Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18098 del 22/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18098 Anno 2018
Presidente: MICCOLI GRAZIA
Relatore: CALASELICE BARBARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAMBROSCIANO GIANFRANCO nato a Malvito il 30/03/1952

avverso la sentenza del 16/12/2015/della Corte di appello di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Barbara Calaselice;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio limitatamente
ai reati di ingiuria (capi b e f), con rideterminazione della pena e declaratoria di
inammissibilità del ricorso nel resto;
udito il difensore, avv. C. de Conciliis, in sostituzione dell’avv. F. Chiaia per la
parte civile, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, il risarcimento dei
danni pari ad euro 30.000,00, con liquidazione delle spese come da nota
prodotta;
udito il difensore di fiducia del ricorrente, avv. P. Bonofiglio che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso e, in subordine, la prescrizione.

Data Udienza: 22/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale
di Cosenza con la quale Gianfranco Lambrosciano veniva condannato alla pena
ritenuta di giustizia, per i reati di cui agli artt. 610 e 581 cod. pen., così
rispettivamente riqualificati i reati di cui ai capi C ed E della rubrica, nonché di
quelli di cui ai capi G ed I, con la continuazione e le generiche, oltre le spesecon

ed F ha assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato. La pronuncia
t
impugnata ha, altresì, condannato l’odierno ricorrente alle spese della parte
civile.

2. Avverso l’indicata sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione
l’imputato, tramite il difensore di fiducia, avv. Pierluca Bonfiglio, con il quale si
eccepisce la nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione della
legge penale, con riferimento al capo C, derubricato in violenza privata, ed al
capo E, derubricato in percosse.
2.1. In relazione ai reati ritenuti in sentenza deduce il ricorrente che
mancherebbe la configurazione degli elementi essenziali previsti dalle norme
incriminatrici, anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo.
2.1.1. Quanto al delitto di violenza privata ritenuto al capo C, manca,
secondo il ricorrente, un’azione che si sia estrinsecata in energia fisica esercitata
sul soggetto passivo, per essersi la condotta dell’agente limitata ad estrarre le
chiavi dalla toppa, trattandosi, dunque, di comportamento meramente passivo e
mancando la violenza o minaccia, quindi, potendo la condotta, al più, integrare
molestie o minacce. Il ricorrente, inoltre, deduce che manca l’elemento
soggettivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto è emerso che unico fine della
condotta dell’imputato è stato quello di evitare che la Ruffolo girasse nuda per lo
stabile, fine che rende priva di disvalore la condotta posta in essere.
2.1.2. Con riferimento al capo E si sostiene che il delitto di cui all’art. 581
cod. pen. presuppone una forma di violenza continua e dolorosa. Nella specie,
invece, la Ruffolo era in auto e la stessa aveva piena capacità di movimento,
come dimostra il darsi alla fuga, in uno alla carenza di prova circa la percezione
di dolore.
2.2. Si denuncia, con il secondo motivo, la manifesta illogicità e l’apparenza
della motivazione. Si assume, infatti, che la Corte territoriale si sia limitata a
richiamare la motivazione di primo grado e a condividerla riportando massime di

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il beneficio della pena sospesa. La pronuncia di primo grado, quanto ai capi B, D

giurisprudenza, senza valutare che il dichiarato della parte lesa non è attendibile
tenuto conto che tra imputato e parte lesa vi era un burrascoso rapporto
sentimentale, non confrontandosi peraltro, con le critiche mosse con l’atto di
appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

inammissibile.

2.

In relazione al primo motivo si osserva che è noto l’orientamento

ermeneutico di questa Corte anche più recente, senz’altro condivisibile, che
considera sufficiente, ai fini di integrare il delitto di violenza privata, non una
minaccia verbale o esplicita, ma qualsiasi comportamento, sia verso il soggetto
passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la
preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che,
mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od
omettere qualcosa (Sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017, S., Rv. 270869). E’ stato,
infatti, osservato che il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo
idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di
azione, ben potendo trattarsi di violenza fisica, propria, che si esplica
direttamente nei confronti della vittima o di violenza impropria, che si attua
attraverso l’uso di mezzi anomali, diretti ad esercitare pressioni sulla volontà
altrui impedendone la libera determinazione (Sez. 5, n. 4284 del 29/09/2015,
dep. 2016, G., Rv. 266020; Sez. 5, n. 11907 del 22/01/2010, Cavaleri, Rv.
246551, che ha ritenuto integrare violenza privata la sostituzione della serratura
della porta di accesso di un vano-caldaia, con mancata consegna delle chiavi al
condomino e inibizione dell’esercizio del diritto di servitù gravante sul locale).
Né può aderirsi alla critica mossa con l’impugnazione, secondo la quale
mancherebbe l’elemento soggettivo del delitto ritenuto in sentenza. Sul punto,
infatti, dalla motivazione offerta dalla Corte emerge che obiettivo dell’imputato
era quello di evitare che la donna uscisse di casa a chiedere aiuto, così
delineando la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di violenza privata
ritenuto dai giudici di merito.
In ogni caso dall’esame dei motivi di appello depositati in data 12 ottobre
2011, si rileva che detto motivo, inerente l’elemento soggettivo, non è stato

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1. Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato

devoluto con il gravame e, dunque, è inammissibile in quanto proposto per la
prima volta in questa sede.
2.1. Con riferimento al capo E si rileva che nella specie la Corte territoriale
ha esposto che la condotta si è sostanziata in una forma di violenza senz’altro
dolorosa (la parte lesa veniva tenuta per i capelli impedendole di scendere dalla
vettura). Del resto è noto che, secondo questa Corte di legittimità, il termine
“percuotere” previsto dall’art. 581 cod. pen. non è assunto nel suo significato

violenta manomissione dell’altrui persona fisica (Sez. 5, n. 4272 del 14/09/2015,
De Angelis, Rv. 265629). Inoltre si è affermato

(Sez.

5,

n.

38392 del

17/05/2017, Moraldi, Rv. 271122) che, ai fini della configurabilità del reato di
percosse è sufficiente, trattandosi di reato di mera condotta, l’idoneità della
condotta di violenta manomissione dell’altrui persona fisica a produrre
un’apprezzabile sensazione dolorifica, non essendo, invece, necessario che tale
sensazione di dolore si verifichi, fermo il “discrimen” rispetto al reato di lesione
personale, configurabile quando il soggetto attivo cagioni una lesione dalla quale
derivi una malattia nel corpo o nella mente.

3. Con riferimento al secondo motivo deve rilevarsi che lo stesso è del tutto
generico. Infatti si denuncia in modo non specifico e senza confrontarsi con la
precisa motivazione del giudice di secondo grado, che il giudice del gravame non
avrebbe preso in esame i motivi di appello. Questi, invece, appaiono riportati
nella motivazione e puntualmente e debitamente confutati, sia pure
sinteticamente. Infine si osserva che trattandosi di cd. doppia conforme, appare
del tutto corretto il richiamo alla motivazione di primo grado, nonché al giudizio
di attendibilità della parte lesa operato dal Tribunale di Cosenza.
Quanto all’attendibilità della persona offesa, si rileva che in questa sede si
devolve, peraltro in modo del tutto generico, una questione di fatto, che non può
essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in
manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Camnnarota e altro,
Rv. 262575) che non si rinvengono nella specie. Inoltre già la Corte territoriale,
ha rilevato correttamente il carattere generico delle critiche svolte con il
gravame, rispetto alle dichiarazioni poste dal primo giudice a base del giudizio di
attendibilità della parte lesa, in ordine a tale punto offrendo una motivazione non
censurabile sotto il profilo prospettato.

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letterale di battere, colpire, picchiare, ma in quello più lato, comprensivo di ogni

Il ricorso proposto deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con

4.

conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e,
non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle
ammende, determinabile in 2.000,00 euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Inoltre il Lambrosciano va condannato alla rifusione delle spese sostenute nel
presente giudizio dalla parte civile, che si liquidano come da dispositivo.

L’inammissibilità del ricorso preclude ogni esame del rilievo circa

l’eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata
(Sez. U, n. 32 del 11/11/2000, De Luca, Rv. 217266). In ogni caso quanto alla
richiesta del sostituto procuratore generale relativa ai capi b ed f, depenalizzati,
questa va disattesa, in quanto per questi reati il primo giudice aveva assolto
l’imputato perché il fatto non costituisce reato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 2000 in favore della cassa per le
ammende, nonché alla rifusione delle spese in favore della parte civile, che
liquida in complessivi euro 1.800,00 oltre accessori di legge .
Così deciso il 22/02/2018

Il Presid te

Il Consigliere estensore
Barbara Calaselice

Depositato ìn Cancelleria
Roma, lì ………..

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5.

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