Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18162 del 05/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18162 Anno 2015
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CHINE’ ROSARIO N. IL 30/01/1954
avverso la sentenza n. 41/2013 TRIBUNALE di MESSINA, del
18/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per sii
Lo

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Udito, per la parte civile, l’Avv

L

UdithiklifensoreAvv. 4h JKgito LU

Data Udienza: 05/03/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Messina, con sentenza del 18 novembre 2013, ha
confermato la sentenza del Giudice di pace di Taormina del 15 luglio 2011 ed ha
mantenuta ferma la condanna di Chinè Rosario per il delitto di ingiurie aggravate

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a
mezzo del proprio difensore, lamentandone, quale unico motivo, il difetto di
motivazione e il travisamento della prova in ordine all’affermazione della propria
penale responsabilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Come ribadito costantemente da questa Corte, pur dopo la nuova
formulazione dell’articolo 606 cod.proc.pen., lett. e), novellato dalla Legge 20
febbraio 2006, n. 46, articolo 8, il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso
giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la
motivazione della pronunzia:
a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a
rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione
adottata;
b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi
punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori
nell’applicazione delle regole della logica;
c)

non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da

insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute;
d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” in
termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente
siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del
giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle
responsabilità, nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più
persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.
1

in danno di Di Bartolo Giovanni.

Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno
non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che, per essere
obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica
spiegazione, siano in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di
fondare il convincimento del Giudice e di consentirne la rappresentazione, in
termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del

Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla
persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e
internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti
del processo”.
Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi, anche a fronte di
una pluralità di deduzioni connesse a diversi “atti del processo” e di una correlata
pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione, di carattere necessariamente
unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza
della “resistenza” logica del ragionamento del Giudice.
Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di
merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa.
Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo
Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale
dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei
provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di
intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito dal Giudice per giungere alla decisione.
3. Orbene, nel caso di specie ed in fatto, non si ravvisa alcuna manifesta
illogicità nella motivazione del Giudice del merito, avendo, da un lato, il
giudicante perfettamente risposto alle asserzioni defensionali dell’imputato ed
avendo, d’altra parte, operato una ricostruzione del fatto del tutto logica.
Giova ribadire, inoltre e in punto di diritto, come in tema di ricorso per
cassazione, quando ci si trovi dinanzi a una “doppia pronuncia conforme” e cioè a
una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di
condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento possa essere
rilevato in sede di legittimità, ex articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e),
2

provvedimento.

solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che
l’argomento probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta
introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di
secondo grado (v. Cass. Sez. IV 10 febbraio 2009 n. 20395).
Di converso, nel caso in esame, il Giudice dell’impugnazione ha esaminato
il medesimo materiale probatorio di prime cure giungendo alle medesime

A ciò si aggiunga come l’intero ricorso sia teso alla ricostruzione dei fatti
di causa secondo tesi del tutto personali, che non valgono ad inficiare il logico e
corretto argomentare dei Giudici del merito.
Il relativo motivo si sostanzia in una indebita rivisitazione delle risultanze
probatorie sulla pretesa inaffidabilità delle dichiarazioni della parte offesa, perchè
non è possibile più svolgere tale attività avanti questa Corte di legittimità;
trattasi inoltre di doglianza che, per un verso, passa del tutto sotto silenzio la pur
esistente motivazione offerta sul punto dal Giudice del merito che ha riscontrato
le suddette dichiarazioni con quelle della teste Nicotra e del teste Barbagallo e,
per altro verso, non vale a scalfire la granitica giurisprudenza di questa Corte in
tema; il giudicante ha correttamente applicato la costante giurisprudenza di
legittimità sul punto secondo la quale le regole, dettate dall’articolo 192, comma
terzo cod.proc.pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le
quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata
da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e
dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere
più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni
di qualsiasi testimone (v. da ultimo, Cass. Sez. Un. 19 luglio 2012 n. 41461).
4. Per quel che concerne, infine, il significato da attribuire alla locuzione
“oltre ogni ragionevole dubbio”, già adoperata dalla giurisprudenza di questa
Corte Suprema (v. per tutte, Cass. Sez. Un. 10 luglio 2002 n. 30328) e
successivamente recepita nel testo novellato dell’articolo 533 cod.proc.pen.
quale parametro cui conformare la valutazione inerente all’affermazione di
responsabilità dell’imputato, è opportuno evidenziare che, al di là dell’icastica
espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il
principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza e la cultura della
prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale; si
è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione
meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il
3

conclusioni del Giudice a quo.

”ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava pur sempre
il proscioglimento a norma dell’articolo 530 cod.proc.pen., comma 2, sicché non
si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova
rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito
il principio, immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario,
secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza

H 9 novembre 2012 n. 7035).
Certezza che i Giudici a quo hanno logicamente espresso, sottraendo la
loro motivazione, pertanto, al lamentato vizio di legittimità.
5. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e il ricorrente
condannato al pagamento delle spese processuali e a una somma di denaro in
favore della Cassa delle Ammende, che appare equo determinare nella misura di
euro 1.000,00.
P.T.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 5 febbraio 2015.

processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (v. da ultimo, Cass. Sez.

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