Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18136 del 01/04/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18136 Anno 2015
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FAVUZZA UMBERTO N. IL 10/01/1979
avverso l’ordinanza n. 2303/2014 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
27/12/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
tresentite le conclusioni del PG Dott.

Aldo Policastro, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;
Udito il difensore, Avv. Mario Luciano Brancato, che ha
concluso per l’annullamento della sentenza impugnata;

dicht i difensor

N

Data Udienza: 01/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Catania, in funzione di giudice del riesame, con ordinanza
emessa in data 27/12/2014, ha confermato il provvedimento del Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Siracusa, che il 1/12/2014 aveva
applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di Favuzza
Umberto, indagato del delitto di cui agli artt.81, cod. pen., 73 e 80 d.P.R. 9
ottobre 1990, n.309. L’ipotesi accusatoria, secondo quanto si legge

drammatico suicidio in Vittoria del minore Marco Di Martino, divenuto negli ultimi
mesi assuntore di cocaina e, verosimilmente, anche spacciatore di sostanza
stupefacente fornitagli da Favuzza Umberto; i rapporti con quest’ultimo si
sarebbero deteriorati a seguito del debito di 950 euro che il ragazzo aveva
contratto nei confronti dell’indagato ed a causa delle pressioni esercitate dal
Favuzza per recuperare la somma dovutagli.

2. Umberto Favuzza propone ricorso per cassazione censurando l’ordinanza
impugnata con unico, articolato, motivo per inosservanza o erronea applicazione
della legge penale, mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Il
ricorrente deduce l’assoluta carenza di indizi e la mancanza del percorso logico
argomentativo seguito dai decidenti sia con riguardo alla gravità indiziaria sia per
ciò che concerne la valutazione delle esigenze cautelari. Le accuse mosse non
sarebbero supportate, si assume, da un adeguato quadro probatorio,
rinvenendosi esclusivo riferimento alle dichiarazioni di due conoscenti del Di
Martino, che hanno fornito due diverse versioni dei fatti nell’immediatezza ed a
distanza di un mese dal suicidio; il Tribunale avrebbe trascurato le
argomentazioni della difesa ed avrebbe confermato la gravità indiziaria in
assenza di intercettazioni, sequestri, indizi circa l’approvvigionamento dello
stupefacente, contatti del Favuzza con eventuali assuntori, versamenti di somme
sul suo conto corrente. Le dichiarazioni contraddittorie rese da Massimiliano
Giannone e da Salvatore Ribaudo, per essere ritenute credibili, avrebbero dovuto
essere precise e coerenti, non dettate da rancore o vendetta, dall’intento di
coprire complici o amici o dalla volontà di compiacere Forze dell’ordine o il
rappresentante dell’accusa, mentre secondo il ricorrente nessuna di tali
condizioni sarebbe stata raggiunta, difettando peraltro elementi estrinseci alle
dichiarazioni rese dal Giannone e dal Ribaldo, non corroborate da quelle rese da
Gabriele Calabrese e da Mattia Freddoso né dalla prova dell’entità del principio
attivo contenuto nella sostanza destinata allo spaccio ed essendo il tono dei
messaggi scambiati tra il Di Martino ed il Favuzza scherzoso e colloquiale. L’unica

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nell’ordinanza impugnata, era emersa nel corso delle indagini relative al

cifra risultante da tali messaggi sarebbe la somma di cinquanta euro chiesta dal
Favuzza dicendo . Il Tribunale, si assume, avrebbe dovuto motivare i mancati riscontri
all’asserita attività di spaccio. Con riguardo alle esigenze cautelari, nel ricorso si
lamenta carenza di motivazione in quanto l’ordinanza contiene esclusivo
riferimento alla commissione di delitti della stessa specie senza indicare l’epoca
di commissione né la gravità dei fatti, omettendo di prendere in considerazione

non avrebbe avuto i problemi economici che lo avevano portato a chiudere il bar,
anche per i debiti non pagati contratti dagli avventori. Nell’ordinanza sarebbe
stata erroneamente indicata la commissione di reati della stessa specie, laddove
il Favuzza non ha mai spacciato cocaina e l’unico episodio risalente a circa 13
anni fa riguarda la detenzione di hashish.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. E’ anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di sindacabilità
da parte della Corte di Cassazione dei provvedimenti adottati dal giudice del
riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.
2.1. Secondo l’orientamento della Corte, che il Collegio condivide e reputa
attuale anche all’esito delle modifiche normative che hanno interessato l’art.606
cod.proc.pen. (cui l’art. 311 cod. proc.pen. implicitamente rinvia), in tema di
misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione,
vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in
ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta
il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità
e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato
adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità
del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della
motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie.
2.2. Si è anche precisato che la richiesta di riesame, mezzo di
impugnazione, sia pure atipico, ha la specifica funzione di sottoporre a controllo
la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali indicati

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la personalità dell’agente e trascurando che se il Favuzza avesse spacciato eroina

nell’art. 292 cod. proc.pen. ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità
del provvedimento coercitivo: ciò premesso, si è evidenziato che la motivazione
della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve
essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di
cui all’art. 546 cod.proc.pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare
contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove ma su indizi, e
tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata
probabilità di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828;

29/05/2013, Tiana, Rv. 255460; Sez. 4, n.22500 del 3/05/2007, Terranova, Rv.
237012).
2.3. Si è, più recentemente, osservato, sempre in tema di impugnazione
delle misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione è ammissibile
soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la
manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della
logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che
riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione
delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 5, n. 46124 del
8/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez.6, n. 11194 del 8/03/2012, Lupo, Rv.
252178).
2.4. Il controllo di legittimità non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei
fatti e sono inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la
motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle
circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi in sede di legittimità
accertare unicamente se gli elementi di fatto siano corrispondenti alla previsione
della norma incriminatrice. Non superano, dunque, il vaglio di ammissibilità
perché risultano inidonee a scardinare la congruità della motivazione del
provvedimento impugnato le deduzioni volte ad evidenziare la diversa versione
dei fatti fornita da alcuni amici del minore suicida immediatamente dopo il fatto e
a distanza di poco più di un mese, ove si ponga mente alla circostanza che
nell’ordinanza del Tribunale del riesame sono state indicate le informazioni rese
da altri amici del Di Martino, nonchè le conversazioni intercorse tra l’indagato
Favuzza ed il De Martino mediante sms, quali riscontri alle dichiarazioni di
Giannone Giuseppe e Ribaldo Salvatore. Nell’ordinanza si rinviene, peraltro,
specifica analisi della tesi difensiva finalizzata a ricondurre le richieste di
pagamento provenienti dal Favuzza ad un debito per consumazioni effettuate dal
ragazzo presso il bar da lui gestito, ritenendola inadeguata a confutare la gravità
indiziaria in precedenza esposta, contrastando su tale punto con il testo del
provvedimento il lamentato vizio di carenza di motivazione.

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conforme, dopo la novella dell’art. 606 cod.proc.pen., Sez. 4, n. 26992 del

3. Il Collegio è consapevole del fatto che, con riguardo alla determinazione
dei parametri che devono orientare l’interprete nella materia regolata
dall’art.273 cod.proc.pen. ai fini dell’emissione di ordinanze che dispongono
misure coercitive, la giurisprudenza di questa Corte è divisa: a) l’orientamento
tradizionale (Sez. 6, n. 7793 del 05/02/2013, Rossi, Rv. 255053; Sez. 4, n.
37878 del 6/07/2007, Cuccaro, Rv. 237475; Sez. V, n.36079 del 5/06/2012,
Fracassi, Rv. 253511) ritiene che, ai fini dell’applicazione delle misure cautelari,
anche dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 63 del 2001, deve ritenersi

1-bis, cod.proc.pen. (introdotto dalla legge citata) richiama espressamente il
terzo ed il quarto comma dell’art. 192, ma non anche il secondo comma (che
prescrive la valutazione della precisione e della concordanza, accanto alla
gravità, degli indizi): ne consegue che, in sede di giudizio

de líbertate, la

valutazione degli indizi non va operata secondo i parametri richiesti ai fini
dell’affermazione di responsabilità all’esito del giudizio di cognizione; b) due
recenti pronunce di questa Sezione (Sez. 4, n. 31448 del 18/07/2013, Ficara,
Rv. 257781Sez. 4, n. 40061 del 21/06/2012, Tritella, Rv. 253723) hanno, in
senso contrario, ritenuto che, ai fini dell’applicabilità di misure cautelari personali
per valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in caso di presenza di
‘prove’ indirette, è necessario utilizzare anche il canone posto dall’art. 192,
comma 2, cod.proc.pen., laddove prevede che gli indizi debbano essere plurimi,
precisi e concordanti; ne consegue che, in assenza della pluralità e concordanza
degli indizi, la discrezionalità valutativa del giudice non può esercitarsi in quanto
difetta della certezza del fatto da cui trarre il convincimento. (In motivazione, si
è precisato che il mancato richiamo del comma secondo del citato art. 192 non
rileva a fini interpretativi, in quanto il codice di rito, nell’esigere l’esistenza di
gravi indizi di colpevolezza ai fini dell’adozione di una misura cautelare, non può
che richiamare tale disposizione che, oltre a codificare una regola di
inutilizzabilità, costituisce un canone di prudenza nella valutazione della
probabilità di colpevolezza necessaria per esercitare il potere cautelare).
3.1. Ritiene, tuttavia, il Collegio di dover ribadire nel caso in esame
l’orientamento tradizionale, per l’ineludibilità del richiamo, da parte dell’art. 273,
comma 2, cod.proc.pen., dei soli commi 3 e 4 dell’art. 192 cod.proc.pen., in
ossequio al consolidato canone di interpretazione ubi lex voluit dixit, ubi noluít
tacuit. I gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273 cod.proc.pen. non
corrispondono agli che l’art. 192, comma 2, cod.proc.pen. considera
quali possibili elementi di prova, idonei a fondare, all’esito del giudizio di
cognizione, un giudizio finale di colpevolezza soltanto se connotati da particolari
caratteristiche (gravità, precisione e concordanza). Al contrario, ai fini

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sufficiente il requisito della sola gravità degli indizi, posto che l’art. 273, comma

dell’emissione di una misura cautelare, deve ritenersi sufficiente ; ciò vale anche dopo
le modifiche introdotte dalla legge 1 marzo 2001, n. 63, all’esito delle quali,
nell’ambito del subprocedimento cautelare è tuttora necessario il solo requisito
della gravità, poiché l’art. 273, comma 1,cod.proc.pen. (introdotto dalla citata
legge) richiama espressamente i soli commi 3 e 4 dell’art. 192 cod.proc.pen.,
non anche il comma 2 (Sez. 6, n. 7793 del 05/02/2013, Rossi, Rv. 255053; Sez.

15/03/2013, Ruga, Rv. 256731; Sez. 2, n. 20104 dell’11/02/2003, Panaro, n.m.
sul punto).
3.2. Il diverso regime trova evidente giustificazione nella diversità
dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata ad un giudizio prognostico in
termini di ragionevole ed alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a
quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in
ordine alla colpevolezza dell’imputato (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006,
Spennato, Rv. 234598).

4. Quanto alla doglianza in merito all’insussistenza di indizi a carico del
ricorrente della condotta di cessione a terzi della sostanza stupefacente, dal
testo dell’ordinanza impugnata risulta che gli elementi indiziari raccolti nei
confronti del ricorrente consistono nelle dichiarazioni rese da alcuni amici e
conoscenti di Marco Di Martino, che hanno riferito che il ragazzo era diventato
negli ultimi mesi assuntore di cocaina e riforniva anche altri giovani con droga
vendutagli da persona indicata come ‘Umberto’ da alcuni, ed individuata in
Favuzza Umberto da altri; da tali dichiarazioni si era appreso, altresì, che i
rapporti tra il ragazzo ed Umberto Favuzza si erano deteriorati a causa del debito
di euro 950,00 contratto dal Di Martino verso il fornitore, che aveva esercitato
pressioni per recuperare la somma, intimorendo il ragazzo; lo stesso indagato
aveva raccontato che il 20 agosto 2014 aveva incontrato il ragazzo e che ne era
nata una lite, a seguito della quale il Di Martino aveva trattenuto il cellulare del
ricorrente, allontanandosi da solo e quindi, evidentemente in preda allo
sconforto, si era sparato al volto. Il Tribunale ha ritenuto che la convergenza
delle dichiarazioni dei testimoni avesse trovato elementi di conferma in una serie
di sms reciproci tra il minore ed il Favuzza, che dimostravano la pressione
esercitata da quest’ultimo al fine di recuperare il proprio credito. Nell’ordinanza si
rinviene (pag.2) compiuta replica anche alle deduzioni difensive volte a mettere
in luce la contraddittorietà delle versioni fornite da alcuni testimoni
nell’immediatezza del fatto e qualche tempo dopo.
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4, n. 18589 del 14/02/2013, Superbo, Rv. 255928; Sez. 2, n. 26764 del

5.

Contrariamente a quanto indicato nel ricorso, dunque, dall’ordinanza

impugnata emerge che il Tribunale del riesame ha fondato la conferma
dell’ordinanza di custodia cautelare su una serie di indizi costituiti da
informazioni testimoniali, dichiarazioni rese dall’indagato, contenuto di
comunicazioni telefoniche tramite sms, argomentando sulla base di quali
emergenze indiziarie non fosse credibile quanto dichiarato Favuzza a sua difesa.
Con motivazione esauriente, logica, non contraddittoria, come tale esente da vizi
rilevabili in questa sede, oltre che in difetto delle ipotizzate violazioni di legge – il

gravità indiziaria in relazione al reato ipotizzato. Va ricordato che, per
consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, la condotta
di illecita cessione di sostanza stupefacente può essere accertata anche in
assenza di atti di sequestro della sostanza, potendosi conseguentemente
argomentare la gravità del quadro indiziario sulla base di prove testimoniali,
comunicazioni telefoniche ed altri elementi dai quali si possa risalire all’ipotesi
accusatoria (Sez. 6, n. 5073 del 19/12/2013, dep.2014, Attanasio, Rv. 258523;
Sez. 4, n. 46299 del 28/10/2005, Secchi, Rv. 232826; Sez. 6, n. 1028 del
10/03/1994, Russo, Rv. 198825; circa la prova della natura stupefacente di una
sostanza, Sez. 5, n. 5130 del 04/11/2010, dep. 2011, Moltoni, Rv. 249703).
Deve, peraltro, chiarirsi, che la valutazione del peso probatorio degli indizi è
compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione
può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza,
completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa,
le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono, come
detto, nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già
esaminate dal giudice, spettando alla Corte di legittimità il solo compito di
verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni
che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez.
2, n.26764 del 15/03/2013, Ruga, Rv. 256731; Sez. 4, n.26992 del 29/05/2013,
Tiana, Rv. 255460).

6.

Palesemente infondata risulta la censura concernente l’omessa

valutazione delle esigenze cautelari, che il Tribunale ha esplicitato sia con
riguardo alla natura delle esigenze, sia con riferimento all’adeguatezza della
misura applicata. In particolare, nel provvedimento impugnato si è fatto
riferimento alla gravità della reiterata cessione di sostanza stupefacente ad un

Tribunale ha nel complesso desunto la sussistenza del necessario quadro di

ragazzo minorenne ed alla vita anteatta dell’indagato, già attinto da un
precedente specifico, ritenendosi necessaria la misura degli arresti domiciliari al
fine di limitarne la libertà di movimento, oltre che i contatti con soggetti esterni.
A ciò si aggiunga che, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, il precedente
specifico richiamato nell’ordinanza concerne condotta di detenzione e cessione di
sostanza stupefacente.

7. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; il rigetto del ricorso

pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 1/04/2015

comporta, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al

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