Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18180 del 09/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18180 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Soscia Giuseppa, nata a Pontinia, il 15/5/1943;

avverso la sentenza del 1/10/2012 della Corte d’appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Umberto
De Augustinis, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Roma ha confermato la condanna di
Soscia Giuseppa per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso nella sua
qualità di amministratrice della Immobiliare La Costa 88 s.r.l.

Data Udienza: 09/03/2015

2. Avverso la sentenza ricorre l’imputata a mezzo del proprio difensore eccependo che
il fatto non è più previsto dalla legge come reato in forza delle modifiche apportate
dalla I. n. 5/2006 alla disciplina delle condizioni soggettive ed oggettive di fallibilità e
deducendo il difetto di motivazione in merito alla contestata esistenza del residuo di
cassa oggetto dell’asserita distrazione e alle spese addotte a giustificazione del
presunto ammanco.

1.11 primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Le Sezioni Unite hanno già
avuto modo di chiarire come il giudice penale investito del giudizio relativo a reati di
bancarotta non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento – la quale nella
struttura dei reati di bancarotta assume rilevanza nella sua natura di provvedimento
giurisdizionale e non per i fatti con essa accertati – quanto al presupposto oggettivo
dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni
previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate all’art. 1 R.D.
n. 267 del 1942 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n.
169, non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 c.p. sui procedimenti penali in corso
(Sez. Un., n. 19601 del 28 febbraio 2008, Niccoli, Rv. 239398). Principio che il collegio
condivide e a cui si è correttamente attenuta la Corte distrettuale, risultando
irrilevante, trattandosi di quaestio iuris, che non abbia motivato in proposito.

2. Generica è invece la censura relativa al difetto di motivazione della sentenza in
merito alle giustificazioni addotte con il gravame di merito circa la destinazione dei
fondi oggetto della contestata distrazione. La Corte territoriale ha infatti specificamente
affrontato la questione spiegando in maniera del tutto logica le ragioni per cui le spese
asseritamente in grado di legittimare l’ammanco di cassa fossero in realtà inidonee a
determinare il risultato probatorio prospettato. Spiegazione con la quale la ricorrente
non si è sostanzialmente confrontata.

3. Manifestamente infondata è poi l’ultima doglianza della ricorrente. Infatti, con i
motivi d’appello la difesa aveva evidenziato come l’originaria versione dell’imputata
circa la natura meramente contabile del residuo di cassa fosse stata poi rettificata a
seguito del ritrovamento di alcune fatture asseritamente idonee a dimostrare che la
liquidità venne invece impegnata per pagare i debiti della società. Questo e non altro
era dunque il rilievo effettivamente devoluto alla cognizione del giudice d’appello, che,
come già ricordato, sul punto ha esaurientemente motivato.
4. Peraltro deve rilevarsi che il reato si è nel frattempo prescritto, atteso che il relativo
termine si è compiuto al più tardi – tenendo conto dei periodi di sospensione maturati

CONSIDERATO IN DIRITTO

nel corso del primo grado di giudizio – il 2 ottobre 2012 e cioè il giorno successivo alla
pronunzia della sentenza impugnata.
4.1 Escluso, dunque, che l’estinzione del reato per prescrizione potesse essere
dichiarata nel giudizio di merito, va rilevato che neppure può essere dichiarata d’ufficio
in questa sede, ostandovi la inammissibilità del ricorso conseguente alla manifesta
infondatezza dei motivi dedotti.
4.2 La oramai consolidata e qui condivisa giurisprudenza di questa Corte afferma,

infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di
non punibilità a norma dell’articolo 129 c.p.p. (Sez. Un. n. 32 del 22 novembre 2000,
De Luca, rv 217266).

5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 9/3/2015

infatti, che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta

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