Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18150 del 23/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 18150 Anno 2018
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: FIORDALISI DOMENICO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TUNDO MAURO nato il 20/06/1955 a BOLOGNA

avverso la sentenza del 26/10/2016 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ROBERTO
ANIELLO
che ha concluso per
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’ del ricorso.
Udito il difensore
E’ presente l’avvocato COLLIVA FRANCESCO PAOLO del foro di BOLOGNA in
difesa delle parti civili LUPPI SILVIA e MOSTI FABIO che conclude come da
conclusioni scritte che deposita insieme alla nota spese.
E’ presente l’avvocato ZAMBELLI SIMONE del foro di BOLOGNA in difesa di
TUNDO MAURO che conclude riportandosi ai motivi chiedendone l’accoglimento.

Data Udienza: 23/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1.

Tundo Mauro veniva imputato a) del delitto di cui all’art. 61 n. 2 cod.

pen., agli artt. 12 e 14 legge 14 ottobre 1974 n. 497 per aver portato una pistola
Walter P 99, al fine di farne uso, fuori della propria abitazione, dove era detenuta
illegalmente dalla propria convivente Bacchetti Lucia e b) del delitto previsto
dagli artt. 81 e 612 ultimo comma cod. pen., per aver minacciato gravemente
Luppi Silvia e Mosti Fabio, mentre questi passeggiavano in un tratto di bosco di

predetti “adesso avete dei problemi? Tornate a casa vostra”. A Vergato in località
Torre Calvezzano il 31.12.2008.
1.1. Il Tribunale di Bologna, sez. Distaccata di Porretta Terme, aveva assolto
l’imputato con la sentenza n. 20/2012 in data 22/02/2012, ritenendo che la
credibilità della teste d’accusa Luppi Silvia fosse minata dal fatto di aver atteso
un’ora prima di sporgere denuncia, nonostante la gravità del fatto subito e non
potendo escludersi che le parti lese avessero appreso per altra via circa la
presenza della pistola presso l’abitazione di Lucia Bacchetti convivente
dell’imputato.
1.2. La Corte di appello di Bologna con sentenza del 26/10/2016, accogliendo
l’appello del pubblico ministero, del Procuratore generale e delle parti civili,
invece, ha condannato il Tundo alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed
euro 4.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese di entrambi i gradi di
giudizio ed al risarcimento del danno in favore delle parti civili, liquidate in euro
5000,00 per ciascuna parte e spese processuali in favore delle stesse.
La Corte di merito, dopo aver rinnovato l’istruttoria dibattimentale, ha ritenuto
che il primo giudice avesse fondato l’assoluzione su congetture, perché
l’esistenza di controversie tra il padre della Luppi Silvia ed il Tundo non inficia
automaticamente l’attendibilità di quest’ultima e men che meno quella del Mosti
Fabio, stante le descrizioni molto dettagliate rese da Luppi e Mosti, che
presupponeva la visione diretta della pistola, e in relazione alle quali il
rinvenimento dell’arma costituiva formidabile riscontro.
L’assenza di intenti calunniosi delle persone offese e la loro attendibilità è stata
ritenuta fondata sul fatto che, pur potendo aggravare la posizione dell’imputato,
le stesse dichiaravano che l’imputato non aveva mai puntato l’arma, ma che
l’aveva solo impugnata, limitandosi a tenerla lungo il braccio.
Era impensabile che il Maresciallo russo avesse “suggerito” ai denuncianti le
caratteristiche dell’arma; ed era anzi improbabile, che lui stesso ne ricordasse le
particolari caratteristiche evidenziate. Assolutamente inverosimile, nel

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cui il Tundo pretendeva di essere proprietario, esibendo la pistola e dicendo ai

complesso, era la tesi che sulle dichiarazioni delle persone offese avessero
potuto incidere intenti calunniosi o complottistici di alcuno.
Il leggero ritardo con cui era stata sporta denuncia era perfettamente
comprensibile e giustificato dallo stato di preoccupazione della donna di cui
aveva parlato a dibattimento anche il teste Mosti, che – benché fidanzato con lei
— risultava teste estraneo e perfettamente credibile

2.

Premettendo di rinunciare alla prescrizione, il Tundo ricorre chiedendo

via subordinata l’annullamento della sentenza, nella parte relativa al trattamento
sanzionatorio per la rideterminazione nel minimo edittale della pena, con
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Col primo motivo, deduce la mancanza e la manifesta illogicità della
motivazione (ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.) risultante dal testo
del provvedimento impugnato e dagli atti allegati al ricorso, in ordine alla prova
che l’imputato abbia commesso il fatto.
In particolare, il Tundo chiede l’annullamento della sentenza di appello che,
in riforma di quella assolutoria, ha affermato la responsabilità dell’imputato sulla
base di un’interpretazione alternativa, ma non maggiormente persuasiva, dei
medesimo compendio probatorio utilizzato in primo grado, essendo stata omessa
la valutazione di elementi che evidenziavano l’inattendibilità dei testi persone
offese, pertanto vi sarebbe un vizio di motivazione della sentenza di condanna.

3.

Denuncia, altresì, quale ulteriore vizio di legittimità della sentenza

impugnata che le persone offese già conoscessero il contenuto della prima delle
due memorie depositate dalla difesa dell’imputato.
3.1.

Il Tribunale aveva indicato tre elementi che avrebbero introdotto nella

vicenda elementi di opacità tali da non poter pervenire all’affermazione della
responsabilità.
La conflittualità preesistente tra l’imputato ed il padre di Silvia Luppi.
La tempistica degli eventi.
Lo stato di agitazione di Silvia Lippi.
Sul punto della conflittualità, era stato assodato il buon rapporto tra Gilberto
Luppi ed il Comandante della Stazione Carabinieri di Vergato Mar. Rossitto, che
aveva annullato una richiesta di intervento dei Carabinieri, dopo aver ricevuto
una telefonata dal Luppi, che era uno di quelli che aveva richiesto l’intervento del
Luppi.
Il profilo principale dedotto dalla difesa nel giudizio di appello, sul quale la
Corte non avrebbe assolto il suo obbligo di motivazione, è la tensione tra la

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l’annullamento della sentenza di appello, l’assoluzione dai reati ascrittigli ed in

Bacchetti ed il Mar. Rossitto. La Corte di appello, infatti, non avrebbe colto il
punto essenziale che era stata invitata a focalizzare ed ha definito pretestuosa la
tesi fondata sulla pregressa tensione tra la Bacchetti e il Maresciallo Rossitto. Al
contrario, il pregresso rapporto tra Mar. Rossitto e Luppi avrebbe potuto spiegare
il motivo per il quale tutta la famiglia Luppi fosse a conoscenza della pistola della
Bacchetti.
La Corte di appello avrebbe fatto riferimento in sentenza alla tesi del
“complotto calunnioso”, attribuendola alla stessa difesa dell’imputato, per poi

dell’imputato.
Al contrario, tale tesi non sarebbe mai stata rappresentata dalla difesa
dell’imputato.
3.2. La Corte, inoltre, avrebbe fatto cattivo uso delle massime di esperienza,
circa la spontanea dichiarazione resa dall’imputato al momento del controllo
amministrativo delle armi, la sera del 31 dicembre 2008, quando avrebbe chiesto
ai Carabinieri se il controllo fosse legato a quanto accaduto nel pomeriggio; frase
che sarebbe stata considerata come una excusatio non petita e che sarebbe
stata illogica se il Tundo, al momento dell’incontro pomeridiano con le persone
offese, si fosse limitato ad estrarre un telefonino e non la pistola come
dichiarato. Tale dichiarazione era stata considerata dai giudici come un riscontro
del fatto che il Tundo fosse consapevole della gravità di quanto aveva fatto quel
giorno, in palese violazione ai limiti di utilizzabilità posti dall’art. 350 cod. proc.
pen.
3.3. Il ricorrente critica, inoltre, la ricostruzione cronologica degli eventi operata
dalla Corte di merito: il ritardo della denuncia che era stato considerato di
particolare importanza dalla sentenza di primo grado, mentre sarebbe stato
qualificato come “tempo per la riflessione” nella sentenza di appello, sicché
questa avrebbe introdotto una circostanza mai riferita dalle persone offese.
I giudici avrebbero quindi redatto una motivazione apparente su tale
aspetto, perché nella querela l’episodio oggetto del processo era stato indicato
come avvenuto tra le ore 14,30 e le 15,00 e poi era stato confermato con tali
riferimenti temporali nell’udienza di primo grado, mentre in appello le persone
offese avrebbero aggiunto che poteva essere passata anche un’ora dal momento
in cui erano usciti (le ore 14), con un’indicazione assolutamente nuova rispetto a
quanto indicato in denuncia.
Nello stesso modo, il tempo di percorrenza tra casa Luppi e il luogo ove i due
avrebbero ricevuto la minaccia era stato indicato nel giudizio di primo grado in
15/20 minuti, mentre in appello in 20/30 minuti: modifica che
contrassegnerebbe entrambe le dichiarazioni delle persone offese, volte a

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ritenerla infondata e deducendone, quale conseguenza, la responsabilità

giustificare le incongruenze; sicché tali circostanze non dovrebbero essere
valutate quali elementi dotati di efficacia persuasiva tale da scardinare la
sentenza di assoluzione di primo grado.
3.4. Nel corso del dibattimento, altra incongruenza sarebbe rappresentata dalle
dichiarazioni dei testi sull’atteggiamento e sul comportamento dei cani, che
dapprima erano stati indicati come vicini al padrone Mauro Tundo e poi
sarebbero finiti, invece, per scorazzare nel prato e potrebbero non aver percepito
un reale diverbio, perché il Tundo era alterato, ma non gesticolava in modo

3.5. Infine, le testimonianze rinnovate in appello, in realtà, avrebbero indebolito
il quadro accusatorio, perché oggetto del processo non sarebbe stata la prova
della volontà calunniosa dei querelanti, bensì la prova della responsabilità
dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio.

4. Col secondo motivo, il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea
applicazione della legge penale (ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen.,
nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606
corna 1 lett. e) cod. proc. pen., in relazione al mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche ed alla quantificazione della pena in generale, determinata
in misura eccessiva, nonché mancanza di motivazione, in ordine alla
commisurazione della pena in generale, determinata in misura eccessiva.
Sotto questo profilo, sul convincimento dei giudici avrebbe influito una
dichiarazione spontanea dell’imputato, ritenuta erroneamente falsa circa la
regolare tenuta del porto d’armi, mentre in realtà al Pubblico ministero di primo
grado il Tundo aveva risposto di avere il porto d’armi, intendendo il porto d’armi
ad uso sportivo.
Venendo, allora, alle argomentazioni svolte ai fini della determinazione della
pena e della mancata concessione delle attenuanti generiche, la Corte avrebbe
valorizzato la precedente condanna per il delitto di diffamazione riportata
dall’imputato, che ne svelerebbe l’indole arrogante ed aggressiva.
La Corte sarebbe tornata, quindi, sul tema del complotto quando, invece, il
Tundo si era limitato a inferire che nel lasso temporale tra il fatto e la denuncia
(due ore) i denuncianti astrattamente avrebbero potuto concordare di
testimoniare poi un fatto non vero.
Da ultimo, in considerazione del buon comportamento processuale, del tempo
trascorso e della non significatività delinquenziale dell’episodio pregresso, la
pena avrebbe dovuto essere determinata nel minimo edittale, con la concessione
delle attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della
pena.

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inconsulto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Rileva il Collegio che tutte le questioni probatorie sollevate dal ricorrente nel
primo motivo del ricorso appaiono, sotto ogni profilo, una ricostruzione
alternativa – inammissibile in questa sede – della vicenda, mediante l’attribuzione
di un diverso peso e una differente rilevanza alle singole prove acquisite in
istruttoria e con il definitivo svolgimento di una valutazione complessiva di
inattendibilità dei testimoni di accusa.
Al contrario, il Collegio ritiene che lo scrutinio svolto nella sentenza

impugnata dal giudice di appello sia ampio ed approfondito, abbracciando ogni
singolo elemento offerto dalle parti ed emergente da un’accurata attività
istruttoria, opportunamente rinnovata mediante un nuovo esame delle persone
offese, all’esito del quale la diversa valutazione circa la loro attendibilità su cui
riposano le differenti conclusioni in punto di responsabilità raggiunta dalla Corte
di appello appaiono, in fatto e in diritto, ineccepibili.
Il punto fondamentale valorizzato correttamente dalla Corte di merito si
incentra sull’univoca indicazione delle caratteristiche dell’arma descritta
separatamente dai testi e corrispondente alla realtà, sicché giustamente i giudici
hanno dedotto l’attendibilità dei testi, che non avrebbero potuto giungere alla
conoscenza di tali dettagli se non osservandoli e memorizzandoli al momento del
fatto. La diversa possibile fonte di conoscenza degli stessi dettagli attraverso le
ipotesi avanzate dall’imputato è rimasta non ..c~:pchigzamzgl2e dimostrata e, di
conseguenza, in modo ineccepibile, tale percorso probatorio è stato giudicato
negativamente dalla Corte di merito.
Il fulcro della prova d’accusa consiste, quindi, nella testimonianza delle persone
offese, le quali al di là di lievi differenze su aspetti non essenziali tra il primo ed il
secondo grado del giudizio, sono complessivamente concordanti e coerenti con
gli altri elementi istruttori emersi, e trovano riscontro nel ritrovamento dell’arma,
nelle dichiarazioni del teste Musti, in quanto riferito dai verbalizzanti, la cui
genuinità e attendibilità non può essere posta in discussione sulla base di mere
allusioni.
1.2.

Sul punto del lieve ritardo nella proposizione della querela, sono

assolutamente logiche le considerazioni della Corte di merito circa il limitato
lasso temporale intercorso dal fatto e la possibile causale dello stesso,
supportata dalle dichiarazioni del Mosti e legata al consueto momento di
riflessione che ogni persona offesa normalmente prende prima di compiere un
atto così importante, sicché anche una eventuale lieve discrasia tra la versione
data inizialmente, rispetto a quella fornita nel corso del giudizio di appello, non

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1.1.

può assumere rilevanza tale – in questa sede – da inficiare il giudizio svolto dai
giudici di merito sulla loro attendibilità complessiva delle fonti di accusa.
1.3.

Quanto alle dichiarazioni spontanee rese dal Tundo, in occasione del

controllo amministrativo delle armi, il Collegio osserva che la motivazione sulla
loro utilizzabilità in dibattimento appare effettivamente errata, per come dedotto
dal ricorrente, stante il fatto che il controllo amministrativo delle armi è avvenuto
subito dopo la denuncia-querela, sicché ai sensi dell’art. 350 cod. proc. pen., le
stesse dichiarazioni possono essere utilizzate per il prosieguo delle indagini, ma

caso di specie.
Pertanto, la censura del ricorrente appare fondata in punto di diritto, ma il
Collegio rileva che la sentenza, a questo proposito, presenta un’ulteriore parte di
motivazione, che non è stata oggetto di censura da parte del ricorrente, relativa
alla circostanza che tali dichiarazioni non sono di fatto influenti sulla decisione
finale adottata, sicché la questione dell’inutilizzabilità di tali dichiarazioni finisce
per risultare irrilevante ed ininfluente sull’esito della decisione.
1.4. Le altre considerazioni sul tipo di reazione dei cani accanto al Tundo al
momento del fatto appaiono completamente marginali ed opinabili stante il tipo
di descrizione dei fatti operata dai testi, secondo la sentenza di condanna, e
comunque si tratta di situazioni non adeguatamente dimostrate e di certo
irrilevanti in sede di legittimità.
1.5.

Tutte le altre questioni sollevate dal ricorrente sono a contenuto

meramente confutativo ed appaiono avere ad oggetto solo questioni di merito
esposte, per di più, in modo non autosufficiente (sono citati stralci di
dichiarazioni dibattimentali) e sono quindi inammissibili, a fronte della
motivazione, rafforzata e sotto ogni aspetto esaustiva, offerta dalla Corte di
appello a ragione del dissenso espresso rispetto alle opposte considerazioni che
sostenevano l’assoluzione in primo grado, e alle quali il ricorso fa, nella sostanza,
richiamo, senza neppure adeguatamente confrontarsi con le ineccepibili contrarie
argomentazioni della sentenza impugnata.

2.

Quanto al trattamento sanzionatorio, rileva il Collegio che correttamente

la Corte di merito ha richiamato non solo la precedente condanna subita
dall’imputato, ma la relativa incidenza sulla capacità a delinquere per la
situazione specifica che lo stesso comportamento processuale tenuto dimostrava.
E’ evidente che la valutazione svolta e della quale la Corte di merito dà conto
nella motivazione della sentenza assorbe ogni altra considerazione sulla
possibilità di concessione delle attenuanti generiche: argomento del quale il

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non possono assurgere a prova in sede di giudizio ordinario, come è accaduto nel

difensore non ha nemmeno fatto cenno nella memoria presentata in appello ed
allegata al ricorso.
La commisurazione complessiva della pena e l’aumento per la continuazione
sono avvenute in modo adeguato alla gravità del fatto ed agli altri indici di cui
all’art. 133 cod. pen.
La Corte, infine, con evidente equilibrio ha già ritenuto di concedere al
condannato la sospensione condizionale della pena (richiesta al termine del
ricorso).

tutti i vizi dedotti dal ricorrente.

3.

Alle considerazioni sopra esposte, consegue l’inammissibilità del ricorso e

la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento
delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle
ammende di una somma determinata, equamente, in Euro 2000,00, tenuto
conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia
proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”. (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
4.

Alle parti civili devono essere liquidate, come in dispositivo, le spese

sostenute in questo grado del giudizio, in ragione delle questioni trattate e
dell’attività processuale svolta indicata nella nota spesa in atti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende, nonché alla rifusione, in favore delle parti civili Luppi Silvia e Mosti
Fabio, delle spese sostenute nel grado, che liquida in complessivi euro 4.200,00
per onorari, otre accessori spese generali, Iva e Cpa) come per legge.

Così deciso il 23/01/2018.

Il ragionamento svolto sul piano sanzionatorio, pertanto, appare immune da

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