Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18128 del 13/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 18128 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1. ELISEO MICHELA, nata il 09/09/1930;
2.

D’ANGELO GIUSEPPE nato il 28/01/1951;

contro l’ordinanza del 03/11/2015 del Tribunale del Riesame di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. G. Rago;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Delia
Cardia, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità;
udito il difensore, avv. Mario Corsiero, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 03/11/2015, il Tribunale del Riesame di Napoli
confermava l’ordinanza con la quale, in data 08/10/2015, il giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva applicato a
ELISEO Michela e D’ANGELO Ferdinando la misura degli arresti domiciliari in
quanto indagati per i delitti di estorsione ed usura a danno di Lombardi Lucia.

Data Udienza: 13/04/2016

2. Contro la suddetta ordinanza, entrambi gli indagati, a mezzo del comune
difensore, hanno proposto un unico ricorso per cassazione deducendo i seguenti
motivi:
2.1. VIOLAZIONE DELL’ART. 273 COD. PROC. PEN.: la difesa, dopo avere preso atto
dei motivi addotti dal tribunale sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza, li
confuta sostenendo che tali non sarebbero né per il reato di estorsione né per
quello di usura: in particolare, la difesa contesta l’attendibilità delle dichiarazioni

2.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 274 COD. PROC. PEN.: la difesa, dopo avere precisato
che le esigenze cautelari sono state rinvenute sia nel pericolo di inquinamento
probatorio che nel pericolo di recidiva, ha sostenuto l’insussistenza dei requisiti
dell’attualità e della concretezza, non solo neppure indicati dal tribunale, ma
smentiti dal fatto che, pur essendo i ricorrenti venuti a conoscenza del
procedimento a loro carico sin dal gennaio del 2015, da allora «non hanno dato
adito a sospetti circa la possibilità di “avvicinamento” delle persone offese, dalle
quali, semmai, si sono tenuti ben lontani»; inoltre, «non si ha traccia della
commissione di reati della stessa indole» successivo al suddetto periodo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. VIOLAZIONE DELL’ART. 273 COD. PROC. PEN.:

la censura, nei termini in cui è

stata dedotta è manifestamente infondata.
Il quadro indiziario, a carico degli indagati, è costituito oltre che dalle
reiterate dichiarazioni rese dalla parte offesa (ritenuta credibile alla stregua dei
notori e consolidati criteri indicati da questa Corte di legittimità), anche da
riscontri oggettivi costituiti da documentazione “contabile” rinvenuta a seguito di
perquisizione, dagli esiti di intercettazione ambientale, nonché dalle dichiarazioni
della sorella della vittima e dal fatto che gli stessi indagati, pur negando di aver
chiesto interessi usurari, hanno ammesso di avere effettuato dei prestiti alla
parte offesa: il tribunale, poi, nel valutare le dichiarazioni degli indagati ne ha
stigmatizzato l’inattendibilità alla stregua delle numerose e contraddittorie
dichiarazioni.
Il Tribunale, ha anche preso in esame gli argomenti difensivi ma li ha
puntualmente disattesi.
Le censure dedotte da entrambi gli imputati in questa sede, attengono,
quindi, sostanzialmente, al merito della vicenda processuale che, come si è
detto, ha costituito oggetto di ampio dibattito processuale davanti il tribunale, il
quale ha dato una congrua risposta sulla base di puntuali riscontri di natura
fattuale e logica, disattendendo, quindi, la tesi difensiva degli imputati riproposta
in modo tralaticio nuovamente in questa sede di legittimità.
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rese dalla parte offesa;

Le censure riproposte con il presente ricorso, vanno, quindi, ritenute
null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una
nuova valutazione di quegli stessi elementi fattuali già ampiamente presi in
esame dal Tribunale: il che deve ritenersi inammissibile non essendo
evidenziabile alcuna delle pretese incongruità, carenze o contraddittorietà
motivazionali dedotte dai ricorrenti.
In conclusione, allo stato, il quadro indiziario indicato dal Tribunale, deve
ritenersi ampiamente sufficiente, ex art. 273 cod. proc. pen., in quanto è

reati per i quali sono stati sottoposti alla misura cautelare.

2. VIOLAZIONE DELL’ART. 274 COD. PROC. PEN.: la doglianza è infondata per le
ragioni di seguito indicate.
Come ammette la stessa difesa, il Tribunale (in ciò confermando quanto
scritto dal giudice per le indagini preliminari) ha ritenuto la sussistenza di due
esigenze cautelari: a) il pericolo di inquinamento probatorio; b) il pericolo di
recidiva.
In ordine al pericolo di recidiva, ecco cosa scrive il giudice per le indagini
preliminari (pag. 15 ordinanza): «In punto di esigenze cautelari sussiste senza
dubbio il pericolo che gli indagati possano porre essere condotte della stessa
specie di quelle oggetto del presente procedimento. Trattasi, infatti, specie per
quanto concerne la Eliseo Michela e i suoi figli, di soggetti dediti alla
perpetrazione di attività usuraria, attuata anche in maniera minacciosa nella fase
della riscossione degli interessi usurari, in maniera certamente non occasionale e
ben collaudata, essendo infatti noti anche per essere soliti -prestare denaro nel
contesto sociale in cui vivono.
La vicenda oggetto del presente procedimento, inoltre, sia per quanto
concerne la Lombardi Lucia che il Corbo Alfonso, sono indicative di un ben
collaudato meccanismo finalizzato alla perpetrazione di condotte usurarie, il
quale, gettando le sue radici nel passato, come dimostra soprattutto la vicenda
della Lombardi Lucia, è destinato senza dubbio a proiettarsi anche nel futuro.
Ancora maggiore allarme, inoltre, suscita nel caso di specie il fatto che trattasi di
soggetti appartenenti al medesimo nucleo familiare, i quali agiscono
sinergicamente, palesando maggiore pericolosità sociale legata alla maggiore
capacità organizzativa e di realizzazione della condotta criminosa. Si pensi al
fatto che sembri essere copione ormai collaudato quello in virtù del quale la
Eliseo Michelina proceda alla erogazione del prestito, laddove i figli procedono a
“tenere la contabilità” e ad intervenire qualora si verifichino della difficoltà
ovvero delle resistenze delle persone offese alla restituzione della somma

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costituito da una serie di elementi tutti convergenti a carico degli indagati per i

mutuata e degli interessi chiaramente usurari»: la suddetta motivazione è stata,
in sostanza, fatta propria e ribadita anche dal Tribunale.
In questa sede, i ricorrenti, lungi dall’addurre motivi specifici contro la
suddetta motivazione, si sono limitati a sostenere che, poiché nel corso di un
anno circa, prima che fosse disposta la misura restrittiva degli arresti domiciliari,
«non si ha traccia della commissione di reati della stessa indole di quelli per i
quali è oggi procedimento», allora il pericolo di recidiva dovrebbe essere ritenuto
insussistente.

a) come ammette la stessa difesa, gli indagati vennero a conoscenza che a
loro carico si stavano svolgendo indagini per il reato di usura, a seguito della
perquisizione avvenuta nel gennaio del 2015: di conseguenza, la circostanza che
non risultano indizi della commissione di altri reati da quella data, è poco
significativo perché è una condotta che si può agevolmente spiegare con il
timore di essere sottoposti a misure restrittive;
b) la struttura “famigliare” dedita all’attività usuraria così come descritta e
stigmatizzata dai giudici di merito, non risulta affatto sciolta, sicchè, per renderla
inoffensiva, incensurabile si mostra la decisione di isolare dalla medesima, al fine
di attuare un costante controllo dei due indagati.
La genericità ed specificità del ricorso su una delle due esigenze cautelari
(pericolo di recidiva) ravvisata da entrambi i giudici di merito, esime dal
prendere in esame la doglianza in ordine all’ulteriore esigenza cautelare
(inquinamento probatorio).

3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi infondata: alla relativa
declaratoria consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.
RIGETTA
il ricorso e
CONDANNA
i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/04/2016

Al che deve replicarsi che:

CORTE SUPREMA Dt CASSAZIONE
UFFìCIO COPiE UNIFICATO

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