Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18142 del 06/04/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18142 Anno 2018
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: BORRELLI PAOLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PICCOLO ACHILLE nato il 28/04/1975 a MARCIANISE

avverso il decreto del 23/06/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
sentita la relazione svolta dal Consigliere PAOLA BORRELLI;
lette le conclusioni del Sost. Procuratore generale DELIA CARDIA, che ha chiesto
dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto depositato il 15 luglio 2016, la Corte di appello di Napoli ha
confermato il decreto applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza
speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza emesso dal Tribunale
di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di Achille Piccolo.
2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione il proposto a
mezzo del difensore di fiducia Avv. Angelo Raucci, deducendo violazione di legge
per mancanza di motivazione e vizio di motivazione in ordine al requisito della
pericolosità sociale del proposto.
3. Il Sost. Procuratore generale DELIA CARDIA, ha chiesto dichiararsi
l’inammissibilità del ricorso, rimarcando gli indici della persistenza della
pericolosità sociale, sia quelli personali del proposto (in particolare quanto ai

Data Udienza: 06/04/2018

gravi episodi accaduti in carcere), sia quelli relativi al contesto in cui egli
potrebbe reinserirsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
1.1. E’ ius receptum che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per
Cassazione, secondo il disposto dell’art. 10, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011

della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, è ammesso soltanto per violazione di
legge. Questa Corte ha, infatti, statuito che sono escluse dal novero dei vizi
deducibili in sede di legittimità le ipotesi previste dall’art. 606, comma 1, lett. e)
cod. proc. pen., potendosi soltanto denunciare, ai sensi della lett. c) dello stesso
articolo, la motivazione inesistente o meramente apparente, integrante la
violazione dell’obbligo, imposto dall’art. 7 d.lgs. richiamato, di provvedere con
decreto motivato, ossia la motivazione priva dei requisiti minimi di coerenza, di
completezza e di logicità, nonché la motivazione assolutamente inidonea a
rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, oppure, ancora,
quella caratterizzata da argomentazioni talmente scoordinate e carenti da far
risultare oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione della misura (Sez.
U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 6, n. 50128 del
11/11/2016, Aguì, Rv. 268215; Sez. 6, n. 35240 del 27/06/2013, Cardone e
altro, Rv. 256263).
E’ poi evidente che, al pari di ogni altra questione dedotta dinanzi a questa
Corte, le doglianze in materia di misure di prevenzione non possono attingere il
merito della res iudicanda.
E’ per questo che il ricorso sub iudice va, in primo luogo, depurato non solo
da tutte quelle considerazioni che presupporrebbero una valutazione della
motivazione del provvedimento impugnato, ma anche da quelle che
importerebbero una nuova delibazione sulla consistenza dimostrativa del
materiale presente nel fascicolo della prevenzione o di quello citato dalla difesa
al fine di ricavarne autonomamente considerazioni in punto di pericolosità — in
particolare sull’attuale esistenza del clan Piccolo — precluse al Giudice di
legittimità.
2. Fatta questa premessa, ci si deve confrontare con l’evoluzione più recente
della giurisprudenza di questa Corte, al fine di verificare se l’impostazione della
Corte partenopea sia corretta. L’attuale assetto della giurisprudenza, nel cui
ambito assumono valenza centrale la recentissima — successiva al

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n. 159, che ripete sul punto la previsione di cui all’art. 4, penultimo comma,

provvedimento impugnato — Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018,
Gattuso, Rv. 271511 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 291 del 6
dicembre 2013, ha individuato come essenziale la verifica dell’attualità della
pericolosità sociale nel momento in cui la misura viene applicata, sia quando
l’esecuzione del decreto di primo grado si collochi all’indomani della sua
emissione, sia quando, a causa di un periodo di detenzione intercorso, ciò
avvenga a distanza di tempo.
Le Sezioni Unite, in particolare, hanno statuito che, ai fini dell’applicazione di

tipo mafioso, è necessario accertare il requisito dell’attualità della pericolosità del
proposto e che, solo nel caso in cui sussistano elementi sintomatici di una
“partecipazione” del proposto al sodalizio mafioso (per tale intendendosi una
stabile compenetrazione nella consorteria), è possibile applicare la presunzione
semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo, purché la sua validità sia
verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e
la stessa non sia posta quale unico fondamento dell’accertamento di attualità
della pericolosità.
Peraltro, nel caso sub iudice, va altresì tenuto conto di un altro dato che
determina — teoricamente — una cesura importante nella vicinanza del soggetto
all’ambiente criminale di riferimento, vale a dire lo stato di detenzione, già
ritenuto da questa Corte come idoneo a determinare una soluzione di continuità
nella pericolosità perché normalmente tendente alla risocializzazione, sì da
rafforzare il dovere argomentativo del Giudice della prevenzione in punto di
attualità della pericolosità (oltre alla già richiamata Corte Cost. n. 291 del 6
dicembre 2013, si vedano Sez. 6, n. 53157 del 11/11/2016, Camerlingo, Rv.
268518; Sez. 6, n. 46292 del 09/10/2014, Cursaro, Rv. 261012).
Se ne può ricavare un quadro che vede il Giudice della prevenzione gravato
da un onere motivazionale specifico che tenga conto della portata proiettiva degli
indici di pericolosità, ma anche di ogni altro elemento — tra cui assumono
valenza prioritaria il decorso del tempo e lo stato detentivo — che possa aver
inciso sullo slancio delinquenziale del soggetto sì da eliderne la pericolosità; solo
nel caso di soggetto partecipe a consorterie criminali, l’onere motivazionale è
agevolato da una presunzione semplice di stabilità del vincolo associativo.
3. Orbene, nel caso di specie, i giudici della prevenzione hanno evidenziato
che Piccolo era stato condannato con sentenze irrevocabili per la partecipazione
al clan Piccolo (di cui era «dirigente») e per estorsioni commesse fino al 2006,
che era stato da allora detenuto, ma che vi erano «assai negative relazioni sul
comportamento del Piccolo in corso di detenzione inframuraria», espressione che

sintetizza quanto più dettagliatamente aveva illustrato il Tribunale nel

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misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di

provvedimento di primo grado, laddove aveva ricostruito gli indicatori —
descrivendo specifici episodi — della permanenza dell’atteggiamento
delinquenziale ad onta della restrizione carceraria. La Corte di appello aveva poi
sottolineato la circostanza che il clan Piccolo-Letizia si era di recente
riorganizzato sul territorio grazie alle difficoltà di quello storicamente
contrapposto.
I primi due dati non sono affrontati nel ricorso, che in effetti si confronta
solo con la questione dell’esistenza attuale del clan Piccolo, muovendo — come

disposizione estranea ai poteri della Corte di cassazione. Nel contempo i dati
predetti, ad onta del tempo trascorso dall’ultima estrinsecazione delinquenziale,
testimoniano l’attualità della pericolosità, sia per il contegno tenuto nel corso
della detenzione dal proposto — che evidenzia il fallimento del trattamento
risocializzante —, sia per la concreta possibilità che egli continui ad operare nel
clan di appartenenza, per essere lo stesso ancora attivo.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 06/04/2018.
Il Presidente

Il Consigliere estensore

n Paola orrelli

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Depositato in C
Roma,

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già si è detto — critiche che imporrebbero una rivalutazione del materiale a

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