Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1812 del 30/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 1812 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sui ricorsi, riuniti, proposti da:
Bramucci Aldo, nato a Civitavecchia il 24.9.74
indagato artt. 416 c.p. 5 e 10 d.lgs 74/00 e 640, 2° comma n. 1 c.p.

avverso la ordinanza del Tribunale per il Riesame di Roma del 15.4.13

Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il parere del P.G., dr. Francesco Salzano, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Con l’ordinanza impugnata, il
Tribunale per il Riesame, in parziale accoglimento dell’istanza difensiva, ha ridotto l’ammontare
dell’importo, sino alla concorrenza del quale, era stato disposto il sequestro preventivo di beni
immobili e partecipazioni azionarie nella diretta disponibilità dell’odierno ricorrente.
La misura cautelare reale per equivalente era stata disposta a suo carico in relazione
alla accusa di avere, unitamente ad altri, partecipato ad una associazione per delinquere
finalizzata alla commissione di reati tributari, segnatamente di omessa presentazione della
dichiarazioni dei redditi, e truffa aggravata in danno dell’Agenzia delle Entrate per mancato
versamento dell’IVA. A capo dell’associazione e suo promotore sarebbe Vucetich Giuseppe,

Data Udienza: 30/10/2013

2. Motivi del ricorso difensore deducendo:

Avverso tale decisione, l’indagato ha proposto ricorso, tramite

1) violazione di legge in quanto l’ordinanza impositiva della misura cautelare
non spiega, rispetto alla data del commesso reato, come sia stato determinato l’ammontare.
Si ricorda, in proposito, che l’ordinanza riferisce che la richiesta del P.M. era stata
limitata fino alla concorrenza delle imposte concretamente evase negli anni 2008 e 2009. Si
ricorda, perciò che essendo indubbia la natura sanzionatoria del sequestro preventivo per
equivalente, esso non può essere applicato con efficacia retroattiva. Invece, il modo di
procedere del G.i.p. è stato indifferenziato;
2) violazione di legge perché l’ordinanza impugnata non valuta gli elementi a
favore dell’imputato. Ed infatti, sia il G.i.p. che il Tribunale per il Riesame avrebbero ignorato
del tutto la utilizzazione del c.d. sistema del “reverse charge”.
Ed infatti, secondo il ricorrente, gli obblighi di assolvimento dell’IVA gravavano sul
cessionario dei beni.
sistema è stato introdotto con l’art. 71 D.P.R. 633/72 ed, a seguito
Tale
dell’emanazione del D.L. 223/2006 e la modifica dell’art. 17, comma 5, DPR 633/72, esso è
stato generalizzato con il risultato che VIVA viene pagata obbligatoriamente dal cessionario,
come avveniva in precedenza per la Repubblica di San Marino o la Città del Vaticano.
Erroneamente, perciò, gli inquirenti hanno ritenuto che il mancato pagamento dell’IVA
da parte del cessionario dovesse ricadere sul cedente.
Nella tesi difensiva, il G.I.P. di Civitavecchia ed il Tribunale del riesame hanno
ricostruito la vicenda in modi diversi, ma entrambi errati: il G.I.P., senza tener conto dell’art.
71 del DPR n. 633/1972, ha affermato che le società sanmarinesi vendevano a società cartiere,
che poi non pagavano VIVA e dietro le quali vi erano Vucetich e Bramucci; il Tribunale del
riesame ha, per parte sua, affermato che la Opentrade e la Powertrade vendevano in
esenzione IVA per frodare il fisco e che tutta la merce era destinata alla società B & V del
Bramucci. Il Tribunale, così facendo, non si sarebbe nemmeno reso conto che, tra le società
cartiere, vi erano note società commerciali come Brico, la Globotech o Globonet.
Si tratta di due ricostruzioni alternative che non consentono agli imputati di difendersi
adeguatamente, essendo cambiata la stessa ragione della interposizione.
Si sottolinea, per contro, che, dalle risultanze delle indagini riportate nell’ordinanza
genetica della misura, emerge che le società Opentrade e Powertrade hanno utilizzato il
sistema previsto dal citato art. 71 per l’acquisto e la vendita delle merci in esenzione con il
“reverse charge” e che gli amministratori delle predette società, che si sono succeduti nel
tempo, vale a dire, Adalberto Vucetich, padre di Vucetich Giuseppe, nonché Giri Riccardo,
hanno correttamente osservato la normativa fiscale italiana e sanmarinese.
Né, si soggiunge, il dolo specifico del reato può essere desunto – come invece avvenuto dal mancato ritrovamento delle scritture contabili delle società acquirenti, ritenute cartiere.
Peraltro – si sottolinea – alla B & V S.r.l. del Bramucci, sono state sequestrate tutte le
scritture contabili, regolarmente tenute, dalle quali era emerso che la stessa aveva acquistato,
dalle società cartiere, merci per un valore di nove milioni di euro sul fatturato complessivo di
oltre venti milioni.

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coadiuvato dal Bramucci e da altri soggetti indagati tra i quali Vucetich Adalberto, padre di
Giuseppe. In particolare, poi Bongarzone avrebbe avuto il compito specifico di reclutare
persone da utilizzare come prestanome nella qualità di rappresentanti legali delle società che
venivano interposte nei fittizi passaggi delle merci.
Secondo l’accusa, si sarebbe al cospetto di un duplice sistema fraudolento finalizzato
alla evasione dell’IVA, posto in essere (il primo) mediante la creazione di società cosiddette
“cartiere” che restavano debitrici nei confronti dell’Erario del pagamento della imposta,
fittiziamente corrisposta alle prime dalle società acquirenti mentre (il secondo) sarebbe stato
realizzato facendo transitare la merce per la Repubblica di San Marino, ove non veniva pagata
l’imposta, in quanto merce in transito, e facendo successivamente figurare, mediante
l’alterazione delle fatture, che l’imposta era stata pagata nello Stato estero. Anche in questo
caso, vi sarebbe stata, comunque, la interposizione fittizia di società cartiere tra le venditrici e
le società destinatarie della merce.

3) violazione degli artt. 407, comma 3, 406, comma 8, 350 C.P.P.. Si deduce,
infatti, che la maggior parte degli atti di indagine sono stati compiuti successivamente alla
perfezionata, con la conseguente
richiesta di proroga, che non risulta essersi mai
inutilizzabilità degli stessi anche a norma dell’art. 406, comma 8 c.p.p.. Si fa notare che la
stessa richiesta del P.M. di misure cautelari fa espresso riferimento alle più pregnanti indagini
effettuate successivamente alla richiesta di proroga, analiticamente indicate, e, tra queste
ultime, figurano le dichiarazioni rese da soggetti che dovevano essere sentiti quali indagati
come ad esempio, Bongarzone che, pur essendo già indagato, è stato sentito nel corso delle
difensore, salvo assumere
indagini in qualità di teste, senza la presenza di un
successivamente la veste di compartecipe del sodalizio criminoso.
A tal fine, si ricorda che il procedimento penale era sorto inizialmente presso la Procura
della Repubblica di Paola, che aveva proceduto al compimento di atti di perquisizione e
sequestro presso gli indagati; l’incarto era, poi, è stato, poi, trasmesso per competenza
territoriale alla Procura di Civitavecchia, che aveva proceduto ad una nuova iscrizione nel
registro delle notizie di reato nel 2009;
4) mancanza di “sufficienti indizi di colDevolezza” per il reato di cui all’art. 416
c.p.. Si evidenzia che il sig. Vucetich ed il sig. Bramucci sono stati coinvolti solo sulla base
delle dichiarazioni del Bongarzone e per la carica da essi rivestita non certo perché raggiunti da
alcun indizio di colpevolezza. In ogni caso, in relazione al reato associativo, si eccepisce il
difetto di competenza del Tribunale di Civitavecchia a favore di quello di Roma.
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Motivi della decisione – Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
3.1. Quanto al primo motivo, a parte una certa genericità della critica, si deve
osservare che la stessa è priva di pregio dal momento che l’ampia e motivata ordinanza
impugnata ha dettagliatamente replicato sul punto facendo notare (f. 7) che è, innanzitutto,
pacifico che il G.i.p., ha, in adesione a quanto richiestogli dal P.M., limitato il sequestro fino
alla concorrenza delle sole imposte concretamente evase dall’anno di imposta 2008 «nel pieno
rispetto, quindi, della disposizione normativa di cui all’art. 1, comma 143 della legge
244/2007, la quale, essendo entrata in vigore il gennaio 2008, non avrebbe consentito di
computare nel valore complessivo da sottoporre a sequestro anche gli importi delle imposte
evase negli anni precedenti al 2008».
Ciò premesso, il Tribunale ha anche spiegato in modo chiaro e corretto che la
determinazione del valore complessivo sul quale è stato disposto il vincolo reale sui beni del
Bramucci (pari a 9.064.321,92) è avvenuto tramite la «sommatoria degli importi relativi alle
singole imposte evase (IRES, IVA ed IRAP) come ricostruiti nei prospetti redatti nella
informativa della Guardia di Finanza e specificamente indicati per ogni singolo capo di
imputazione, ciascuno dei quali è riferibile alla singola società fittizia coinvolta». L’ordinanza si
diffonde, quindi ulteriormente in una illustrazione specifica degli importi evasi società per
società e conclude giustamente – anche in considerazione della presente sede cautelare (fase
nella quale la contestazione e le indagini sono ancora “fluide”) — con la considerazione che per quel che
attiene alla «correttezza estimativa di tali importi», non solo, vi è una sostanziale assenza di
contestazioni specifiche da parte del ricorrente ma che, in ogni caso, proprio per l’assenza
(conseguente a loro occultamento o distruzione) delle scritture contabili deve ritenersi «legittimo
ricavare l’imponibile dalla sommatoria degli importi delle fatture rinvenute» (r. 8) ottenendo,
poi, da tale imponibile gli importi delle singole imposte evase previa detrazione dell’IRAP (come,
per l’appunto effettuato dallo stesso Tribunale per il Riesame) a dimostrazione della puntualità del
ragionamento svolto.
3

Di tale elemento favorevole non si è tenuto conto nell’ordinanza in violazione dell’art.
292 c. p. p..

non massimata sul punto).

Come visto, però, tale non è il caso in esame ove, al contrario, si rinviene una
motivazione più che accurata (sia intermini diretti che per relationem con richiamo ad altro analogo
provvedimento in materia personale) sì da risultare evidente che l’unica censura che il ricorrente qui
punta a muovere è l’espressione di un dissenso verso il contenuto della decisione stessa. La
qual cosa, di certo, non è inquadrabile in alcun vizio impugnabile di per sé.
Nell’affrontare la doglianza contenuta nel terzo motivo di ricorso, non si
3.3.
può fare a meno di evidenziarne, in primo luogo, la identità di contenuti con la questione
sollevata dinanzi al Tribunale per il Riesame (sia in questa sede che in quella personale – come evincibile
dalla già citata sentenza di questa sezione) e che ha già trovato attenzione e corretta risposta. A tale
stregua, si dovrebbe concludere, addirittura per una inammissibilità di un motivo che è,
sostanzialmente, apparente perché non contiene critiche puntuali alla replica dei giudici di
merito ma è meramente reiterativa della medesima questione. Il tutto, peraltro, viene portato
all’attenzione di questa S.C. in modo alquanto “confuso” insieme ad una (qui) non esplicitata
eccezione di incompetenza territoriale.
Il vero è che la risposta che il Tribunale ha fornito in relazione alla eccezione di
inutilizzabilità di alcuni atti, si segnala per precisione e completezza. Per quel che attiene,
infatti, alla informativa della G.d.F. del 5.11.11 il Tribunale ricorda i provvedimenti di proroga e
le loro date sottolineando che essi rientrano nella data del 10.5.10 (data di deposito della richiesta di
proroga da parte del P.m.); peraltro, essendo ancora in corso le indagini e le notifiche degli avvisi
(preliminari alla emissione del decreto di proroga), ogni valutazione sulla eventuale inutilizzabilità delle
indagini già compiute è sicuramente intempestiva, fermo restando che l’informativa e le
sommarie informazioni testimoniali di cui si assume la inutilizzabilità sono atti dei quali si
potrebbe fare a meno «senza intaccare la robusta provvista indiziaria relativa alle incolpazioni
per cui si procede» (L 4).

4

3.2.
La questione del “reverse charge” sviluppata con ampiezza di argomenti
nel secondo motivo, all’apparenza, non affrontato nel provvedimento impugnato, è, in realtà,
stato oggetto di vasta disamina, da parte dello stesso Tribunale, nell’ambito dei procedimenti
paralleli (n. 894/13 e n. 896/13), relativi alla misura cautelare personale alle cui ordinanze viene
fatto esplicito richiamo ricettizio (ff. 3 e 4). Vi è da dire che la giustezza di quella decisione è
confortata dalla sentenza (n. 42365/13) con la quale questa S.C., in data 18.9.13, ha confermato
integralmente rigettando i ricorsi di Bramucci e Vucetich Giuseppe contro l’ordinanza con la
quale il Tribunale per il Riesame aveva, comunque, sostituito la custodia in carcere con gli
arresti domiciliari nei confronti dei predetti indagati proprio per le accuse che sona alla base
del provvedimento cautelare reale qui in discussione. E’, quindi, possibile rinvenire, in tale
ultimo provvedimento, una dettagliata replica alla (praticamente speculare) questione qui posta in
tema di “reverse charge”. L’argomento viene, infatti, recisamente, confutato da questa S.C.
con l’affermazione che il teorema difensivo (secondo cui, per le importazioni da San Marino, il pagamento
dell’IVA dovesse avvenire necessariamente con il sistema del reverse change) «non trova fondamento nel
sistema normativo che viene concretamente applicato nei rapporti con la predetta Repubblica
extracomunitaria». Nella sentenza di questa stessa sezione, infatti, si precisa che, con D.M.
24.12.93, il pagamento dell’IVA per le merci da, e verso, la Repubblica di San Marino è stato
modellato sul sistema vigente per le merci intracomunitarie.
Su questa e sulle restanti questioni di merito qui sollevate dal ricorrente (anche in punto di
dolo) non si può, quindi, che richiamare la citata sentenza di questa S.C. soggiungendosi che,
nello specifico, le argomentazioni difensive – come sopra riassunte – sono palesemente
espressive di un tentativo di ricostruire la vicenda sotto un’ottica differente. Il che, oltre a
rappresentare uno sconfinamento dei limiti di questa Corte (che è giudice di legittimità e non di
merito), è anche un fuor d’opera per il fatto che la presente sede ha ad oggetto un
provvedimento cautelare reale che – come noto ( per tutte, 29.5.08, Ivanov, Rv. 239692) può essere
oggetto di ricorso in cassazione solo per violazione di legge, «in tale nozione dovendosi
comprendere sia gli “errores in judicando” sia quei vizi della motivazione così radicali da
rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o
privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a
rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice ( coni’. SU., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio,

3.4. La quarta censura qui mossa è decisamente infondata perché errata. Con
(a definitiva riprova del fatto che il presente ricorso appare essere una mera reiterazione di quello

precedentemente predisposto avverso la misura cautelare personale) si solleva un tema, degli “indizi di
colpevolezza” decisamente fuori luogo in materia di sequestro. Come bene ricordato dal
Tribunale (f.6), per il sequestro preventivo funzionale alla confisca, non occorre la prova della
sussistenza di indizi di colpevolezza né della loro gravità essendo sufficiente accertare la
confiscabilità dei beni una volta che sia astrattamente possibile sussumere il fatto in una
determinata ipotesi di reato (S.U., Montella, n. 920/03; SEz. II, 16.2.06, n. 9829). Ad ogni buon conto, anche
in questo caso, per brevità, si deve fare riferimento alla chiara affermazione contenuta nella
sentenza di questa sezione del 18.9.13 secondo cui vi sono «elementi pienamente giustificativi
della ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine a tutti i reati ascritti agli
imputati» e, a fortiori deve qui soggiungersi che sussiste il fumus dei reati ipotizzati tra i quali
quello associativo che si cerca di porre in discussione con il motivo in esame. Come
ampiamente illustrato sia nell’ordinanza impugnata che nella sentenza di questa S.C. (che ha
deciso in materia personale) il sistema instaurato dal ricorrente e dai suoi correi aveva dato vita ad
uno schema fraudolento con la creazione di società “cartiere” di cui si è ampiamente
constatata la “sostanziale” inesistenza.
Generica e, come tale inammissibile è, infine la doglianza relativa alla presunta
incompetenza del Tribunale di Civitavecchia; senza tralasciare di sottolineare che la questione
è stata già brillantemente risolta, sia dall’ordinanza impugnata (f. 3) che da questa S.C. nella
citata sentenza n. 42365/13 (f.8) cui si rinvia per brevità.

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

Così deciso il 30 ottobre 2013
Il

idente

essa, infatti

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