Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18180 del 15/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 18180 Anno 2018
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
GRAVAGNA SALVATORE nato il 24/05/1947 a CATANIA
PIACENTI GIOVANNI nato il 18/03/1947 a CATANIA
PLATANIA GIUSEPPE EMILIO nato il 28/05/1966 a CATANIA

avverso la sentenza del 09/05/2017 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA CRISCUOLO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI,
che ha concluso per il rigetto del ricorso di GRAVAGNA e l’annullamento senza
rinvio con rideterminazione della pena per PIACENTI e PLATANIA.
uditi i difensori, avv. SINGARELLA DONATELLA CINZIA in difesa di PLATANIA
GIUSEPPE EMILIO, che insiste nei motivi, avv. STERLINO SALVATORE in difesa di
GRAVAGNA SALVATORE, che insiste nel ricorso e nell’annullamento senza rinvio,
e avv. PACE SALVATORE, in difesa di PIACENTI GIOVANNI, che si riporta al
ricorso e ne chiede l’accoglimento.

Data Udienza: 15/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Decidendo in sede di rinvio, la Corte di appello di Catania ha condannato
Piacenti Giovanni, Gravagna Salvatore e Platania Giuseppe Emilio per il reato di
estorsione aggravata, contestato al capo E), e, riconosciute le attenuanti
generiche, ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, ad eccezione
dell’aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203/91, esclusa, ha determinato la pena nei
confronti del Gravagna con la riduzione per il rito, in anni 1 e mesi 4 di

nel resto la sentenza della Corte di appello di Catania del 21 dicembre 2012.
Preliminarmente la Corte di appello ha dato atto che con sentenza del 13
gennaio 2011, emessa all’esito di giudizio abbreviato, il G.u.p. del Tribunale di
Catania aveva assolto gli imputati dal reato di estorsione in danno di Di Stefano
Biagio, contestato al capo E), aveva condannato il Piacenti e il Platania per i reati
loro ascritti alla pena di anni 20 di reclusione; che, in accoglimento dell’appello
proposto dal P.m., la Corte di appello di Catania con sentenza del 21 dicembre
2012 li aveva ritenuti colpevoli del reato di estorsione ed aveva condannato il
Gravagna alla pena di anni 8 di reclusione e 1.600 euro di multa, mentre non
aveva disposto alcun aumento per gli altri due imputati, in quanto già condannati
alla pena massima irrogabile; che la sentenza era stata annullata dalla Seconda
Sezione di questa Corte con sentenza del 15 settembre 2016 limitatamente al
reato di estorsione, rimettendo gli atti per nuovo giudizio e per l’eventuale
rideterminazione delle pene.
Quanto alla censura dei difensori del Piacenti e del Platania, secondo la quale
la sentenza di annullamento riguardava anche il reato di cui all’art. 74 d.P.R.
309/90, per il quale la Corte di appello aveva escluso l’aggravante di cui al
comma 4 senza ridurre la pena base, che la sentenza annullata aveva lasciato
inalterata e che era stata oggetto di ricorso, accolto sul punto, la Corte di appello
ha ritenuto che l’annullamento riguardasse unicamente il reato di cui al capo E),
non evincendosi null’altro dal dispositivo della sentenza di annullamento.
Quanto al reato di estorsione, preso atto dei rilievi di questa Corte circa la
mancanza di motivazione per il generico riferimento alle conversazioni
intercettate, non illustrate, i giudici di appello hanno ritenuto che nella condotta
degli imputati, attivatisi per recuperare e restituire al Di Stefano l’autovettura
rubata, fosse ravvisabile la minaccia implicita della definitiva perdita del bene,
qualora lo stesso non fosse stato disposto a pagare un prezzo per riottenere
l’autovettura, tant’è che il Platania gli aveva prospettato che senza il loro
intervento la macchina non si sarebbe più ritrovata. Hanno escluso che
l’intervento degli imputati fosse avvenuto nell’esclusivo interesse della persona

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reclusione ed euro 1.000 di multa, revocate le pene accessorie, e ha confermato

offesa, in quanto vi era prova dell’interesse economico perseguito dagli stessi,
risultante da un colloquio intercettato in ambientale tra il Piacenti e il Platania,
nel corso del quale i due valutavano la somma da richiedere al Di Stefano ed il
primo affermava che gli avrebbe chiesto mille euro, di cui 700 li avrebbero dati
agli autori del furto, tenendo per loro i restanti 300 euro, di cui 100 sarebbero
stati destinati a Piacenti Giuseppe, suo cugino. La Corte di appello ha
sottolineato che il colloquio avvenne subito dopo che il Platania ed il Gravagna
avevano condotto il Di Stefano sul luogo in cui era occultata l’autovettura rubata
e dopo il recupero il Di Stefano aveva detto loro di essere pronto a corrispondere

quanto dovuto per il disturbo, ottenendo in risposta dal Platania che si sarebbero
visti con il Piacenti per definire.
Ritenuta la responsabilità degli imputati, la Corte di appello ha riconosciuto
le attenuanti generiche, dichiarate equivalenti alle aggravanti contestate ad
eccezione dell’aggravante di cui all’art. 7 I. 203/91, esclusa, non essendo emersi
elementi indicativi dell’utilizzo del metodo mafioso o dell’eventuale vantaggio che
l’associazione avrebbe tratto dal favore fatto al Di Stefano, e ha determinato la
pena per il Gravagna nella misura indicata, inalterate le pene per gli altri
imputati per le ragioni già indicate nella sentenza annullata.

2. Avverso la sentenza propongono ricorso i difensori degli imputati.

3. Il difensore del Gravagna articola i seguenti motivi:
3.1 violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione all’art. 27
Cost., 192, 530, 533 e 627, comma 3, cod. proc. pen., in quanto la Corte di
appello non si è attenuta ai rilievi di questa Corte, colmando il vizio di
motivazione rilevato, e ha trascurato che in caso di ribaltamento della sentenza
assolutoria di primo grado, il giudice di appello deve fornire una motivazione, che
evidenzi le ragioni di incompletezza o incoerenza del provvedimento riformato.
Deduce che per le lacune evidenziate, questa Corte aveva imposto ai giudici
del rinvio di riformulare la motivazione in stretta aderenza con il quadro
probatorio, cosa che la Corte di appello non ha fatto, omettendo anche qualsiasi
motivazione sulla posizione del ricorrente; ha omesso di motivare sulla
sussistenza della minaccia, ritenuta implicita, a fronte di un’imputazione che la
prevede come esplicita, mediante costrizione, trascurando che questa Corte
aveva evidenziato che era stato il Di Stefano a rivolgersi al Piacenti per chiedergli
di interessarsi per scoprire chi avesse rubato la sua autovettura e questi, tramite
il Platania, individuò nel Gravagna la persona in grado di contattare i ladri. Si è
trascurato che il giudice di primo grado aveva individuato proprio nel rapporto
amicale tra il Di Stefano e il Piacenti un elemento inconciliabile con qualsiasi

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minaccia; che la sentenza è contraddittoria, in quanto, da un lato, ritiene
sussistente la minaccia, dall’altro, riconosce le attenuanti generiche in
considerazione dei rapporti amichevoli tra la persona offesa e gli imputati e
dell’atteggiamento degli stessi, mai violento o aggressivo. Sottolinea che il
concorso del ricorrente nel reato non è motivato, non risultando analizzata la sua
posizione, assimilata a quella degli altri, trascurando che i colloqui e i contatti
con la persona offesa non riguardano il ricorrente, il quale non ha ricevuto alcuna
somma né ha avuto un interesse personale nella vicenda, come risulta anche dal

3.2 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante di
cui all’art. 628, comma 3, n.1 cod. pen., non essendovi nella motivazione traccia
della presenza di più persone nel momento di commissione dell’illecito,
nonostante la ritenuta sussistenza dell’aggravante si ricavi dal bilanciamento
operato: sottolinea sul punto l’interesse del ricorrente a veder esclusa
l’aggravante, anche se per effetto dell’equivalenza con le attenuanti, non ha
avuto rilievo sanzionatorio, incidendo comunque, sulla gravità del fatto;
3.3 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al possibile
inquadramento del fatto in un’ipotesi meno grave, quale quella del
favoreggiamento reale, in quanto l’essersi adoperato per ritrovare l’autovettura,
restituita al proprietario senza alcun vantaggio economico, non dà luogo al
concorso di persone nel reato, ma al favoreggiamento;
3.4 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza della recidiva, non risultando affatto motivata la decisione sul punto.
Con motivi aggiunti il difensore censura la mancanza di motivazione anche
sotto l’ulteriore profilo della mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale,
trattandosi di riforma in pejus della sentenza di primo grado, per omessa
rinnovazione della prova dichiarativa della persona offesa circa la dazione del
danaro, ricavata da un’intercettazione, che non ha come protagonista il
ricorrente.

4. I ricorsi del Piacenti e del Platania formulano due motivi identici:
4.1 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al divieto della

reformatio in pejus.
Si deduce che il trattamento sanzionatorio irrogato è in palese violazione di
legge, in quanto l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R.
309/90, nonostante la condanna per l’estorsione, avrebbe imposto la
rideterminazione della pena al ribasso, ma la sentenza non motiva né sulla pena
base né sull’aumento applicato a titolo di continuazione. Si segnala che, pur
essendo stata esclusa l’aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. 309/90, sia

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colloquio riportato in sentenza, che conferma che il beneficiario era un terzo;

la sentenza annullata che quella impugnata hanno confermato la pena base
determinata dal primo giudice in 24 anni di reclusione e non in 20 anni: sul
punto nella sentenza di annullamento questa Corte aveva dato atto del rilievo
formulato dal ricorrente e dal Platania al pari del Guglielmino, precisando che per
i ricorrenti il giudizio di rinvio avrebbe dovuto riguardare la rideterminazione
complessiva della pena in conseguenza dell’annullamento della sentenza per il
capo E).
Si sostiene che questa Corte ha implicitamente riconosciuto la fondatezza

l’infondatezza, come avvenuto per il Guglielmino, e che erroneamente la Corte di
appello ha ritenuto il contrario, ritenendo che il dispositivo non riguardasse detto
profilo, ma unicamente il reato di estorsione, oggetto del giudizio di rinvio,
mentre, invece, il dispositivo rinvia per un nuovo giudizio sul punto e per
l’eventuale rideterminazione delle complessive pene;
4.2 violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Si deduce la mancanza ed insufficienza della motivazione della sentenza
impugnata, che ha confermato l’affermazione di responsabilità degli imputati
senza attenersi ai rilievi formulati, proprio in punto di motivazione, nella
sentenza di annullamento, senza un lettura critica degli elementi di prova, senza
un’analisi completa e senza tener conto dell’obbligo di rendere una motivazione
rafforzata in caso di ribaltamento di decisione assolutoria di primo grado. Si
evidenzia che la Corte di appello non ha motivato sulla sussistenza della
minaccia, quale elemento costitutivo dell’estorsione, né ha confutato il
ragionamento del primo giudice, che aveva ravvisato nel rapporto amicale tra la
persona offesa ed il Piacenti un elemento incompatibile con la minaccia; peraltro,
la sentenza è contraddittoria, laddove riconosce le attenuanti generiche,
giustificate dall’atteggiamento degli imputati non violento né aggressivo nei
confronti della persona offesa.
La sentenza ripropone, pertanto, la carenza di motivazione e di
individualizzazione delle condotte concrete dei ricorrenti, che possano
logicamente e congruamente supportare l’affermazione di responsabilità oltre
ogni ragionevole dubbio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati per le ragioni di seguito illustrate.

1.1 Possono trattarsi congiuntamente le censure dei ricorrenti relative alla
vicenda estorsiva.

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della censura mossa dai ricorrenti, altrimenti ne avrebbe dichiarato

Premesso che la sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio
di primo grado deve confutare specificamente, altrimenti incorrendo nel vizio di
motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione
assolutoria, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e
giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto
riguardo ai contributi, eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e
deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a
quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore

(Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, Rv. 233083; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013,
Rv. 254638), la sentenza impugnata non ha colmato le lacune argomentative
riscontrate da questa Corte né ha fornito una ricostruzione completa della
vicenda con puntuale definizione dei ruoli degli imputati, limitandosi ad
integrazioni sui due elementi essenziali per la configurabilità dell’estorsione,
senza fornire una lettura complessiva e organica della vicenda, senza confutare
puntualmente le argomentazioni del giudice di primo grado e senza motivare
adeguamente sul ruolo del Gravagna, pacificamente non destinatario del profitto.
Muovendo dall’attività di intermediazione, svolta dagli imputati per
recuperare e restituire al Di Stefano l’autovettura sottrattagli da altri, quale fatto
non controverso e non contestato dalle difese, in quanto pacificamente risultante
dalle conversazioni intercettate, i giudici di appello hanno ritenuto sussistente la
minaccia implicita, tipica dell’estorsione, nella prospettazione della perdita
definitiva del bene, quale elemento per costringere la vittima a pagare un
corrispettivo per riottenerlo, risultante dal concorso degli imputati con gli autori
del furto e dalla frase rivolta dal Platania al Di Stefano “dottore questa macchina
non si sarebbe trovata più”, per sottolineare che senza il loro intervento non
avrebbe più recuperato il bene e hanno altresì, ritenuto provato che gli imputati
avessero agito non nell’esclusivo interesse della persona offesa, bensì per un
proprio interesse personale, rinvenendone la prova nel colloquio tra il Piacenti ed
il Platania, nel corso del quale discutevano della somma da richiedere al Di
Stefano e convenivano di chiedergli mille euro, di cui 700 euro sarebbero stati
destinati agli autori del furto e gli altri 300 euro li avrebbero trattenuti,
destinandone 100 a Piacenti Giuseppe; hanno altresì, valorizzato la circostanza
che tale colloquio avvenne subito dopo che il Platania ed il Gravagna avevano
condotto la vittima sul luogo in cui era occultata l’autovettura e che al Di
Stefano, dichiaratosi pronto a corrispondere quanto dovuto loro per il disturbo, il
Platania aveva replicato, rimandando ad un successivo colloquio con il Piacenti
per definire il tutto.

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considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati

Considerato che, contrariamente all’assunto difensivo, è indifferente la
natura della minaccia, rilevando soltanto l’effetto coercitivo sulla persona offesa,
pacificamente integra il delitto di estorsione la condotta di colui che chiede ed
ottiene dal derubato il pagamento di una somma di denaro come corrispettivo
per l’attività di intermediazione posta in essere per la restituzione del bene
sottratto, in quanto la vittima subisce gli effetti della minaccia implicita della
mancata restituzione del bene come conseguenza del mancato versamento di
tale compenso (Sez. 2, n. 6818 del 31/01/2013, Piazza, Rv. 254501).

del ragionamento liberatorio del primo giudice, che aveva ritenuto inconciliabile
la minaccia con il rapporto amicale esistente tra il Piacenti e il Di Stefano e con
l’iniziativa assunta spontaneamente da quest’ultimo di rivolgersi al Piacenti,
individuando nell’attività di intermediazione svolta la minaccia implicita di perdita
definitiva del bene, tuttavia, non solo non risulta attentamente valutata la
posizione del Gravagna, coinvolto in seconda battuta, ma neppure risulta
confutato l’ulteriore dato, valorizzato dal giudice di primo grado a sostegno della
decisione assolutoria ovvero la circostanza che il prezzo fosse stato pagato dopo
il recupero del bene, pur trattandosi di elemento che indebolisce la ritenuta
sussistenza della minaccia implicita.
Se, infatti, la minaccia implicita di perdita definitiva del bene è l’elemento di
pressione esercitato sulla vittima per costringerla a corrispondere una somma di
danaro per riottenerlo, l’anomalia del pagamento successivo alla restituzione del
bene necessitava di una puntuale valutazione e risoluzione di tale aspetto della
vicenda in esame, specie alla luce delle lacune rilevaté da questa Corte, che non
risultano colmate.
Era stata, infatti, censurata anche l’affermata, ma non giustificata da un
riferimento a precisi elementi probatori, pattuizione del prezzo in epoca
precedente alla restituzione dell’autovettura, pur trattandosi di elemento
rilevante per la tenuta del ragionamento dei giudici del rinvio e per l’incidenza sul
dolo, potendo dimostrare che sin dalle fasi iniziali della vicenda e, nonostante
l’iniziativa autonoma della persona offesa, gli imputati avevano avuto intenzione
di sfruttarla a proprio vantaggio, così da dissolvere definitivamente i dubbi
sollevati dalle difese sull’esatta ricostruzione della vicenda.
I precedenti giudici di appello avevano infatti, sottolineato che non solo al Di
Stefano era stata prospettata da subito la necessità di pagare, pena la perdita
definitiva dell’autovettura, ma anche che il rinvio del pagamento fosse frutto
della caratura criminale degli stessi interlocutori.

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Se quindi, su tale punto la Corte di appello ha confutato l’argomento centrale

Tale aspetto risulta trascurato dai giudici di merito, non preoccupatisi di
ricostruire in modo completo la vicenda, nonostante la sollecitazione di questa
Corte di fornire una motivazione in stretta aderenza con il quadro probatorio.
Peraltro, pur a fronte di numerose intercettazioni di rilievo per la vicenda (v.
pag. 47 della sentenza di primo grado), numerose ed analiticamente riportate
nell’impugnazione del P.M., secondo il precedente giudice di secondo grado, che
ne valorizzava la sequenza cronologicamente serrata (pag. 23), ritenute chiare
ed univoche dagli stessi giudici di appello, gli unici frammenti estrapolati dalle

del veicolo ed al pagamento del prezzo, che, come evidenziato dalla difesa del
Gravagna, riguarda solo il Piacenti ed il Platania.
Se tale circostanza è giustificata dal fatto che il Di Stefano si rivolse al
Piacenti, conoscendone lo spessore criminale, e che questi, tramite il suo braccio
destro Platania si rivolse al Gravagna per reperire l’autovettura, cosicché ad essi
spettava, per loro espressa ammissione, una parte del profitto, ciò lascia irrisolti
sia il profilo evidenziato in precedenza, sia la posizione del Gravagna, al quale
non risulta che sarebbe stata destinata alcuna somma, in quanto i due
decidevano di destinarne una parte al cugino del Piacenti, il cui ruolo è solo
intuibile.
Non risulta, infatti, chiaramente delineato il ruolo concorsuale del Gravagna,
autore materiale del recupero dell’autovettura e dell’accompagnamento, insieme
al Platania, del Di Stefano sul luogo in cui la stessa era occultata, destinatario
della proposta della vittima di pagare loro il disturbo, ma non partecipe della
divisione del profitto.
Sebbene possa ricavarsene il ruolo fiduciario e la conoscenza degli ambienti
malavitosi locali, tanto da essere delegato al rintraccio dell’autovettura e da
essere informato dell’importanza di fare un favore al Di Stefano in vista di
possibili utilità future (il Platania gli faceva presente che “è un medico del
Policlinico e si deve tenere sotto pressione nel caso ne avessimo bisogno”), non
risulta giustificata in modo logico e coerente l’affermazione di responsabilità del
Gravagna a titolo di concorso nell’estorsione, in assenza di elementi indicativi
dell’adesione al progetto illecito dei correi o della partecipazione alle trattative o
alla decisione per stabilire il prezzo dovuto per il recupero ed in presenza di
elementi certi, che ne escludono la partecipazione alla spartizione del profitto.
A fronte di tale ultimo, decisivo elemento, sarebbe stata necessaria una più
puntuale motivazione sulla posizione del ricorrente, il cui coinvolgimento nella
vicenda non è sorretto da un interesse diretto e personale di profitto.
Pur essendo infondato il rilievo della difesa del ricorrente circa la necessità di
risentire la persona offesa, la cui credibilità non è stata oggetto di diversa

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conversazioni in atti sono solo due e documentano la fase successiva al recupero

valutazione da parte dei giudici di merito, la motivazione risulta carente, in
quanto assimila la posizione del Gravagna a quella dei coimputati e non giustifica
né la ritenuta sussistenza dell’aggravante contestata del numero delle persone
né della recidiva.
A riprova della necessità di una più puntuale motivazione sui punti indicati vi
è il profilo di contraddittorietà segnalato dalle difese, atteso che, per giustificare
il riconoscimento delle attenuanti generiche, la Corte di appello ha attribuito
rilievo all’iniziativa autonoma della persona offesa ed all’atteggiamento mai

2. Parimenti fondato è l’ulteriore motivo formulato dai difensori del Piacenti e
del Platania in punto di determinazione della pena e di reformatio in pejus.
La sentenza di annullamento dà atto che i ricorrenti, al pari del ricorrente
Guglielmino, avevano espressamente censurato la sentenza impugnata nella
parte in cui aveva confermato il trattamento sanzionatorio applicato dal primo
giudice, nonostante l’esclusione dell’aggravante di cui al comma 4 dell’art. 74
d.P.R. 309/90, precisando, a pagina 27, che per i ricorrenti si renderà in ogni
caso

necessario il giudizio di rinvio per la rideterminazione della pena

complessiva per le ragioni esposte nel paragrafo che segue, relativo
all’annullamento della sentenza per il reato di estorsione.
Non solo tale precisazione, ma anche la spiegazione fornita per il
Guglielmino, per il quale è stato chiarito che il riconoscimento delle attenuanti
prevalenti sulle aggravanti contestate aveva reso ininfluente sul calcolo della
pena l’esclusione in appello dell’aggravante di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R.
309/90, conferma la fondatezza dell’eccezione difensiva e consente di ritenerla
implicitamente accolta.
Anche l’ulteriore passaggio della motivazione ed il dispositivo conducono ad
analoga valutazione, in quanto nel dispositivo si precisa che il giudizio di rinvio
riguarderà il reato di estorsione e l’eventuale rideterminazione delle pene
complessive.

Per le ragioni esposte la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra
Sezione della Corte di appello per nuovo giudizio sui punti indicati.

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violento e/o aggressivo degli imputati nei confronti della stessa.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione
della Corte di appello di Catania.
Così deciso, il 15/03/2018.

P

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