Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18104 del 01/04/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18104 Anno 2015
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Marini Giorgio n. il 5/5/1949
avverso la sentenza n. 2936/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Brescia il 10/4/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 1/4/2015 la relazione fatta dal Cons. dott.
Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Policastro, che ha
concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito, per l’imputato, gli avv.ti F. Pelizzari del foro di Brescia e C. Caruso
del foro di Milano che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 01/04/2015

,

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 22/6/2012, il tribunale di Brescia, tra le altre
statuizioni, ha condannato Giorgio Marini alla pena di un anno e tre mesi di
reclusione in relazione al reato di omicidio colposo commesso, in violazione della
disciplina sull’esercizio dell’attività medica, ai danni di Giuseppe Simonelli, in
data 27/7/2007 (data del decesso).
All’imputato era stata originariamente contestata la violazione dei
tradizionali parametri della colpa generica, nonché l’inosservanza delle note di

affetto, perché, in qualità di medico anestesista, nel corso dell’intervento
chirurgico di acromioplastica condotto sul Simonelli, aveva omesso di
sospendere, almeno ventiquattro ore prima dell’effettuazione dell’anestesia
generale, l’assunzione, da parte del paziente, del farmaco Naprilene
(regolarmente assunto dal Simonelli per il trattamento dell’ipertensione), ed
aveva altresì omesso di fronteggiare (mediante misure profilattiche e
somministrazione di amine pressorie) la condizione di ipotensione arteriosa
sistemica presentata dal paziente nel corso dell’intervento (ipotensione le cui
cause erano facilmente individuabili nell’assunzione di farmaci antipertensivi e
nella posizione seduta sul tavolo operatorio), con la conseguenza che
l’insufficiente perfusione ematica cerebrale, conseguente all’abbassamento della
pressione di perfusione cerebrale da ipotensione arteriosa sistemica protrattasi
per circa quarantacinque minuti nel corso dell’intervento, aveva cagionato al
Simonelli gravi lesioni neurologiche e il conseguente stato di coma postanossico; stato che si evolveva in senso peggiorativo, fino a causare il decesso
della paziente.
Con sentenza in data 10/4/2013, la corte d’appello di Brescia, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, ha disposto la riduzione della pena inflitta
al Marini, determinandola in dieci mesi di reclusione, confermando nel resto la
sentenza del primo giudice.

2. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto
ricorso per cassazione l’imputato sulla base di tre motivi di impugnazione.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per
violazione di legge, avendo la corte territoriale erroneamente riconosciuto il
ricorso di profili di colpa dell’imputato in relazione all’asserita scorretta
somministrazione di amine in quantità sufficiente a far fronte al calo pressorio
del paziente nel corso dell’intervento chirurgico, stante l’imprevedibilità e
l’inevitabilità dell’evento costituito dalla mancata perfusione cerebrale del
paziente, avuto riguardo all’assenza per l’anestesista di idonei campanelli

trattatistica internazionale sui quadri patologici di cui il Simonelli risultava

d’allarme che consigliassero un più massiccio ricorso all’efedrina (tenuto conto
che la pressione del Simonelli si era comunque mantenuta al di sopra dei livelli di
guardia), e attesa la scorretta impostazione del ragionamento controfattuale, da
parte dei giudici di merito, non essendo stata accertate, né le connotazioni,
né l’effettiva idoneità salvifica della pretesa condotta alternativa lecita esigibile
dall’imputato, tenuto conto della rilevata larga diversità di opinioni e di prassi
scientifiche in relazione all’individuazione della più corretta gestione del caso in

3. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui
sarebbe incorsa la corte territoriale nell’interpretazione e nella valutazione degli
elementi di prova complessivamente richiamati a fondamento della
condanna dell’imputato, anche in relazione alla ricostruzione dei passaggi
fattuali, logici e scientifici indispensabili per l’individuazione del nesso di causalità
tra le omissioni contestate all’imputato (con particolare riguardo al controllo e
alla valutazione dei valori pressori del paziente nel corso dell’intervento) e il
decesso del Sinnonelli.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente censura in via gradata la sentenza
d’appello

per

violazione

di

legge

e

vizio

di

motivazione,

con

particolare riferimento alla mancata applicazione dell’art. 3 della legge n.
189/2012, avendo la corte territoriale contraddittoriamente escluso il ricorso, nel
caso di specie, di un grado lieve della colpa dell’imputato (con la conseguente
irrilevanza penale della relativa condotta, ex art. 3 cit.), pur avendo riconosciuto
come l’esistenza di un’accettata prassi medica circa l’interpretazione in senso
non “allarmante” dei valori pressori del paziente, quali quelli rilevati nel caso di
specie, si fosse riflettuta sul grado della colpa dell’imputato, giustificandone
l’attenuazione della pena, rispetto a quella inflitta dal giudice di primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Osserva preliminarmente il collegio come il reato contestato all’odierno
imputato debba ritenersi prescritto, trattandosi di un’ipotesi di omicidio colposo
commesso, in violazione delle norme sull’esercizio della professione medica, alla
data del 27/7/2007.
Al riguardo, occorre sottolineare, in conformità all’insegnamento
ripetutamente impartito da questa Corte, come, in presenza di una causa
estintiva del reato, l’obbligo del giudice di pronunciare l’assoluzione dell’imputato
per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori
dell’insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale

esame.

all’imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa
valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una
‘constatazione’, che a un atto di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con
qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n.
35490/2009, Rv. 244274).
E invero il concetto di ‘evidenza’, richiesto dal secondo comma dell’art. 129
c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e
obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in

correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv.
229275).
Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine
di pervenire al proscioglimento nel merito dell’imputato occorre applicare il
principio di diritto secondo cui ‘positivamente’ deve emergere dagli atti
processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato
a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza
della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua
innocenza, non rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della
prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte
risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi certamente non riscontrabile nel caso di specie, avuto
riguardo alle motivazioni di entrambe le sentenze di merito.
Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza
impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato contestato estinto per
prescrizione.

P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata
perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 1.4.2015.

qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia, oltre la

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