Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18162 del 21/11/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18162 Anno 2018
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: SIANI VINCENZO

sul ricorso proposto da:
CHAVEZ CHAMORRO JEREMIAS HAROLD nato il 31/03/1974

avverso l’ordinanza del 22/10/2016 del TRIBUNALE di TORINO
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI;
lette/s4e. le conclusioni del PG

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Data Udienza: 21/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, emesso il 22 -23 marzo 2017, il
Tribunale di Torino, quale giudice dell’esecuzione, oltre a revocare la sospensione
condizionale concessa a Jeremias Harold Chavez Chamorro con le sentenze dei
Tribunali di Genova e Milano, identificate in atti, ed a revocare altra sentenza di
condanna del Tribunale di Milano, ex art. 673 cod. proc. pen., ha rigettato
l’istanza proposta nell’interesse dello stesso Chavez Chamorro di accertamento

gennaio 2017, per omessa valida notificazione del pregresso ordine di
esecuzione, con decreto di sospensione.

2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso il difensore del Chavez
Chamorro chiedendone l’annullamento con la deduzione di un unico, articolato
motivo con cui lamenta inosservanza dell’art. 159 cod. proc. pen., con
conseguente nullità del decreto di irreperibilità del condannato emesso dal P.m.
in data 22 ottobre 2016 e degli atti ad esso consequenziali, nonché manifesta
illogicità della motivazione.
Erano stati evidenziati al giudice dell’esecuzione gli elementi che
giustifiCavano la prospettazione di inefficacia dell’ordine di carcerazione: la
notificazione dell’ordine di esecuzione, con decreto di sospensione, era stata
effettuata presso il difensore, dopo che il P.m. aveva emesso nei confronti del
ricorrente il decreto di irreperibilità il 22 ottobre 2016; però le ricerche effettuate
prima dell’emissione di tale decreto erano state irrituali, in quanto esse, pur
dandosi atto che il suo domicilio era quello di Torino, in Corso Re Umberto, n.
143, erano state effettuate al civico 147, senza reperirvi il nominativo del
condannato; né dette ricerche erano state ripetute in Collegno, al Corso Francia,
n. 67, ultima residenza nota agli óperanti, pur avendo il destinatario dimostrato
di aver dimorato proprio in quel luogo nel periodo delle ricerche, sebbene la
residenza anagrafica non vi fosse più allocata dal 2012; pur dopo la produzione
da parte del P.m. del verbale di vane ricerche del 9 dicembre 2016 e di altro
verbale relativo alle ricerche effettuate il 30 settembre 2016 dai Carabinieri di
Collegno, era stato evidenziato che il loro esame non consentiva di superare le
carenze evidenziate nell’istanza così restando confermata l’omessa notificazione
al condannato dell’ordine di esecuzione con il coevo decreto di sospensione. E
nemmeno era valso a modificare tale conclusione il contenuto dell’annotazione in
data 21 marzo 2017 prodotto dal P.m. dell’udienza camerale, essendo restato
alfine accertato che le uniche ricerche praticate erano quelle in Torino, al Corso
Re Umberto, ma al civico n. 147, erroneo.

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della non esecutività dell’ordine di carcerazione emesso nei suoi confronti il 13

A fronte di tali elementi, il provvedimento impugnato aveva ritenuto
superflua l’effettuazione delle ricerche nell’ultima residenza anagrafica di
Collegno, basandosi però su argomenti puramente congetturali e disattendendo
la verifica di conformità delle ricerche al tipo legale sancito dall’art. 159 cod.
proc. pen., senza che fosse congruente il richiamo giurisprudenziale, operato dal
giudice dell’esecuzione, che riguardava una situazione di impraticabilità
oggettiva, non riscontrabile nel caso in esame.
Circa poi l’erroneo riferimento al numero civico 147, anziché 143, del

scorgere alcun elemento che giustificasse il convincimento del giudice
dell’esecuzione secondo cui si era trattato di un errore di stampa del verbale di
vane ricerche, e non di un errore di fatto compiuto dagli operanti, errore non
superato dalla reiterazione – con la medesima discrasia – dell’accertamento,
prima il 30 settembre 2016 e poi il 9 dicembre 2016.

3. Il Procuratore generale ha chiesto annullarsi l’ordinanza impugnata con
rinvio al Tribunale di Torino per nuovo esame: ciò, perché il provvedimento non
appariva rispettoso della ratio delle norme che regolavano la materia, in base a
cui, secondo l’interpretazione più recente, doveva assicurarsi l’effettiva ricerca
del destinatario in tutti i posti dove, per conoscenze o informazioni acquisite, si
presumeva egli potesse trovarsi, prima che venisse emesso il decreto di
irreperibilità, dovendo compiersi tale attività utilizzando nel modo più efficace
notizie e informazioni in possesso dell’Autorità procedente, senza ancorarsi a
rigorosi formalismi, tenuto conto del rilievo costituzionale degli interessi tutelati;
inoltre la motivazione del provvedimento impugnato risultava apparente nella
parte in cui aveva escluso apoditticamente la rilevanza della ricerca del
condannato nel luogo dell’ultima residenza anagrafica conosciuta, così come nel
luogo di temporanea dimora dell’interessato, pure tempestivamente comunicato
alle Forze di polizia, ai fini amministrativi.

domicilio del condannato risultante dal procedimento di merito, non era dato

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’impugnazione è da ritenersi fondata, nei sensi che seguono.

2. Giova premettere che, quanto al rigetto dell’istanza di declaratoria di
inefficacia dell’ordine di carcerazione (unico capo dell’ordinanza oggetto di
impugnazione), il Tribunale ha ritenuto che la produzione da parte del P.m. del
verbale di vane ricerche in data 30 settembre 2016 dimostrasse che non era
stata possibile l’ordinaria notificazione dell’ordine di esecuzione, con decreto di

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sospensione, al condannato, risultato irreperibile. Su questa base è stato ritenuto
che fosse stato ritualmente emesso il decreto di irreperibilità del 22 ottobre
2016, decreto poi notificato al Chavez Chamorro presso il difensore che lo aveva
assistito nella fase del giudizio. L’ulteriore effetto trattone è che, non essendo
seguita alcuna istanza ex art. 656 cod. proc. pen., era stato correttamente
revocato il decreto di sospensione, con conseguente disposizione di carcerazione
del condannato, disposizione poi eseguita il 14 gennaio 2017.
Sul punto dell’effettuazione delle ricerche, il giudice dell’esecuzione ha

Corso Re Umberto, n. 143, come si era verificato anche nel verbale del 9
dicembre 2016, alla luce anche dell’annotazione attestante l’errore meramente
materiale dell’indicazione contenuta nel decreto di irreperibilità: il fatto poi che le
ricerche fossero state effettuate anche presso il civico 147 del medesimo Corso
Re Umberto non era sufficiente a far ritenere le stesse non esaustive, risultando
da entrambi i verbali che dette ricerche erano state svolte presso il civico 143
dove la persona risultava completamente sconosciuta.
In questa prospettiva, per il Tribunale, non ha assunto rilievo la mancata
attività di ricerca presso l’indirizzo di Collegno, Corso Francia, n. 67, trattandosi
di residenza anagrafica cessata nella risalente epoca del 27 febbraio 2012, sì che
esso costituiva accertamento di oggettiva impraticabilità, mentre le ricerche
nemmeno avrebbero dovuto essere estese all’indirizzo di Torino, Via Carisio, n.
5, relativo a dimora temporanea non comunicata all’Autorità procedente nelle
forme di legge, né all’ente territoriale competente per le iscrizioni nei registri
anagrafici.

3. Va poi rilevato che il compito del giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art.
670 cod. proc. pen., di accertare se sussista l’esecutività del titolo valutata anche
nel merito l’osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del
condannato è da intendersi riferito soltanto alle eventuali irregolarità riguardanti
la dichiarazione di irreperibilità emessa dopo la pronuncia della sentenza e quindi
potenzialmente idonee ad impedire il passaggio in giudicato della medesima, con
esclusione, pertanto, di altre irregolarità concernenti l’irreperibilità dichiarata nel
corso del procedimento di cognizione (Sez. 1, n. 42831 del 21/02/2017, Qu
Xiulan, n. m.). Tale specificazione si armonizza coerentemente con il principio
secondo cui, in materia di incidente di esecuzione, il giudice deve limitare il
proprio accertamento alla regolarità, formale e sostanziale del titolo su cui si
fonda l’esecuzione e non può attribuire rilievo alle nullità eventualmente
verificatesi nel corso del processo di cognizione in epoca precedente al passaggio
in giudicato della sentenza (Sez. 1, n. 5880 del 11/12/2013, dep. 2014, Amore,

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osservato che esse erano state regolarmente effettuate all’indirizzo di Torino,

Rv. 258765). Di conseguenza, le stesse questioni relative alla validità o meno del
decreto di latitanza o alla validità o meno dell’elezione di domicilio sollevare in
sede di incidente di esecuzione sono reputate rilevanti in sede esecutiva soltanto
nella misura in cui abbiano potuto determinare l’invalidità della notificazione
dell’estratto contumaciale, che non subisce alcuna preclusione collegata al
giudicato: ciò, nei processi con riferimento ai quali (in relazione alle modificazioni
ordinamentali introdotte dalla legge n. 67 del 2014) l’istituto della contumacia è
ancora rilevante (Sez. 1, n. 7430 del 17/01/2017, Canalini, Rv. 269228).

decreto emesso dal Pubblico ministero il 22 ottobre 2016, dopo l’emissione da
parte sua di ordine di esecuzione di pena detentiva con contestuale decreto di
sospensione ed è stata finalizzata a rendere possibile la notificazione prescritta
dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. al fine di determinare la decorrenza del
termine di trenta giorni stabilito per la formulazione da parte dell’interessato
dell’istanza delle misure alternative alla detenzione: invero, dalla valida
notificazione dei summenzionati provvedimenti al condannato ed anche al
difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio la suddetta norma ricollega
l’effetto dell’utile decorrenza del termine di presentazione della domanda di
misura alternativa, la quale costituisce atto di impulso del procedimento di
sorveglianza.
A sua volta, la consumazione di tale termine, senza la formulazione di
alcuna istanza (al pari della reiezione da parte del giudice competente
dell’eventuale istanza), genera il potere-dovere del Pubblico ministero di
emettere la revoca del decreto di sospensione, ai sensi dell’art. 656, comma 8,
cod. proc. pen.
3.2. Nel caso di specie, il Pubblico ministero ha emesso, Con atto del 25
novembre 2016, la revoca del precedente decreto di sospensione, così
riattivando l’esecuzione, sull’espresso presupposto che il Chavez Chamorro non
aveva presentato istanza di misura alternativa nel termine dalla notifica del
decreto di sospensione, pur dopo la notificazione effettuata all’irreperibile.
Nello snodo indicato, dunque, la verifica della validità della dichiarazione di
irreperibilità di cui decreto del P.m. in data 22 ottobre 2016 si è palesata
decisiva, soltanto dalla verifica positiva del relativo atto potendo discendere la
conferma dell’effettiva decorrenza del termine per la proposizione dell’istanza di
misure alternative, dalla cui consunzione dipende il valido esercizio del potere di
revoca della sospensione in atto.
3.3. Sul tema è necessario, allora, ribadire il principio di diritto secondo cui,
ai fini dell’emissione del decreto di irreperibilità, le ricerche vanno eseguite
cumulativamente, e non alternativamente o parzialmente, in tutti i luoghi indicati

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3.1. Nel caso in esame, la dichiarazione di irreperibilità è intervenuta con

dall’art. 159 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 6010 del 07/12/2016, dep. 2017,
Radosavljevic, n. m.; Sez. 2, n. 15674 del 02/03/2016, Drago, Rv. 266442); ciò,
impregiudicata anche l’effettuazione di ricerche – al di là dei luoghi esplicitati
dalla disposizione – in luoghi ulteriori, come si desume dall’avverbio
“particolarmente” riferito ai luoghi canonici), dovendo desumersi che a quei
luoghi specificamente menzionati deve essere accordata preferenza, ma non
anche che ad essi debba essere circoscritta necessariamente la ricerca del
destinatario della notifica, restando impregiudicata la possibilità di estenderla

destinatario in tutti quei luoghi dove, per conoscenze od informazioni
oggettivamente confluite nel procedimento, sia ragionevolmente presumibile egli
possa essere reperito.

4. Assunte tali premesse, la motivazione posta dal giudice dell’esecuzione
alla base della valutazione di adeguatezza delle ricerche svolte dal Pubblico
ministero procedente in via propedeutica all’emissione del decreto di irreperibilità
appare carente e contraddittoria.
4.1. Anzitutto, con riferimento al luogo in cui il Chavez Chamorro era
indicato come residente nel decreto di sospensione, ossia Torino, al Corso Re
Umberto, n. 143, non risulta chiarito in modo specifico e persuasivo che la
verifica sia stata effettivamente compiuta nelle ricerche vanamente svolte, come
da verbale del 30 settembre 2016 dalla Commissariato P.S. S. Secondo di
Torino, in quanto alla segnalazione che all’indirizzo di Corso Re Umberto, n. 143,
il Chavez era risultato sconosciuto è seguita la specificazione che il 28 settembre
2016 era stato effettuato controllo da parte del personale all’indirizzo di Corso Re
Umberto, n. 147. Il Tribunale ha sostenuto il carattere cumulativo delle verifiche
(ossia ai due civici, quello indicativo della residenza inserita nell’atto, e quello
ritenuto aggiuntivo) ed ha richiamato l’altro controllo, quello risultante dal
verbale (successivo al decreto di irreperibilità) del 9 dicembre 2016.
Tuttavia, la denuncia del ricorrente, circa il fatto che il contenuto di questo
atto risulta pedissequamente corrispondente a quello dell’atto precedente con il
duplice, ma non chiarificatore, richiamo ai due diversi indirizzi, risulta
corroborata dall’esame del relativo documento, risultando il secondo verbale del
tutto reiterativo del primo.
Al riguardo le giustificazioni fornite dall’ordinanza impugnata si profilano,
quindi, insufficienti e non dirimenti circa l’effettiva verifica dell’assenza di
riferimenti al Chavez Chamorro al sito corretto, quello contrassegnato dal civico
143 della via succitata.
4.2. Del tutto carente, poi, si profila la motivazione resa in ordine alla

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altrove, la ratio della norma essendo quella di assicurare un’effettiva ricerca del

mancata effettuazione delle ricerche all’ultima residenza anagrafica risultata
inerente alla posizione del Chavez Chamorro, pure individuato dal verbale del 30
settembre 2016 in Collegno, al Corso Francia, n. 67.
Esso è stato ritenuto impraticabile in senso oggettivo, sulla base – si deve
supporre – dell’unico rilievo che la residenza aveva avuto corso sino al 27
febbraio 2012..
Epperò, questo anodino riferimento all’epoca decorsa, senza alcuna altra
puntualizzazione, non si profila aver concretato discorso adeguato a dimostrare

nel luogo di ultima residenza anagrafica (tenuto conto anche delle informazioni
che dalle ricerche avrebbero potuto scaturire), non essendo, di conseguenza,
sufficiente a colmare la rilevata crisi motivazionale il mero richiamo alla
condivisibile precisazione scaturente dal consolidato indirizzo di legittimità
secondo cui l’obbligo di effettuare nuove ricerche nei luoghi indicati dall’art. 159
cod. proc. pen. è condizionato all’oggettiva praticabilità degli accertamenti, che
rappresenta il limite logico di ogni garanzia processuale (Sez. 2, n. 39329 del
31/05/2016, Ciobataru, Rv. 268304, in fattispecie nella quale le ricerche
effettivamente compiute erano proprio quelle nell’ultima residenza anagrafica, e
non le successive, reputate in concreto ultronee).
4.3. In definitiva, le sole ricerche a cui il giudice dell’esecuzione, nel
controllo del decreto di irreperibilità, ha fatto riferimento per ritenere integrata la
fattispecie regolata dall’art. 159 cod. proc. pen. si risolvono in quelle vanamente
praticate all’indirizzo indicato nello stesso decreto di sospensione, senza che sia
però emersa dal discorso giustificativo sopra analizzato alcuna satisfattiva, anche
sotto il profilo logico, certezza che (anche) il sito relativo numero civico a cui le
ricerche avrebbero dovuto far capo (quello n. 143 del Corso Re Umberto di
Torino) sia stato effettivamente verificato, senza, poi, l’emersione di adeguata
motivazione in ordine all’avvenuta effettuazione, o alla verifica di oggettiva
impraticabilità quale limite logico della garanzia processuale, delle ulteriori
ricerche dovute ex art. 159 cod. proc. pen.

5. Il vizio della motivazione così emerso impone, di conseguenza,
l’annullamento dell’ordinanza impugnata – naturalmente, con esclusivo riguardo
all’oggetto dell’impugnazione, ossia al rigetto dell’istanza di declaratoria

di

inefficacia dell’ordine di carcerazione – con rinvio al Tribunale di Torino per
nuovo esame del punto che tenga conto dei principi di diritto testé affermati.

P.Q.M.

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l’oggettiva impraticabilità per la polizia giudiziaria di effettuare la dovuta verifica

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Torino per nuovo
esame.
Così deciso il 21 novembre 2017

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