Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18110 del 01/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18110 Anno 2015
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FELICI PASQUALE N. IL 01/12/1988
avverso la sentenza n. 7735/2013 GIP TRIBUNALE di GENOVA, del
20/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI
CASELLA;
lette449~-le conclusioni del PG Dott.

M-47

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 01/07/2014

Ricorrente FELICI Pasquale

Ritenuto in fatto
FELICI Pasquale ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, avverso la
sentenza emessa il 20 dicembre 2013 con cui il GIP del Tribunale di Genova

tra le parti di UN anno,mesi SEI di reclusione ed euro 4.000,00 di multa (
pena base: anni 2, mesi 3 di reclusione ed euro 6.000,00 di multa ),
concessa la speciale attenuante prevista dall’art. 73 comma V° d.P.R. n.
309/1990, dichiarata prevalente sulla recidiva ex art. 99, comma 2° cod.
pen. e sull’aggravante di cui all’art. 80, comma 1° lett. a) del citato d.P.R. , in
quanto ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n.
309/1990,per aver venduto ad un minorenne sostanza stupefacente tipo
marijuana; fatto commesso in Genova il 20 settembre 2013.
Lamenta l’imputato vizi motivazionali in punto sia al mancato proscioglimento
ex art. 129 cod. proc. pen. che alla quantificazione della pena.
Con requisitoria scritta in atti il Procuratore Generale presso questa Corte ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso deve giudicarsi inammissibile, ancor prima che per la manifesta
infondatezza eccepita dal Procuratore Generale, perchè tardivamente
proposto.
Invero:pronunziata dal GIP del Tribunale di Genova sentenza ex art. 444
cod. proc. pen. con motivazione contestuale ( come risulta in atti ) all’udienza
tenuta in camera di consiglio il 20 dicembre 2013 ( alla quale
l’imputato,detenuto per altra causa, non presenziò, conferita in precedenza
procura speciale al difensore avv. Anna Serafino, ai fini dell’applicazione della
pena ex art.444 codice di rito )/ il ricorso per cassazione veniva depositato in
data 28 gennaio 2014 ( come risulta in atti ) e quindi ben oltre il termine di
giorni QUINDICI previsto dall’art. 585, comma 1° lett. a) codice di rito,
decorrente, a’ sensi del comma 2° lett. b) dello stesso articolo, dalla stessa
data di pronunzia della sentenza

“per tutte le parti che sono state o debbono

considerarsi presenti nel giudizio, anche se non sono presenti alla lettura della
sentenza”.

Secondo il consolidato e condivisibile orientamento della

giurisprudenza di legittimità,

“nel caso in cui l’imputato abbia rilasciato

i

applicava nei suoi confronti, ex art. 444 cod. proc. pen., la pena concordata

procura speciale al difensore per procedere all’applicazione della pena su
richiesta delle parti nella fase preliminare al dibattimento, non può farsi luogo
alla declaratoria di contumacia, sicché la lettura della sentenza equivale a
notificazione e da essa decorre il termine per proporre impugnazione ”

(in

termini, Sez. 1, n. 14015 del 07/03/2008 Cc. – dep. 03/04/2008 – Rv.
Sez. 1, n. 6326 del 17/11/1999 Cc. – dep.

03/02/2000 – Rv. 215219 ; Sez. 4 n.

Sez.

4 n.

4226 del 08/01/2013
t

Cc. (dep. 28/01/2013 ) Rv. 254670).
Siffatta causa di inammissibilità originaria del ricorso preclude tuttavia il
rilievo, in questa sede, della sopravvenuta necessità di riesame della entità
della pena, oggetto della pattuizione intervenuta tra le parti,alla luce del
novum normativo introdotto successivamente al dies commissi delicti.
Giova rammentare che, per quanto in questa sede rileva, all’epoca del
commesso reato: 20 settembre 2013, l’art. 73, comma V° del d.P.R.
n.309/1990 prevedeva un’attenuante ad effetto speciale,con pena della
reclusione compresa tra UNO e CINQUE anni congiunta a pena della multa
compresa tra 3.000 e 26.000 euro; ciò a prescindere dalla tipologia della
sostanza stupefacente.
L’art.2 del decreto legge

23 dicembre 2013 n.146 convertito,

con

modificazioni, dall’art. 1 comma 10 della legge 21 febbraio 2014 n. 10 ha
sostituto integralmente, con effetto dal 24 dicembre 2013, il testo dell’art. 73
comma V° d.P.R. n. 309/1990,ridisegnando peraltro una fattispecie autonoma
di reato. Tanto manifestamente emergeva dalla nuova formulazione letterale
della norma alla stregua dell’inequivoca clausola di riserva o di sussidiarietà:
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato…”

di guisa da delineare una

condotta materiale dotata di specifica ed autonoma rilevanza, relativamente
agli estremi oggettivi del reato integrati dalla condotta di

“chiunque

commette uno dei fatti previsti dal presente articolo ” qualificabili in termini di
“lieve entità” per mezzi, modalità o circostanze dell’azione, qualità, quantità
delle sostanze. Il delitto era punito con la pena della reclusione da UNO a
CINQUE anni e con quella della multa da euro 3.000 a 26.000,fernna restando
l’esclusione di ogni differenziazione in rapporto alla natura “pesante ” o
“leggera” delle sostanze stupefacenti.
In seguito, per effetto del decreto legge 20 marzo 2014 n.36 ( in vigore dal
21 marzo 2014) convertito nella legge 16 maggio 2014 n. 74 – art. 1, l’art.73
comma V° d.P.R. n. 309/1990 ha subito ulteriori modifiche in relazione al
trattamento sanzionatorio. Riconfermata la qualificazione del fatto come reato
autonomo e ferma l’irrilevanza della diversa tipologia della sostanza
stupefacente, il reato risulta anche attualmente punito con la pena della

2

240140; conf., ex plurimis,

reclusione compresa tra SEI mesi e QUATTRO anni e con quella della multa da
euro 1.032 ad euro 10.329.
Apparirebbe quindi quantomeno necessaria, alla

stregua del

jus

superveniens, una rivisitazione della quantificazione della pena base alla luce
della forbice edittale delle pene di entrambi i generi,divenute attualmente
applicabili e sicuramente più favorevoli all’imputato ex art. 2 comma 4 0 cod.
pen.

hanno statuito, con la sentenza n. 15 del 30 giugno 1999 ric. Piepoli,
nell’ottica di escludere la prevalenza di eventuali cause di non punibilità di cui
all’art. 129 cod.proc.pen., con affermazione di principio costantemente
ribadita in seguito da altre pronunzie (S.U. n.32 del 2000; n.33542 del 2001;
n.23428 del 2005 ) che ha natura di causa di inammissibilità originaria ex art.
591 del codice di rito, l’impugnazione proposta fuori termine (al pari delle
altre ipotesi contemplate al comma 10 lett. c dello stesso articolo), trattandosi
” di un caso in cui fa difetto un presupposto essenziale, legislativamente
previsto, per la stessa configurabilità di un atto di impugnazione ” e quindi di
atto ”

inidoneo ad introdurre il giudizio di impugnazione”

ed alla

“instaurazione di un valido rapporto processuale.” Le Sezioni Unite hanno
altresì significativamente sottolineato che “nelle predette ipotesi, pertanto, si
è in presenza di un simulacro di gravame che il provvedimento giudiziale di
inammissibilità, per la sua natura dichiarativa, rimuove dalla realtà giuridica
fin dal momento della sua origine.”

La declaratoria di inammissibilità si

risolve quindi nella constatazione che

“si è ormai formato un giudicato ” in

senso sostanziale fin dall’insorgenza della causa stessa di inammissibilità,
concretizzatosi alla scadenza dei termini per proporre l’impugnazione. La
pronunzia è quindi finalizzata ” ad impedire l’inutile prosecuzione di una
attività comunque destinata a sfociare, a norma dell’art. 591 c. 4 c.p.p.,
anche “a posteriori”, in un accertamento negativo di pendenza del processo”.
Nè può fondatamente dubitarsi che tale insegnamento sia

a fortiori da

estendere nel caso in cui l’inammissibilità per tardività dell’impugnazione si
ponga quale causa preclusiva di un’eventuale rimodulazione del trattamento
sanzionatorio, alla luce dello jus superveniens

ovvero della sopravvenuta

declaratoria di incostituzionalità di norme di legge precedentemente in vigore.
Segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della
cassa delle ammende della somma di euro 500,00 a titolo di sanzione
pecuniaria,non sussistendo legittime ragioni di esonero.

3

Ciò posto, osserva peraltro il Collegio, che le Sezioni Unite di questa Corte

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso per tardività e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 500,00 a
favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma,lì 1 luglio 2014.

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