6716/2012 TRIBUNALE di TARANTO, del
10/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. t- 1qt+.
che ha concluso per

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Data Udienza: 28/03/2013

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Ritenuto in fatto
1. Salamina Massimiliano ha proposto ricorso per cessazione avverso la
sentenza del Tribunale di Taranto in data 10.10.2012, con la quale, ai sensi dell’art.
444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, in ordine al
reato contravvenzionale di cui all’art. 116 comma 13 cod. strada (capo a) ed al
delitto ex art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 (capo b). Il ricorrente denuncia la
violazione di legge in ordine al mancato apprezzamento della ricorrenza dei

proc. pen.
Considerato in diritto
2. Il ricorso è inammissibile.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio
che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (Cass. Sez. U, sentenza n. 5777 del
27.03.1992, dep. 15.05.1992, Di Benedetto, Rv. 191135; Cass. Sez. U, sentenza
n. 10372 del 27.09.1995, dep. 18.10.1995, Serafino, Rv. 202270). Tale
orientamento è stato concordemente seguito dalla giurisprudenza successiva.
Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano
precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la
comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la sua sospensione, la
costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni
unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura
enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né
l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola
come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la
statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
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presupposti legittimanti l’adozione di sentenza liberatoria, ai sensi dell’art. 129 cod.

prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Non è consentito, dunque, all’imputato, dopo l’intervenuto e
ratificato accordo, proporre questioni in ordine alla mancata applicazione
dell’articolo 129 cod. proc. pen., senza precisare per quali specifiche ragioni detta
disposizione avrebbe dovuto essere applicata nel momento del giudizio. Occorre,
peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice ha indicato le ragioni poste a
fondamento della propria determinazione, in ordine alla insussistenza delle

produzione documentale effettuata dal pubblico ministero.
3. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro
1.500,00 a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 28 marzo 2013.

condizioni per procedere ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., richiamando la

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