Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18119 del 04/03/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18119 Anno 2015
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MAMMONE ILARIO, nato il 24/08/1965
avverso l’ordinanza n. 93/2014 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
11/04/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
lette le conclusioni del P.G. Dott.ssa MARIA GIUSEPPINA FODARONI che ha
chiesto che

«la Corte di cassazione voglia rigettare il ricorso con ogni

conseguente pronuncia».

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza depositata in data 11/4/2014 la Corte d’Appello di Reggio
Calabria rigettava l’istanza di riparazione formulata nell’interesse di Dario
Mammone per l’ingiusta detenzione sofferta, prima agli arresti domiciliari (in
esecuzione di una prima ordinanza cautelare emessa dal G.I.P. di Locri in data
7/2/2006, per il reato di false informazioni al P.M.) e poi in regime dì custodia in
carcere (in esecuzione di successiva ordinanza del 3/7/2006, nei suoi confronti
emessa dal G.I.P. per l’omicidio di Mammone Giuseppe, convivente della sorella,
e del relativo occultamento di cadavere).
In entrambi i casi gravi indizi di colpevolezza erano desunti dalle
dichiarazioni accusatorie di Cutrì Polsia e Sergi Petronilla, rispettivamente
suocera e moglie dell’indagato; con riferimento in particolare ai più gravi delitti

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Data Udienza: 04/03/2015

di cui alla seconda ordinanza, si attribuiva rilievo, tra l’altro, anche alle
dichiarazioni della Cutrì, secondo cui quest’ultimo le aveva rivolto pesanti
minacce nei locali della Procura ove si trovavano in attesa di essere escussi dal
PM, ritenute riscontrate dalla ivi eseguite intercettazioni ambientali.
Per i delitti di omicidio e occultamento di cadavere – per l’altro invece
procedendosi separatamente – Mannmone Ilario, condannato in primo grado, era
successivamente assolto in appello, con sentenza del 29/4/2010, avendo
ritenuto la Corte d’Assise di appello di Reggio Calabria inattendibili le

delle trascrizioni delle intercettazioni.
Il giudice della riparazione riteneva che a determinare la detenzione avesse
contribuito l’istante con la propria condotta gravemente colposa.
Riteneva, infatti, che le pesanti minacce nei confronti della suocera non
potessero considerarsi frutto di fantasia o di intento calunniatorio della Cutrì,
risultando esse corrispondenti a quelle captate nei locali della Procura e
testualmente trascritte nell’ordinanza di custodia nei medesimi termini in cui
quest’ultima ne aveva riferito agli inquirenti («state attenta a quello che dite … e
mettergli fuoco … e mettergli fuoco»; rivolto alla moglie: «se non lo fai tu lo
faccio io»; e quindi ancora rivolgendosi alla suocera «… io da Locri me ne vado,
ma qualche anno uscirò …, non devo uscire fra qualche anno?»; «la signora Cutrì
ha giocato una brutta carta … la signora Cutrì»).
Considerava quindi che tali minacce, in quanto rivolte nei confronti della
suocera soprattutto al fine di coartarne la volontà e impedirle di rendere
dichiarazioni nell’incidente probatorio, integrassero condotte dolose idonee ad
ingenerare, pur nell’errore dell’autorità giudiziaria, un’apparenza di gravità
indiziaria a carico dello stesso per i delitti di omicidio e occultamento di
cadavere. Si trattava, infatti, secondo la Corte territoriale, di condotta che si
prestava ad essere interpretata come finalizzata a nascondere la verità di fatti a
lui sfavorevoli.
Rimarcava peraltro che, come già sopra riferito, per tale condotta il
Mammone era stato sottoposto a custodia cautelare con ordinanza del 7/2/2006
per il reato di cui all’art. 371-bis cod. pen., nell’ambito di separato procedimento
del quale non si conosceva l’esito.

2. Avverso questa decisione Ilario Mammone propone, per mezzo del proprio
difensore, ricorso per cassazione, denunciando inosservanza ed erronea
applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen..
Lamenta che il giudice della riparazione ha posto a fondamento della propria
decisione le dichiarazioni accusatorie della suocera, considerate inattendibili dal
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dichiarazioni accusatorie delle predette congiunte e non univoche le risultanze

giudice penale, erroneamente ritenendole riscontrate da una conversazione
ambientale che, in realtà: a) non era stata causa dell’emissione della prima
misura cautelare (quella emessa in data 7/2/2006 per il reato di cui all’art. 371bis cod. pen.); b) era stata bensì richiamata nella seconda ordinanza cautelare,
emessa in data 3/7/2006, la quale però riguardava solo i reati di omicidio e
occultamento di cadavere e, comunque, risultava sul punto smentita dalla
sentenza assolutoria che, al contrario, secondo il ricorrente, aveva ritenuto
quella registrazione all’interno degli uffici della Procura della Repubblica inidonea

Contesta comunque l’interpretazione delle frasi intercettate da parte del
giudice della riparazione e sostiene che le stesse non potevano ritenersi
indicative di un atteggiamento gravemente colposo da parte dell’indagato,
costituendo piuttosto uno sfogo, peraltro non del solo indagato ma anche della di
lui moglie e di altro familiare ivi presente, nei confronti di Cutrì Polsia,
determinato dal contenuto delle dichiarazioni accusatorie dalla stessa già in
precedenza rese agli inquirenti.

3. Il P.G. in sede, nella sua requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del
ricorso. Il Ministero dell’Economia ha depositato memoria con la quale, sulla
scorta di pertinenti considerazioni, ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di
riparazione per ingiusta detenzione, al giudice del merito spetta verificare se chi
l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave.
Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve
manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il
giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine
di stabilire, con valutazione ex ante, non se essi abbiano rilevanza penale, ma
solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del
provvedimento di custodia cautelare.
In tale operazione il giudice della riparazione, come costantemente precisato
da questa Corte, ha certamente il potere/dovere di procedere ad autonoma
valutazione delle risultanze e di pervenire, eventualmente, a conclusioni
divergenti da quelle assunte dal giudice penale, nel senso che circostanze
oggettive accertate in sede penale, o le stesse dichiarazioni difensive
dell’imputato, valutate dal giudice della cognizione come semplici elementi di
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a confermare le dichiarazioni accusatorie e, quindi, favorevole all’imputato.

sospetto, ed in quanto tali insufficienti a legittimare una pronuncia di condanna,
ben potrebbero essere considerate dal giudice della riparazione idonee ad
integrare la colpa grave ostativa al diritto all’equa riparazione.
Ciò con l’unico limite per cui, in sede di riparazione per ingiusta detenzione,
giammai può essere attribuita decisiva importanza, considerandole ostative al
diritto all’indennizzo, a condotte escluse dal giudice penale o a circostanze
relative alla condotta addebitata ritenute

ex ante inidonee a integrare un

5. Nel caso di specie l’ordinanza impugnata applica correttamente tali
princìpi e supera il vaglio di legittimità, il quale, come noto, è limitato alla
correttezza del ragionamento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad
accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio, restando nelle
esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare
adeguatamente e logicamente il proprio convincimento, la valutazione
sull’esistenza e la gravità della colpa o del dolo (Sez. 4, n. 21896 del
11/04/2012, Hilario Santana, Rv. 253325).
Il provvedimento impugnato indica, infatti, compiutamente gli elementi,
certamente riconducibili a condotta del richiedente, che hanno contribuito
all’apparenza di un quadro gravemente indiziario a carico dell’indagato,
ponendosi come causa quanto meno concorrente della detenzione,
plausibilmente ravvisandoli in particolare nelle dichiarazioni minacciose rivolte
nei confronti della suocera nei locali della Procura ove questa si trovava, insieme
all’indagato a ad altri familiari, in attesa di essere escussa dal PM: dichiarazioni
emergenti non solo da quanto successivamente riferito dalla donna ma anche
dalla trascrizione delle relative intercettazioni.
Il rilievo del ricorrente secondo cui tali dichiarazioni non hanno assunto
rilievo causale rispetto all’ordinanza cautelare emessa in data 7/2/2006 si
appalesa inconferente, posto che il diverso convincimento espresso
nell’ordinanza impugnata è evidentemente, e a ragione, riferito all’altra
ordinanza cautelare, quella emessa in data 3/7/2006 con riferimento ai reati di
omicidio e occultamento di cadavere, come del resto espressamente riconosciuto
anche dal ricorrente (v. ricorso, pag. 7).
L’ulteriore argomento di critica – secondo cui, rispetto a quest’ultima
ordinanza, quella condotta sarebbe irrilevante, dato il diverso e più grave tema
d’accusa – non coglie nel segno.
Come ragionevolmente evidenziato nell’ordinanza impugnata, infatti, le
dette minacce si prestavano ad essere interpretate come finalizzate a
nascondere la verità di elementi a lui sfavorevoli e in tal senso sono state
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adeguato quadro indiziario.

valorizzate nell’ordinanza cautelare, quale ulteriore elemento di rafforzamento
del quadro indiziario.
Mette conto in proposito ribadire che, come s’è evidenziato in premessa,
condotta colposa ostativa alla riparazione può essere quella che, pur non
sufficiente da sola a determinare la decisione cautelare, abbia comunque
«concorso» a dar causa all’instaurazione dello stato privativo della libertà, il che
appare certamente predicabile per la condotta descritta, in quanto certamente
interpretabile, alla stregua di una valutazione da compiere come s’è detto

ex

posizione processuale.
Non risponde al vero poi che la sentenza assolutoria offra di quella
conversazione intercettata una interpretazione incompatibile con quella ritenuta
dal giudice della riparazione.
Il passo motivazionale al riguardo più volte testualmente richiamato in
ricorso si riferisce evidentemente alle diverse dichiarazioni accusatorie della
moglie dell’indagato (Sergi Petronilla) relative ai reati oggetto di giudizio
(omicidio e occultamento di cadavere) e si limita a chiosare il contenuto delle
frasi da essa pronunciate nel corso dei colloqui intercettati; non risulta invece
che le frasi pronunciate dall’odierno ricorrente in quella occasione, valorizzate dal
giudice della riparazione al diverso fine qui in discorso e nei sensi sopra illustrati,
siano state in alcun modo smentite o diversamente interpretate dal giudice
penale.
L’assunto poi secondo cui quelle frasi andrebbero lette quale sfogo e non
potrebbero palesare l’atteggiamento colposo ostativo al chiesto indennizzo si
appalesa quale mero alternativo apprezzamento di merito, inidoneo di per sé a
dimostrare palese illogicità o contraddizioni dell’opposta valutazione espressa
nell’ordinanza impugnata e, soprattutto, in quella cautelare, tanto più se
doverosamente rapportata, tale valutazione, alla situazione processuale nota al
momento dell’emissione della cautela.
Con riferimento, infine, alla prima misura cautelare degli arresti domiciliari,
emessa il 7/2/2006 per il reato ex art. 110, 372 cod. pen. (poi riqualificato
come delitto di cui all’art. 371-bis cod. pen.), misura che il ricorrente – come
detto – ha sottolineato essere stata fondata sulle sole dichiarazioni accusatorie
della Cutrì e della Sergi e non anche su quelle frasi da lui pronunciate nei locali
della Procura, risulta certamente corretto e determinante, in funzione della
esclusione di qualsiasi indennizzo, il dato sottolineato dal giudice della
riparazione secondo cui non è stato documentato l’intervento di una pronuncia
assolutoria.

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ante, come volta a far tacere testimoni ritenuti in ipotesi pericolosi per la propria

6. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, conseguendone, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali, oltre che alla rifusione in favore del Ministero resistente
delle spese sostenute per il presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

del presente giudizio che liquida in complessivi € 1.000,00.
Così deciso il 4/3/2015

processuali nonché alla rifusione in favore del Ministero delle Finanze delle spese

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