Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18130 del 09/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18130 Anno 2018
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CATANZARO
DI LEO MARIA STEFANIA nato il 21/08/1976 a LAMEZIA TERME

avverso il decreto del 15/03/2017 della CORTE APPELLO di CATANZARO
sentita la relazione svolta dal Consigliere ROBERTO AMATORE;
lette/sentite le conclusioni del PG

Udito il difensore

Data Udienza: 09/02/2018

lette le conclusioni della Procura Generale presso la Corte di Cassazione che, nella persona del
Sostituto Procuratore Dott. Pasquale Fimiani, ha chiesto l’annullamento del provvedimento
impugnato con rinvio ;

RITENUTO IN FATTO
1.Con il decreto impugnato la Corte di Appello di Catanzaro, in integrale riforma del
provvedimento emesso dal Tribunale di Catanzaro – Sezione misure di prevenzione ( che aveva

immobili siti nel Comune di Lamezia Terme ed intestati a Torcasio Domenico ( proposto ) e a
Di Leo Maria Stefania ( terza interessata ).
Il Tribunale di Catanzaro aveva negato rilevanza agli elementi nuovi addotti dalla difesa
dell’odierna parte terza interessata a base della richiesta di revisione avanzata ai sensi dell’art.
7, 2 comma, I. 1423/1956, vertendosi invero in ipotesi regolata dalla disciplina antecedente
alla introduzione dell’art. 28 del d.lgs. 159/2011. Più in particolare, il Tribunale predetto aveva
ritenuto che gli elementi di novità probatoria introdotti con l’istanza di revisione, e cioè la
questione dell’asserito impiego delle somme ricevute dal Torcasio a titolo di riparazione per
ingiusta detenzione per la realizzazione e costruzione degli edifici oggetto del provvedimento
ablativo contestato, avessero già formato oggetto di valutazione nel precedente procedimento,
conclusosi con pronuncia irrevocabile in ordine alla impugnata confisca. Peraltro, il Tribunale,
condividendo le valutazioni già espresse dalla Corte di Appello di Catanzaro nel decreto emesso
in data 28 settembre 2012, ribadiva anche la non riconducibilità della realizzazione degli
immobili in questione a fondi di lecita provenienza nella disponibilità dei coniugi Torcasio.
La Corte di appello nel provvedimento qui impugnato – dopo aver ribadito il principio di
revocabilità del provvedimento di confisca per invalidità genetica ( e ciò sulla base sia di nuove
prove sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione sia di prove non
acquisite nel precedente procedimento ovvero anche acquisite ma non valutate neanche
implicitamente con la sola esclusione delle prove dichiarate inammissibili ovvero giudicate
superflue, principi fissati negli importanti arresti giurisprudenziali delle Sezioni Unite Auddino e
Pisano ) — ha ritenuto che la documentazione bancaria posta a sostegno della istanza di revoca
fosse da considerarsi un quid novi, atteso che la stessa non era stata presa in considerazione
dai primi giudici che avevano ritenuto dirimente la mancanza di prova da parte della terza
interessata in ordine alla proprietà dei beni e alla proporzione dei redditi familiari rispetto ai
beni confiscati, e ciò sulla base della considerazione che le somme percepite dal Torcasio per la
ingiusta detenzione fossero state solo genericamente allegate ( senza, cioè, l’indicazione
specifica dei flussi finanziari per come indirizzati alla costruzione degli edifici ) e, comunque,
non erano da considerarsi sufficienti.
Sulla base del fatto che gli estratti conto bancari non erano stati oggetto di valutazione da
parte dei giudici della prevenzione, la Corte territoriale riteneva la predetta prova documentale

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dichiarato l’inammissibilità della istanza di revoca ), ha disposto la revoca della confisca degli

ammissibile ai fini della revoca del provvedimento di confisca ed anche idonea a dimostrare la
provenienza lecita dei fondi utilizzati per la costruzione dei predetti edifici.
Avverso il menzionato decreto ricorre sia la Procura Generale distrettuale sia l’AGENZIA
NAZIONALE PER L’AMMINISTRAZIONE E LA DESTINAZIONE DEI BENI SEQUESTRATI E
CONFISCATI ALLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA, per il tramite dell’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo la riforma del provvedimento impugnato.
1.1 Denunzia il ricorrente P.G., con il primo ed unico motivo di doglianza, violazione di legge in
1423/1956.
Sostiene la parte ricorrente che la documentazione bancaria posta alla base della istanza di
revisione non poteva considerarsi prova nuova atteso che la questio facti relativa all’impiego
delle somme lecitamente percepite dal Torcasio come indennizzo per ingiusta detenzione era
stata già oggetto di espressa valutazione da parte dei primi giudici investititi dell’esame della
misura di prevenzione patrimoniale, i quali giudici avevano ritenuto che le somme così
percepite non potessero essere sufficienti alla edificazione degli immobili oggetto di confisca e
che, comunque, anche considerando tale introito, vi era una evidente sproporzione tra redditi
percepiti dalla famiglia Torcasio e valore dei beni immobili oggetto di ablazione.
Si eccepiva, inoltre, che la valutazione del giudice impugnato in ordine alla valenza
dimostrativa di tale novità documentale era in realtà stata espressa con argomentazioni
generiche, che non evidenziavano la direzione dei flussi finanziari ( provenienti dal predetto
indennizzo lecitamente acquisto ) verso le spese necessarie alla costruzione degli edifici
confiscati.
Si evidenzia, ancora, che non era stata neanche superata, nella motivazione impugnata, la
questione, pur rilevante e ritenuta decisiva dai primi giudici, della insufficienza delle risorse
legittimamente acquisite per la realizzazione dei fabbricati, così evidenziandosi la non decisività
della prova nuova posta alla base dell’istanza di revisione.
2. Ricorre anche la AGENZIA NAZIONALE PER L’AMMINISTRAZIONE E LA DESTINAZIONE DEI
BENI SEQUESTRATI E CONFISCATI ALLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA, adducendo due motivi
di doglianza.
2.1 Con il primo si denunzia violazione di legge processuale stabilita a pena di nullità in
relazione all’art. 127, 1 e 5 comma, cod. proc. pen..
Si evidenzia che l’Agenzia era parte necessaria del procedimento di revoca introdotto con la
istanza ex art. 2, 2 comma, I. 1423/56, con la conseguenza che la mancata comunicazione
dell’avviso di udienza alla agenzia determinava – come avvenuto nel caso di specie – la nullità
dell’intero procedimento.
2.2 Con il secondo motivo si denunzia violazione di legge penale.
Si evidenzia che la produzione della documentazione bancaria sulla cui base era fondata la
istanza di revisione poteva esser ben prodotta dalla parte interessata nel procedimento di
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relazione al combinato disposto degli artt. 2 ter, comma 3, I. 575/1965 ed art. 7, comma 2, I.

prevenzione e che, pertanto, non rientrava nel concetto di prova nuova utile alla revoca del
provvedimento quella comunque deducibile e non dedotta nel precedente giudizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato per le ragioni qui di seguito precisate.
3.1 Occorre ricordare, in primis, i principi affermati nelle sentenze Auddino e Pisano.
È stato affermato che il provvedimento di confisca deliberato ai sensi dell’art. 2-ter, comma

a norma dell’art. 7, comma secondo, L. 27 dicembre 1956 n. 1423 (misure di prevenzione nei
confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), allorché sia
affetto da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo
il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario, non ostando al
relativo riconoscimento l’irreversibilità dell’ablazione determinatasi, che non esclude la
possibilità della restituzione del bene confiscato all’avente diritto o forme comunque riparatorie
della

perdita

patrimoniale

da

lui

ingiustificatamente

subita

(Sez. U, Sentenza n. 57 del 19/12/2006 Cc. (dep. 08/01/2007 ) Rv. 234955, Auddino ).
In termini più generali, è stato altresì precisato dalla giurisprudenza di questa Corte che, in
tema di revisione, per prove nuove rilevanti a norma dell’art.630 lett. c) cod. proc. pen. ai fini
dell’ammissibilità della relativa istanza devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla
sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle
non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche
implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal
giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di
quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del
condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario
(Sez. U, Sentenza n. 624 del 26/09/2001 Ud. (dep. 09/01/2002) Rv. 220443, Pisano).
3.1.1 Al fine di ricostruire la ratio applicativa dell’istituto invocato, basterà dunque ricordare
brevemente la ragione e la portata della decisione delle SS.UU., sopra ricordata, n. 57 del
19/12/2006 ( dep. 2007 ), Auddino, la quale intervenne a reinterpretare l’istituto della revoca
delle misure di prevenzione di cui all’art. 7 comma secondo, L. 27 dicembre 1956 n. 1423
(misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la 2
pubblica moralità), revoca in origine prevista solo per quelle personali e resa, per via
interpretativa, applicabile, in funzione di revisione, anche a quelle patrimoniali, onde riparare
la lesione al diritto di proprietà, quale bene costituzionalmente protetto.
Ebbene la sentenza Auddino effettivamente affermò che andava perseguito lo scopo di
riconoscere la legittimità della richiesta di revoca

ex tunc della misura di prevenzione

patrimoniale, in ragione di una invalidità genetica del provvedimento, e che la relativa ratio come sopra accennato – era quella di porre rimedio ad un possibile errore giudiziario.

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terzo, L. 31 maggio 1975 n. 575 (disposizioni contro la mafia) è suscettibile di revoca “ex tunc”

In quei limiti le SSUU ritennero utilizzabile l’art. 7, secondo comma, anche in relazione alla
misura prevista dall’art. 2 ter, terzo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575,
identificandosi nella revoca in esame un mezzo predisposto dal legislatore per adempiere
all’obbligo riparatorio prefigurato dall’ultimo comma dell’art. 24 della Costituzione. Ancora, le
SS.UU. in quella circostanza riconobbero che la richiesta di rimozione del provvedimento
definitivo dovesse muoversi nello stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui agli artt.
630 e ss. cod. proc. pen., con postulazione, dunque, di prove nuove sopravvenute alla

procedimento di prevenzione o in esso deducibili” e giudicando esplicitamente, tali anche
“quelle non valutate nemmeno implicitamente”, secondo un approdo ormai raggiunto in tema
di elaborazione delle condizioni per la revisione in generale, da S.U., 26 settembre 2001,
Pisano ( anch’essa sopra ricordata ).
Gli elementi dedotti dovevano essere diretti, nella utilizzazione dell’art. 7, a dimostrare
l’insussistenza di uno o più dei presupposti del provvedimento reale e pertanto in primo luogo
la pericolosità del proposto, ma anche, unitamente o separatamente, la disponibilità diretta o
indiretta del bene in capo al proposto medesimo, il valore sproporzionato della cosa al reddito
dichiarato o all’attività economica svolta, il frutto di attività illecite o il reimpiego di profitti
illeciti.
Va aggiunto che i richiamati principi non risultano invero univoci alla luce della successiva
giurisprudenza, con riferimento all’impiego dello strumento dell’art. 7, essendosi espresse, da
ultimo, in contrasto fra loro da un lato Sez. 5, n. 148 del 04/11/2015 (dep. 2016 ), Baratta,
Rv. 265922, e dall’altro, Sez. 6, Sentenza n. 44609 del 06/10/2015 Cc. (dep. 04/11/2015 )
Rv. 265081.
Ed invero, la prima ha riaffermato come, in tema di misure di prevenzione, la revoca per
difetto genetico dei presupposti di adozione possa disporsi in presenza di “elementi nuovi”, non
necessariamente sopravvenuti, purché mai valutati nel corso del procedimento di prevenzione,
stante il carattere di rimedio straordinario dell’istituto che non può, pertanto, trasformarsi in
un anomalo strumento di impugnazione.
Per la seconda, la “prova nuova”, rilevante ai fini della revoca “ex tunc” della misura di
prevenzione in quanto suscettibile di mutare radicalmente i termini della valutazione a suo
tempo operata, è solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di
prevenzione e non anche quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non dedotta, nell’ambito di
esso.
Deve aggiungersi che, peraltro, con la introduzione dell’art. 28 del d. Igs. n. 159 del 2011 (non
applicabile, ratione temporis, al caso di specie, ma qui richiamato per finalità meramente
ricostruttive e descrittive del sistema di impugnazioni straordinarie ), il panorama normativo di
riferimento è stato innovato, con la conseguenza che lo “strumentario” ermeneutico fin qui
ricordato si rivela non più in toto aderente al nuovo status dell’istituto azionato.

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conclusione del procedimento, escludendo dal relativo novero “gli elementi già considerati nel

Va infatti notato che l’art. 28 cit., a differenza dell’abrogato art. 7, comma 2, I. n. 123 del
1956 che disciplinava genericamente la revoca della misura di prevenzione, è stato rubricato
dal legislatore del 2011 (il quale è intervenuto con l’intento di colmare un vuoto normativo e,
verosimilmente, di offrire criteri fermi ad una giurisprudenza non sempre univoca) come
“revocazione” della confisca, sicché può dirsi che la scelta della rubrica costituisca un inedito
riferimento all’istituto della revocazione di cui all’art. 395 cod. proc. civ., e comunque la
manifestazione di una volontà di “mutatio libelli” ( così si esprime,

In questo nuovo quadro normativo ( qui solo richiamato per completezza di indagine ), il
riferimento indicato nella rubrica della nuova norma non può, d’altra parte, ritenersi soltanto
nominalistico dal momento che il collegamento con la disciplina del codice di procedura civile si
arricchisce sul piano della sostanza, dovendosi osservare che l’art. 395 ammette alla
revocazione, tra gli altri casi, quello in cui “dopo la sentenza sono stati trovati uno o più
documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza
maggiore…omissis”: una locuzione che rende evidente la volontà di sindacare e scoraggiare i
comportamenti negligenti o tattici dell’interessato e si riflette in quella dell’art. 28, comma 1,
lett. a cit., ove si prevede la revocazione “in caso di scoperta di prove nuove decisive,
sopravvenute alla conclusione del procedimento”.
Sul punto, va osservato che, a parte ontologiche differenze tra i due istituti ( che restano
dovute alla natura dispositiva della azione civile e alla sua diffidenza per la prova dichiarativa )
è interessante notare che in entrambi i casi la disciplina positiva indica come imprescindibile,
oltre al requisito della “decisivita’ ” della prova nuova, quello della “scoperta di essa dopo
l’adozione del provvedimento conclusivo da revocare” ( così, sempre
Sez. 5, Sentenza n. 28628 del 24/03/2017 Cc. (dep. 08/06/2017 ) Rv. 270238, Di Giorgio ).
Orbene, occorre ricordare che la norma processualcivilistica viene interpretata dalla
giurisprudenza nel senso che la prova nuova che legittima alla revocazione è quella
documentale e solo preesistente alla decisione impugnata riferita a tale disciplina, che la parte
non abbia potuto a suo tempo produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario,
e che sia stata recuperata solo successivamente a tale decisione (Sez. 3, Sentenza n. 3362 del
4 20/02/2015 (Rv. 634645 – 01); Sez. 6 -, Ordinanza n. 20587 del 13/10/2015 (Rv. 637376 01); una esegesi che, tuttavia, potrebbe cooperare alla interpretazione, oggi, dell’art. 28 la cui
lettera rimanda in modo chiaro alle prove che “sono scoperte dopo” oltre a quelle che sono
“sopravvenute” alla conclusione del procedimento: l’una espressione, cioè, deve intendersi che,
nell’ottica della prevenzione a differenza che in quella processual-civilistica, si aggiunga e
rafforzi l’altra con la necessaria integrazione interpretativa di carattere logicosistematico, in
base alla quale, ai fini della revocazione della confisca di prevenzione, la necessità della
“scoperta” successiva – oggi in modo netto rispetto al passato, e cioè nel nuovo quadro
normativo ( non applicabile, tuttavia, al caso di specie ) – implica la incompatibilità di tale
situazione con quella di un precedente atteggiamento meramente omissivo nella allegazione
6

Sez. 5, Sentenza n. 28628 del 24/03/2017 Cc. (dep. 08/06/2017 ) Rv. 270238, Di Giorgio ).

degli elementi, da parte dell’interessato, nel procedimento concluso con provvedimento di cui,
in seguito, si richiede la revocazione.
In conclusione, va osservato che la giurisprudenza di questa Corte si sta orientando ( così, di
nuovo

è

d’obbligo

il

richiamo

a

Sez. 5, Sentenza n. 28628 del 24/03/2017 Cc. (dep. 08/06/2017 ) Rv. 270238, Di Giorgio )
nel senso di una esegesi restrittiva dell’istituto rispetto a quella accreditata prima del 2011, e
ciò nel senso che la revocazione della confisca di prevenzione è legittimata dall’art. 28 ( e per

sub iudice ) , dalle sole prove decisive che siano scoperte dopo che la misura sia divenuta
definitiva (essendo dunque pre-esistenti) e che siano ad essa sopravvenute (sia nel senso della
scoperta che nel senso della formazione), a tanto indirizzando anche il disposto dell’art. 28
comma 3 il quale, a differenza di quanto ritenuto da una parte della giurisprudenza in
riferimento all’art. 7 cit., non lascia l’interessato libero di far valere, quando ritenga, la prova
decisiva non dedotta e non valutata in precedenza.
Ritiene questo Collegio che l’excursus sopra riportato risulta utile, in una esegesi prospettica
dell’art. 7 cit., per risolvere il contrasto, in parte registrato sul punto qui in esame, dalla
giurisprudenza di questa Corte.
3.1.2 Da un lato, è stato espressamente affermato che in tema di misure di prevenzione, la
revoca per difetto genetico dei presupposti di adozione può disporsi in presenza di “elementi
nuovi”, non necessariamente sopravvenuti purché mai valutati nel corso del procedimento di
prevenzione, stante il carattere di rimedio straordinario dell’istituto che non può, pertanto,
trasformarsi in un anomalo strumento di impugnazione (Sez. 5, n. 148 del 04/11/2015 (dep.
2016 ), Baratta, Rv. 265922 ).
3.1.3 Dall’altro, si è invece precisato che la “prova nuova”, rilevante ai fini della revoca “ex
tunc” della misura di prevenzione in quanto suscettibile di mutare radicalmente i termini della
valutazione a suo tempo operata, è solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del
procedimento di prevenzione e non anche quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non
dedotta,

nell’ambito

di

esso

(Sez. 6, Sentenza n. 44609 del 06/10/2015 Cc. (dep. 04/11/2015 ) Rv. 265081 ).
3.1.4 Ritiene il Collegio di dover aderire a questa seconda opzione esegetica tra quelle da
ultimo ricordate, e ciò anche in relazione al nuovo quadro normativo delineato dal legislatore
del 2011 in riferimento proprio al nuovo istituto regolato dal sopra richiamato art. 28 d.lgs.
159/2011 che, pur non essendo applicabile, ratione temporis al caso di specie, fornisce un
importante spunto interpretativo diretto a chiarire la ratio applicativa dell’istituto.
In realtà, la prova nuova non può consistere in un qualsiasi elemento favorevole, il quale
finirebbe per trasformare un istituto che ha il carattere di rimedio straordinario in una non
consentita forma di impugnazione tardiva (Sez. 2, n. 41507 del 24/09/2013, Auddino e altro,
Rv. 257334).

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le procedure che sottostanno a tale normativa, e non dunque – si ripete ancora – quella oggi

Peraltro, va chiarito che, sul piano più strettamente processuale, costituisce ‘prova nuova’ solo
quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione e non anche
quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non dedotta, nell’ambito di esso (Sez. 2, n. 11818
del 07/12/2012, Ercolano e altro, Rv. 255530).
3.2 Ciò posto, occorre evidenziare come, nella fattispecie concreta qui in esame, la “prova
nuova” sia costituita dalla documentazione bancaria attestante i flussi finanziari provenienti dal
conto su cui sarebbe stato riversato, secondo la prospettiva difensiva, l’indennizzo per ingiusta

costruzione degli immobili oggetto della misura ablativa.
3.2.1 In realtà, la questione da ultimo riferita era stata allegata dalle difese nel corso del
procedimento di prevenzione ed era stata, peraltro, esaminata dallo stesso Tribunale che,
tuttavia, l’aveva superata con due ordine di argomentazioni.
Da un lato, era stato affermato che le somme ottenute con il predetto indennizzo erano,
comunque, insufficienti per la realizzazione degli immobili confiscati e che, inoltre, non vi era
proporzione tra redditi dichiarati e valore dei menzionati beni immobili ( era stato anche
precisato che la perizia di parte allegata non era attendibile in quanto il valore di mercato degli
immobili era ben maggiore del valore di stima peritale ).
Dall’altro, era stato osservato, in quella sede giudiziale, che non erano stati allegati gli estratti
conto da parte degli interessati e dunque la parte era venuta meno al suo obbligo di
allegazione e di prova in relazione alla dimostrazione della destinazione dell’indennizzo
lecitamente conseguito alla realizzazione e costruzione dei beni oggetto del provvedimento
ablativo.
3.2.2 Sul punto, non può dunque non concordarsi con la doglianza sollevata dagli odierni
ricorrenti nei confronti del provvedimento di revoca della confisca, atteso che la
documentazione allegata ( e peraltro solo genericamente esaminata dalla Corte di appello )
ben avrebbe potuto essere dedotta già nel corso del primo procedimento diretto ad accertare
la legittimità della misura di prevenzione e non può dunque essere considerata come “prova
nuova” deducibile in sede di procedimento di revoca ex art. 7 cit..
3.2.1.1 Deve pertanto essere affermato il principio (al quale dovrà attenersi il giudice di rinvio)
secondo cui in sede di richiesta di revisione avanzata ai sensi dell’art. 7, 2 comma, I.
1423/1956, la “prova nuova”, rilevante ai fini della revoca “ex tunc” della misura di
prevenzione in quanto suscettibile di mutare radicalmente i termini della valutazione a suo
tempo operata, è solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di
prevenzione e non anche quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non dedotta, nell’ambito di
esso.
L’accoglimento della sopra riferita censura assorbe l’esame degli ulteriori punti di doglianza.
Si impone pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato per un nuovo esame che
tenga conto del principio di diritto sopra affermato.

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detenzione ottenuto dal proposto ed utilizzato, sempre secondo la detta prospettiva, per la

In sede di rinvio dovrà essere convocata anche l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la
destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata che ha partecipato al
giudizio di revoca ex art. 7 cit..

P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di
Appello di Catanzaro.

Così deciso in Roma, il 9.2.2018

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