Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18092 del 09/02/2018

Penale Sent. Sez. 5 Num. 18092 Anno 2018

Presidente: SABEONE GERARDO

Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

A.A.

B.B.

avverso la sentenza del 05/10/2015 della CORTE APPELLO di MILANO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ROBERTO AMATORE

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIETTA

PICARDI

che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’

Udito il difensore

l’avvocato DI SANTO GIANNI, chiede accoglimento del ricorso.

l’avvocato VIANELLO ACCORRETTI VALERIO, riporta ai motivi e chiede

l’annullamento della sentenza.

Data Udienza: 09/02/2018

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di

condanna dei predetti imputati emessa dal Tribunale di Monza in data 4.4.2014 per il reato di

cui all’art. 219, 223, comma 2, n. 2, I. fall., perché, in concorso tra loro, il A.A., in qualità

di presidente del consiglio di amministrazione, ed il B.B., in qualità di consigliere con

l’attribuzione di poteri di gestione, nonché entrambi nella qualità di reali gestori di fatto e di

diritto della società LL., anch’essa fallita, cagionavano il fallimento della LL

capo di imputazione che qui si richiama.

Avverso la predetta sentenza ricorre in primo luogo l’imputato A.A, per mezzo del suo

difensore Avv. Gianni Di Santo, affidando la sua impugnativa a ben otto motivi di doglianza

attinenti al merito delle incolpazioni, e a tre motivi di doglianza di carattere processuale,

ritenuti dal ricorrente assorbenti.

1.1 Partendo per ragioni di ordine logico-argomentativo da quest’ultime doglianze, denunzia il

ricorrente, con il primo motivo di carattere processuale e ai sensi dunque dell’art. 606, primo

comma, lett. c, cod. proc. pen., inosservanza di norme stabilite a pena di nullità, e più in

particolare l’omessa citazione dell’imputato all’udienza preliminare, con conseguente violazione

e falsa applicazione degli artt. 161 e 161, quarto comma, del codice di rito e comunque nullità

ai sensi dell’art. 179, medesimo codice, e vizio argomentativo.

Si rileva la nullità della predetta notifica perché, avendo eletto domicilio per l’odierno giudizio

in Via M. Lando 88, l’ufficiale giudiziario accertava nella relativa relata di notifica del 25.5.2001

l’impossibilità della esecuzione della notifica con la dizione “non potuto notificare”.

Assume la difesa che la momentanea assenza al domicilio eletto dell’imputato non poteva

legittimare la notifica intervenuta successivamente, ai sensi dell’art. 161, quarto comma, cod.

proc. pen. presso il suo difensore, notifica che riguardava tanto il decreto di fissazione della

udienza preliminare, quanto la successiva notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di

primo grado.

1.2 Con il secondo motivo di doglianza di carattere processuale, si denunzia, sempre ai sensi

dell’art. 606, primo comma, lett. c, cod. proc. pen., inosservanza e falsa applicazione degli

artt. 161, 161, quarto comma e 179, nonché vizio argomentativo sul medesimo punto.

Assume la difesa dell’imputato la nullità della notificazione della fissazione della udienza di

discussione in appello, giacché la stessa era stata effettuata direttamente ai sensi dell’art. 161

4 comma, presso il difensore, anziché provare, come fatto in precedenza, e ciò

a fortiori,

nel caso di specie, ove

successivamente la notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di secondo grado era

stata effettuata con successo presso il predetto domicilio eletto.

1.3 Con il terzo motivo sempre di carattere processuale si assume la violazione, ai sensi

dell’art. 606, primo comma, lett. c), cod. proc. pen., degli artt. 148 e 148 comma 2 bis,

medesimo codice, con conseguente nullità prevista dall’art. 171, lett. a, b, c e d, codice di rito,

2

SISTEM s.r.l. con dolo e per effetto di diverse operazioni dolose, così come meglio descritte nel

ì

nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 16, comma 8, I. 221/12 e dell’art. 4 D.L. n.

193/09, nonché della L. 24/10 n. 24 e successive modifiche e dell’art. 51, D.L. 25 giugno

2008, n. 112.

Assume la difesa che le notifiche eseguite al difensore, nella sua qualità di domiciliatario, erano

affette da nullità per violazione dell’art. 148 n. 2 bis cod. proc. pen. perché, contrariamente a

quanto affermato dalla Corte di Appello, la notifica effettuata a mezzo pec era mancante

dell’attestazione all’originale della copia così inviata al difensore, attestazione effettuata da un

Venendo invece alla ulteriori otto doglianze avanzate dal A.A, la prima, sempre di

carattere più strettamente processuale, riguarda la violazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1,

lett. b e c, cod. proc. pen., degli artt. 12 e 16 cod. proc. pen..

2.1 Assume la difesa che, essendovi una evidente connessione tra il procedimento di

bancarotta della società LL comp. S.p.a. e quello relativo al fallimento LL SISTEM

s.r.l. per cui è oggi processo, operava la vis actrattiva della competenza del Tribunale di Milano

al cui procedimento di bancarotta doveva essere riunito l’odierno giudizio.

2.2 Con il secondo motivo di doglianza si lamenta, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b,

c ed e, cod. proc. pen., violazione degli artt. 236 e 238 bis, medesimo codice, nonché

violazione dell’art. 111 Cost..

Assume la difesa che il convincimento dei giudici di merito in ordine alla responsabilità

dell’imputato si era radicato, nel ragionamento probatorio posto alla base della motivazione,

sugli elementi di valutazione emergenti dalla sentenza di condanna per l’altro procedimento di

bancarotta incardinato presso il Tribunale di Milano e che, pertanto, tale valutazione era

inammissibile, ai sensi delle sopra richiamate norme processuali, giacché la sentenza oggetto

di valutazione non era ancora definitiva. Deduce inoltre la difesa che nessuna rilevanza

assumeva la circostanza processuale, invece valorizzata – sul punto qui da ultimo in

discussione – dalla Corte di merito, secondo cui la predetta sentenza era stata acquista come

documento con il consenso di tutte le parti processuali, e dunque anche degli imputati oggi

ricorrenti.

2.3 Con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 606, primo comma,

lett. b e c, cod. proc. pen., della violazione e falsa applicazione dell’art. 223 I. fall. in relazione

all’art. 42 cod. pen. e in relazione agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen..

2.3.1 Si assume l’erroneità del ragionamento probatorio seguito dalla Corte di merito in ordine

alle seguenti circostanze :

a ) l’errata considerazione di una presunta volontà di non dotare la società di capitali

sufficienti;

b) le ragioni per cui erano state ritenute rilevanti condotte eventualmente solo omissive, come

l’asserita mancata creazione di un patrimonio sufficiente ad operare ;

c) l’evidente inconfigurabilità nelle condotte del A.A. del dolo richiesto dalla fattispecie

penale contestata ;

3

À-

ufficiale giudiziario ovvero da un cancelliere.

d) l’inconfigurabilità in capo all’odierno ricorrente di un ruolo qualificato di amministratore di

fatto ;

e) le ragioni per cui erano state considerate rilevanti e dolose le sottoscrizioni delle fideiussioni

rilevatesi successivamente false, nonostante ciò riguardasse, come detto, altro procedimento

penale ;

3.2 Deduce, sul punto, la difesa dell’imputato che, in tema di bancarotta impropria da reato

societario, il dolo presuppone una volontà protesa al dissesto, inteso non già quale

diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico.

Osserva pertanto la difesa come la Corte di Appello non avesse sciolto il nodo interpretativo

principale della odierna vicenda processuale, e cioè è a dirsi, non aveva chiarito la

contraddizione, invece evidenziata nei motivi di gravame, secondo cui vi sarebbe stata la

contemporanea volontà del ricorrente, da un lato, di raggiungere l’obiettivo del salvataggio

della LL Comp. s.p.a e, dall’altro, di assicurare la continuità aziendale del suo business

grazie alla LL SISTEM s.r.I., e ciò nonostante la Corte di merito aveva invece affermato,

in modo apodittico ed immotivato, che emergeva chiara la volontà dell’imputato di cagionare il

dissesto della società.

2.3.3 Deduce la difesa, sempre in punto di fatto, che il salvataggio della LL comp. S.p.a.

doveva passare attraverso due operazioni di affitto di ramo d’azienda, una delle quali

effettuata proprio con la LL SISTEM s.r.I.. Si osserva ancora che tali operazioni negoziali

(che solo oggi, ex post, possono essere ritenute al più non convenienti, stante gli esiti )

avrebbero consentito, da un lato, alla società LL SISTEM s.r.l. di poter continuare

l’attività del ramo d’azienda produttivo trasferito unitamente ai dipendenti e di poter realizzare

frutti patrimoniali e, dall’altro, di evitare che la LL comp. S.p.a. potesse invece avviarsi al

dissesto, e ciò proprio secondo le iniziali volontà degli autori della complessa operazione

negoziale sopra descritta. Si deduce un mancato approfondimento del punto da ultimo

evidenziato da parte della Corte di merito, onde verificare l’effettività della volontà dolosa

contestata agli imputati, e ciò anche in ragione dell’ulteriore circostanza fattuale secondo cui

l’operazione negoziale dei due affitti di rami d’azienda e la contestuale richiesta di ammissione

della LL SISTEM s.r.l. alla procedura di concordato preventivo erano stato il frutto di

approfonditi progetti imprenditoriali affidati a professionisti del settore, circostanza

quest’ultima idonea ad escludere l’elemento soggettivo del reato. Detto altrimenti, la

realizzazione del dissesto delle due società sopra indicate era riconducibile – secondo le

deduzioni difensive – a meri errori di valutazione economica, e non già ad una volontà dolosa

diretta a cagionare il dissesto delle predette compagini societarie.

Si deduce, sul punto qui da ultimo in esame, una omessa motivazione, stante la proposizione

di un preciso e specifico motivo di doglianza sollevato in appello.

2.3.4 Si evidenzia, poi, in punto di ricostruzione giuridica della fattispecie contestata

all’imputato, l’impossibilità giuridica di contestare l’addebito penale di cui all’art. 223, comma

4

intenzionalità dell’insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile

2, n. 2, I. fall. anche in relazione ad un presunto comportamento omissivo, e cioè la contestata

mancata dotazione della LL SISTEM s.r.l. di un adeguato patrimonio sufficiente a

sostenere economicamente l’intera operazione negoziale programmata, e ciò con riguardo al

pagamento degli oneri finanziari del contratto di affitto di ramo d’azienda, sulla base del

contratto oggetto di successiva novazione oggettiva.

2.4 Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 606, comma 1,

lett. b. c ed e, cod. proc. pen., per violazione ed erronea applicazione degli artt. 224 I. fall. e

Deduce la difesa l’omessa motivazione della Corte di merito in ordine alla richiesta

derubricazione del reato contestato in quello richiesto di cd. bancarotta impropria semplice di

cui all’art. 224, n. 2, I. fall.

2.5 Con il quinto motivo si deduce violazione ed erronea applicazione degli artt. 223, comma 2,

I. fall. in relazione agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen. e vizio argomentativo in riferimento alla

erronea ricostruzione in fatto degli accadimenti posti alla base dell’affermazione di penale

responsabilità dell’imputato e sulla mancata sussunzione del reato contestato nell’alveo

applicativo dell’art. 216, terzo comma, I. fall..

2.5.1 Si contesta la ricostruzione fattuale operata dalla Corte di merito in ordine ai seguenti

punti :

a)

il fallimento delle società ;

b)

la costituzione della LL SISTEM s.r.l. al solo fine del concordato preventivo della

LL comp. s.p.a. ;

c)

il prezzo di affitto del ramo d’azienda convenuto tra la LL SISTEM s.r.l. e la

LL comp. s.p.a. ;

d)

la sottocapitalizzazione della LL SISTEM s.r.l. ;

e)

la carica ricoperta dal A.A. nella LL SISTEM s.r.l. quale presidente del

consiglio di amministrazione ;

f)

l’affermata costituzione della LL SISTEM s.r.l. al solo fine della sua dichiarazione di

fallimento.

2.5.2 Si evidenzia l’illogicità della motivazione impugnata laddove quest’ultima aveva

affermato la sussistenza del dolo in relazione alla constatazione che mai la LL SISTEM

s.r.l. era stata dotata di capitali e che i finanziamenti effettuati dai soci erano stati effettuati

solo per pagare i canoni di affitto a LL comp. s.p.a..

Si deduce la contraddittorietà di tale affermazione argomentativa in ragione del fatto che i soci

dotavano di capitali la LL SISTEM s.r.l. proprio al fine di pagare il canone di affitto che il

tribunale aveva ritenuto gravoso e sproporzionato.

Si evidenzia ancora l’illogicità della motivazione impugnata nella misura in cui la stessa, da un

lato, ammetteva che i finanziamenti dei soci andavano ad estinguere preferenzialmente i debiti

con la società LL comp. s.p.a. per i canoni di affitto anziché per il pagamento dei

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degli artt. 125 e 546, codice di rito.

dipendenti e dei relativi oneri previdenziali e contributivi e, dall’altro, non riconosceva la

riconducibilità delle condotte nel paradigma applicativo di cui all’art. 216, terzo comma, I. fall..

2.6 Con il sesto motivo si censura, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b ed e, cod. proc.

pen., la sentenza impugnata in relazione all’art. 219 I. fall..

Si contesta l’applicazione dell’aggravante di cui al sopra richiamato indice normativo alle

fattispecie di bancarotta impropria, applicazione che avverrebbe in via analogica ed

in malam

partem, e dunque in modo illegittimo.

in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen..

Si contesta, sul piano argomentativo, la motivazione posta alla base del diniego delle

reclamate circostanze atipiche e che si incentra sulla affermata incensuratezza solo formale del

A.A., perché le altre sentenze di condanna per bancarotta ancora non sarebbero divenute

definitive.

2.8 Con la ottava ed ultima censura si deduce la violazione dell’art. 216, quarto comma, I. fall.

e vizio argonnentativo in relazione all’automatica applicazione della pena accessoria interdittiva

per dieci anni, senza alcuna valutazione della peculiarità della fattispecie.

3. Con separato ricorso a firma dell’Avv. Valerio Accorretti propone otto motivi di doglianza

anche l’altro imputato B.B, motivi in parte sovrapponibili a quelli già proposti dal

A.A. nel primo ricorso ed ai quali, dunque per ragioni di sintesi, ci si riporterà di volta in

volta, evitando inutili ripetizioni.

3.1 Con il primo motivo di doglianza si ripropone la medesima doglianza avanzata nel primo

motivo del A.A, e cioè la violazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b e c, cod. proc.

pen., degli artt. 12 e 16, medesimo codice.

3.2 Con il secondo motivo di doglianza si propone, invece, un’autonoma censura di carattere

processuale, e cioè la violazione, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b, c ed e, cod. proc.

pen., dell’art. 420 ter, medesimo codice, in relazione agli artt. 178, comma 1, lett. c, e 179,

comma 1, sempre codice di rito.

Si assume come immotivato ed illegittimo il rigetto di una istanza difensiva avanzata per

ottenere il rinvio di udienza del 15 novembre 2012 innanzi al Tribunale di Monza per legittimo

impedimento del difensore, con conseguente violazione del diritto di assistenza dell’imputato.

Deduce la difesa che l’Avv. Matteo Pelli, difensore di fiducia del B.B, aveva

tempestivamente comunicato al predetto Tribunale, e cioè sette giorni prima della fissata

udienza dibattimentale, il contemporaneo impegno professionale per la fissazione nel

medesimo giorno di un giudizio abbreviato a carico di un soggetto detenuto di cui era l’unico

difensore.

Si deduce l’erroneità della motivazione adottata dal giudice di primo grado che aveva

argomentato il diniego del richiesto rinvio sulla base del fatto che il difensore aveva rinunziato

al mandato difensivo, come peraltro ciò preannunciato alla cancelleria a mezzo comunicazione

telefonica.

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2.7 Con il settimo motivo si censura la sentenza per violazione di legge e vizio argomentativo

3.3 Con il terzo motivo di doglianza si propone la medesima censura avanzata dal A.A. nel

secondo motivo di doglianza e cioè, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b, c ed e, cod.

proc. pen., violazione degli artt. 236 e 238 bis, medesimo codice, nonché violazione dell’art.

111 Cost..

3.4 Con il quarto motivo si avanzano le medesime censure sollevate dal A.A. nel terzo

motivo di censura e cioè, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b e c, cod. proc. pen., la

relazione agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen..

3.4.1 Puntualizza, tuttavia, la difesa del ricorrente, diversamente da quanto dedotto dall’altro

imputato, sul motivo di doglianza in esame, che la semplice sottoscrizione da parte del

B.B. del contratto di affitto del ramo d’azienda, in quanto mera rivisitazione della

situazione giuridica creata da soggetti a ciò autorizzati, non poteva certo rappresentare la

prova indiziaria richiesta anche dalla giurisprudenza di legittimità per l’accertamento della

penale responsabilità dell’imputato in relazione al capo di imputazione in esame, atteso che, in

materia di amministratore di fatto, è necessario accertare tutti gli elementi sintomatici di

gestione o cogestione della società emergenti dall’organico inserimento del soggetto, quale

intraneus che svolge funzioni gerarchiche e direttive in qualsiasi momento della vita aziendale

della impresa fallita.

3.4.2 Aggiunge, peraltro, la difesa dell’imputato, sul punto qui da ultimo in discussione, che, in

realtà, nulla avevano motivato i giudici del gravame in relazione alla contestata irrilevanza

della sottoscrizione delle polizze fideiussorie, negoziate originariamente per garantire le due

operazioni di affitto di ramo d’azienda, giacché le predette sottoscrizioni riguardavano altra

società fallita, e cioè la LL comp. s.p.a, e dunque attenevano, al più, ad altro

procedimento di bancarotta fraudolenta imputabile al B.B.

Assume, inoltre, sempre la difesa che tale erronea imputazione e la mancanza di precisi

riferimenti nel capo di imputazione comportava anche una evidente violazione dell’art. 516

cod. proc. pen., e ciò con particolare riferimento al profilo della correlazione tra accusa e

sentenza di condanna, giacché – come ripete la parte ricorrente – quelle polizze fideiussorie

riguardavano altra società, e cioè LL comp. S.p.a..

3.5 Con il quinto motivo si ripropone la medesima doglianza sollevata dalla difesa del A.A.

nel quarto motivo di censura, e cioè violazione ed erronea applicazione degli artt. 224 I. fall. e

degli artt. 125 e 546, codice di rito.

3.6 Con la sesta doglianza si ripropone, anche qui, la censura avanzata anche dal A.A. nel

suo sesto motivo di censura, e cioè la violazione, in relazione alla sentenza impugnata, dell’art.

219 I. fall. Si contesta, invero, l’applicazione dell’aggravante di cui al sopra richiamato indice

normativo alle fattispecie di bancarotta impropria, applicazione che avverrebbe in via analogica

ed in

malam partem, e dunque in modo illegittimo.

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violazione e falsa applicazione dell’art. 223 I. fall. in relazione all’art. 42 cod. pen. e in

3.7 Con il settimo motivo si ripropongono le medesime doglianze sollevate dalla difesa del

A.A. in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen. in ordine alla dosimetria della pena.

3.8 E con l’ottavo ed ultimo motivo si solleva doglianza in ordine alle modalità applicative della

pena accessoria di cui al quarto comma dell’art. 216 I. fall., anche qui con le medesime

argomentazioni sollevate dal coimputato.

4. Con note d’udienza datata 26 gennaio 2018 la difesa di B.B chiede inoltre il

rinvio della udienza di discussione in attesa della decisione della Corte Costituzionale sulla

Cassazione in relazione alle pene accessorie dei reati di bancarotta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. I ricorsi sono infondati.

Vanno esaminati per primi i tre motivi di censura di stampo processuale sollevati dalla difesa

del A.A..

5.1 II primo motivo è manifestamente infondato.

5.1.1 Sul punto, giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo più volte

di affermare che l’impossibilità della notificazione al domicilio dichiarato o eletto, che ne

legittima l’esecuzione presso il difensore di fiducia secondo la procedura prevista dall’art. 161,

comma quarto, cod. proc. pen., può essere integrata anche dalla temporanea assenza

dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale notificatore, senza che sia necessario

procedere ad una verifica di vera e propria irreperibilità, così da qualificare come definitiva

l’impossibilità di ricezione degli atti nel luogo dichiarato o eletto dall’imputato, considerati gli

oneri imposti dalla legge a quest’ultimo – ove avvisato della pendenza di un procedimento a

suo carico – e segnatamente l’obbligo di comunicare ogni variazione intervenuta

successivamente alla dichiarazione o elezione di domicilio, resa all’avvio della vicenda

processuale (Sez. 6, n. 42548 del 15/09/2016 – dep. 07/10/2016, Corradini, Rv. 26822301;

Sez. 3, n. 12909 del 20/01/2016 – dep. 31/03/2016, Pinto, Rv. 26815801 ; Sez. 5, n. 13051

del 19/12/2013 – dep. 20/03/2014, Barra e altro, Rv. 26254001 ; così, si legga anche

Sez. U, Sentenza n. 28451 del 28/04/2011 Cc. (dep. 19/07/2011 ).

Di talché, in caso di impossibilità ad eseguire la notificazione al domicilio dichiarato o eletto,

l’ufficiale giudiziario non ha alcun potere o dovere di procedere ad accertamenti volti a

rintracciare il nuovo domicilio del destinatario, potendo, per contro, effettuare direttamente la

notifica a mani del difensore ( Sez. 4, n. 36479 del 04/07/2014 – dep. 01/09/2014, Ebbole, Rv.

26012601).

Da ultimo, va segnalato che il contrasto esegetico che era sorto in ordine alla questione da

ultimo evidenziata è stato ora superato dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte ( cfr.

Sez. U, Sentenza n. 58120 del 22/06/2017 Ud. (dep. 29/12/2017 ) Rv. 271772 ), nel senso

da ultimo ricordato, affermando definitivamente il principio secondo cui,

verbatim,

“L’impossibilità della notificazione al domicilio dichiarato o eletto, che ne legittima l’esecuzione

8

/

questione di legittimità costituzionale già sollevata dalla Prima Sezione penale della Corte di

P

presso il difensore secondo la procedura prevista dall’art, 161, comma 4, cod. proc. pen., è

integrata anche dalla temporanea assenza dell’imputato al momento dell’accesso dell’ufficiale

notificatore o dalla non agevole individuazione dello specifico luogo, non occorrendo alcuna

indagine che attesti l’irreperibilità dell’imputato, doverosa invece qualora non sia stato

possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall’art. 157 cod. proc. pen.”.

Orbene, è la stessa parte ricorrente ad affermare, nel relativo motivo di doglianza, che aveva

eletto domicilio per l’odierno procedimento in Via M. Lando 88 e che l’ufficiale giudiziario

notifica con la dizione “non potuto notificare”.

Alla luce dei principi fissati dalla giurisprudenza sopra ricordata e che qui si intendono

riaffermare, non è pertanto condivisibile l’assunto difensivo secondo cui la momentanea

assenza dell’imputato al suo domicilio eletto non poteva legittimare la notifica intervenuta

successivamente, ai sensi dell’art. 161, quarto comma, presso il suo difensore, notifica che

riguardava – si ricorda ancora una volta – tanto il decreto di fissazione della udienza

preliminare, quanto la successiva notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo

grado.

5.2 Ma anche il secondo motivo di doglianza, sempre di carattere processuale, risulta, del pari,

manifestamente infondato.

Anche qui va rilevato, sempre alla luce dei principi giurisprudenziali da ultimo evidenziati, che

la notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado è stata regolarmente e

validamente eseguita, atteso che la relativa relata attesta che il ricorrente si era trasferito e

che, dunque, in assenza di ulteriori comunicazioni dell’imputato ( di cui lo stesso è

normativamente onerato ) la notifica ben poteva essere eseguita direttamente al difensore

Peraltro, va anche aggiunto che vi era stato anche un tentativo di notifica a mezzo

raccomandata all’indirizzo eletto senza esito.

Ne consegue, dunque, la manifesta infondatezza della eccezione processuale così sollevata.

5.3 La terza doglianza è anch’essa manifestamente infondata.

Assume la difesa del ricorrente che le notifiche eseguite al difensore, nella sua qualità di

domiciliatario, erano affette da nullità per violazione dell’art. 148 n. 2 bis cod. proc. pen.

perché la notifica effettuata a mezzo pec era mancante dell’attestazione all’originale della copia

così inviata al difensore, attestazione effettuata da un ufficiale giudiziario ovvero da un

cancelliere.

La censura rappresenta, in realtà, la reiterazione della doglianza sollevata già in grado di

appello e sulla quale la Corte ambrosiana aveva già fornito condivisibile risposta.

Come già affermato nel provvedimento impugnato, il decreto di fissazione della udienza di

discussione dell’appello era stata correttamente notificata a mezzo pec ed ai sensi dell’art. 161,

4 comma, cod. proc. pen., proprio dal soggetto legittimato a farlo, e cioè dal cancelliere, di

talché tutte le ulteriori doglianze sollevate in merito all’allegata ( e non dimostrata ) non

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accertava nella relativa relata di notifica del 25.5.2001 la impossibilità della esecuzione della

conformità delle copie inviate rispetto all’originale del provvedimento risultano del tutto

pretestuose e prive di giuridico fondamento.

6. Venendo ora ad esaminare le ulteriori otto doglianze avanzate dal A.A., va precisato

come la prima sia sempre di carattere più strettamente processuale, riguardando, invero, la

violazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b e c, cod. proc. pen., degli artt. 12 e 16,

sempre del codice di rito.

6.1 Si assume da parte della difesa che, essendovi una evidente connessione tra il

LL SISTEM s.r.l. ( per cui è oggi processo ), sarebbe operativa la vis actrattiva della

competenza del Tribunale di Milano al cui procedimento di bancarotta doveva essere riunito

l’odierno giudizio.

6.1.1 Anche in questo caso, la risposta già fornita dalla Corte distrettuale è pienamente

condivisibile, atteso che, in mancanza di idonea documentazione attestante lo stato dei

processi ed anche gli allegati profili di connessione tra gli stessi, ben ha operato il tribunale nel

respingere l’eccezione di connessione, che risulta, a questo punto, solo pretestuosa e

meramente reiterativa delle censure già in precedenza sollevate.

6.2 II secondo motivo denunzia violazione degli artt. 236 e 238 bis, cod. proc. pen..

La doglianza è infondata, atteso che la Corte di merito spiega in modo giuridicamente corretto

e dunque scevro dalla ipotizzate violazioni di legge che vi era comunque il consenso delle parti

in ordine all’acquisizione probatoria documentale da parte del Tribunale di Milano, di talché il

predetto documento era stato legittimamente acquisito e, pertanto, anche fruibile ai fini della

decisione. Va, peraltro, aggiunto come la fonte del convincimento – su cui riposa il giudizio di

penale responsabilità dell’imputato — sia rappresentata, in realtà, dalla relazione ex art 33 I.

fall. e comunque sulle dichiarazioni del curatore e degli altri testi escussi, sicché la dedotta

inutilizzabilità non risulta, qualora accolta, neanche decisiva ai fini della valutazione

complessiva delle fonti di prova poste a sostegno del convincimento giudiziale.

6.3 La terza censura si incentra sull’allegata violazione e falsa applicazione dell’art. 223 I. fai!.

in relazione all’art. 42 cod. pen. e sul conseguente vizio motivazionale.

Il motivo di doglianza, per come formulato in relazione alla ricostruzione fattuale della vicenda,

è inammissibile e, in ordine alle valutazioni di carattere più strettamente giuridico in

riferimento all’elemento soggettivo del reato contestato, risulta manifestamente infondato.

6.3.1 Sotto il primo profilo, occorre ricordare che, con riguardo ai limiti del sindacato di

legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati

dall’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., come vigente a seguito delle modifiche

introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che questo non concerne né la ricostruzione dei fatti, né

l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto

impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni

giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia

la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

10

procedimento di bancarotta della società LL comp. s.p.a. e quello relativo al fallimento

Ed invero, il sindacato demandato alla Corte di Cassazione si limita al riscontro dell’esistenza di

un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della

motivazione alle acquisizioni processuali. Deve inoltre aggiungersi che il vizio della “manifesta

illogicità” della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso

che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica

“rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente

valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se

Sintetizzando sul punto, si è detto che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso

giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della

pronuncia: a) sia “effettiva” e non meramente apparente, cioè realmente idonea a

rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia

“manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da

argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non

sia internamente “contraddittoria”, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue

diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti

logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed

esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne

vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Alla Corte di Cassazione non è quindi consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei

fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in

termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito (Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006,

Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099) e non possono

dar luogo all’annullamento della sentenza le minime incongruenze argomentative o l’omessa

esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa

decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività),

posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi

singoli dati estrapolati dal contesto. Al contrario, è solo l’esame del complesso probatorio entro

il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la

decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica

dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv.

254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789).

6.3.1.1Così delineata la circoscrizione di giudizio del giudice di legittimità, non si può non

rilevare come, nel caso di specie, la parte ricorrente intenda sollecitarla ad una rivisitazione

contenutistica degli elementi di prova già ampiamente e correttamente scrutinati dai giudici di

merito, proponendo, invero, censure in fatto e volte ad una ricostruzione alternativa della

vicenda fattuale che invece, per le ragioni già sopra esaminate, risulta inibita al giudice di

legittimità.

11

manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica.

Sul punto, occorre evidenziare che, come già correttamente rilevato dalla Corte meneghina,

l’ipotizzato “salvataggio” della LL comp. s.p.a. – attraverso le due operazioni di affitto di

ramo d’azienda ( una delle quali effettuata proprio con la LL SISTEM s.r.l. ) – non può

essere considerato, come vorrebbe invece la difesa dell’imputato, una mera operazione

negoziale da interpretarsi, oggi, come una sfortunata vicenda imprenditoriale non conclusa

positivamente, atteso che emerge con chiarezza come la stessa fosse invece finalizzata allo

svuotamento patrimoniale della LL SISTEM s.r.l. in favore dell’altra società LL comp.

delle garanzie patrimoniali da un compendio aziendale all’altro. E ciò è, peraltro, avvenuto con

una spregiudicatezza di rara frequenza, atteso che le due polizze fideiussorie che avrebbero

dovuto garantire il pagamento dei canoni di affitto d’azienda erano state anche materialmente

contraffatte, come, poi, accertato dal commissario giudiziale della società LL comp. s.p.a.

nel momento del tentativo della escussione delle polizze stesse.

Sotto quest’ultimo profilo preso in esame, le censure sollevate ( si ripete, ancora una volta, in

fatto ) dalla difesa del ricorrente in punto di ricostruzione dell’elemento soggettivo del reato

contestato si presentano anche decentrate rispetto al tema di indagine ben argomentato dalla

Corte distrettuale e consistente nella operazione di doloso svuotamento patrimoniale della

società LL SISTEM s.r.I., come tali eziologicamente diretta al dissesto e al fallimento di

quest’ultima società.

6.3.2 Sotto quest’ultimo profilo, non può esser dimenticato che, in tema di fallimento

determinato da operazioni dolose, che si sostanzia in un’eccezionale ipotesi di fattispecie a

sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della

consapevolezza e volontà dell’amministratore della complessa azione arrecante pregiudizio

patrimoniale nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri a fronte degli

interessi della società, nonché dell’astratta prevedibilità dell’evento di dissesto quale effetto

dell’azione antidoverosa, non essendo invece necessarie la rappresentazione e la volontà

dell’evento fallimentare ( così, Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014 – dep. 23/09/2014, Rampino,

Rv. 26220701 : fattispecie in cui questa Corte ha ritenuto correttamente affermata la

responsabilità, ex art. 223, comma secondo, n. 2., I. fall., nei confronti dell’amministratore di

una società che con le sue condotte, in particolare l’accensione di un ingente mutuo; il

pagamento delle sole due prime rate del piano di ammortamento, nonostante la società avesse

liquidità per farvi fronte e la conservazione assolutamente imprudente ed illogica della liquidità

così ottenuta non già in banca ma nella cassaforte della sede sociale poi oggetto di furto, ha

integrato le operazioni dolose che hanno causato il dissesto della società ; cfr. anche Sez. 5, n.

17690 del 18/02/2010 – dep. 07/05/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv.

24731501;

Dunque, deve essere riaffermato, anche in questa sede decisoria, che – in tema di bancarotta

fraudolenta impropria – nell’ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti

un immediato depauperamento della società, la condotta di reato è configurabile quando la

12

s.p.a., che doveva essere ammessa al concordato preventivo in una ottica di trasferimento

realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, alla

prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 45672 del

01/10/2015 – dep. 17/11/2015, Lubrina e altri, Rv. 26551001).

6.3.2.1 Alla luce dei sopra riferiti principi non è dunque rintracciabile, nel tessuto

argomentativo della sentenza impugnata, neanche il lamentato vizio argomentativo.

Ed invero, la complessiva operazione dolosa volta al dissesto patrimoniale della società fallita

LL SISTEM s.r.l. e alla sua dichiarazione di fallimento si articola, come ben argomentato

Da un lato, si assiste all’affitto di ramo di azienda da LL SISTEM s.r.l. a LL comp.

s.p.a. con una novazione contrattuale cui ha partecipato fattivamente il B.B, il cui

effetto, sul piano più strettamente contrattuale, è quello di porre condizioni svantaggiosissime

per la fallita per il pagamento dei relativi canoni di affitto che, addirittura, vengono periziati

con una sproporzione del 325% rispetto al reale valore di mercato del ramo di azienda

trasferito.

Ne consegue che risulta indubitabile la volontà di “trasferimento” del debito da LL comp.

s.p.a. in danno della LL SISTEM s.r.I., che diventa pertanto, nella operazione

fraudolentemente articolata, la “bad company” da avviare al fallimento, anche in ragione della

evidente carenza di mezzi finanziari idonei a sostenere i debiti così contratti.

Dall’altro, la complessiva operazione negoziale è diretta, all’evidenza, ad avviare alla procedura 1/4,U”

concorsuale di concordato preventivo la LL comp. s.p.a., che poteva, dunque, contare sul

credito relativo ai canoni di affitto nei confronti della LL SISTEM s.r.l. e, comunque, sulla

garanzia poi rivelatasi falsa ( perché contraffatta materialmente ) delle due polizze assicurative

che erano state poste a garanzia del pagamento del credito per i canoni.

Come già sopra evidenziato e come ben argomentato nella motivazione impugnata,

allorquando, poi, il commissario giudiziale della LL comp. s.p.a. tentò di escutere le due

polizze, emerse con chiarezza la complessiva operazione fraudolenta diretta al fallimento della

società sopra più volte menzionata ed emergerà anche la falsità delle precedenti operazioni di

finanziamento e ricapitalizzazione della LL comp. s.p.a..

Come è dato riscontare e come emerge a luce meridiana dalle argomentazioni spese nella

sentenza impugnata, la complessiva operazione dolosa diretta al fallimento della LL

SISTEM s.r.l. si reggeva, da un lato, sullo svuotamento patrimoniale di quest’ultima attraverso

il pagamento di un canone di affitto evidentemente sproporzionato e, dall’altro, sulla

fraudolenta falsificazione delle polizze assicurative poste a garanzie del predetto pagamento.

Alla luce delle corrette argomentazioni utilizzate dalla Corte di merito nessun dubbio può

residuare sulla integrazione dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 223, 2 comma, n.

2, I. fall., per come sopra ricostruito.

6.3.3 Ma anche l’ulteriore censura di carattere più strettamente giuridico sulla inconfigurabilità

del reato da ultimo ricordato nella forma omissiva è manifestamente infondata.

13

dalla Corte milanese, sulla doppia operazione negoziale sopra descritta.

Sul punto, è utile ricordare che – in tema di bancarotta fraudolenta – le operazioni dolose di cui

all’art 223, comma secondo n. 2, I. fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di

infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica

ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria della

impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente

dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione),

bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa

divisato ( così, Sez. 5, n. 17408 del 12/12/2013 – dep. 18/04/2014, Kurt e altri, Rv.

25999801).

In realtà, le operazioni dolose che hanno cagionato il fallimento devono sempre comportare

un’indebita diminuzione dell’attivo, ossia un depauperamento non giustificabile in termini di

interesse per l’impresa, mentre la valutazione degli abusi di gestione o dell’infedeltà ai doveri

imposti dalla legge all’organo amministrativo concretizzanti tali operazioni non può essere

assunta in via generale ed astratta, ma dipende dal rilievo dei peculiari doveri statutari, dalla

tipologia dell’organismo societario e dalla situazione economico e patrimoniale in cui la

condotta si compie (così, Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010 – dep. 07/05/2010, Cassa Di

Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv. 24731301).

Ne consegue, come ulteriore corollario, che le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma

secondo n. 2, I. fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente

pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta

omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per

l’impresa (Sez. 5, n. 12426 del 29/11/2013 – dep. 17/03/2014, P.G. e p.c. in proc. Beretta e

altri, Rv. 25999701 ; Sez. 5, n. 17355 del 12/03/2015 – dep. 24/04/2015, Casale e altri, Rv.

26408001).

Nessun dubbio può pertanto residuare, anche alla luce dei principi affermati dalla

giurisprudenza di questa Corte e qui sopra ricordati, sulla configurabilità del reato di cui all’art.

223, comma secondo n. 2, I. fall., anche nella forma omissiva, e dunque, anche nella modalità

contestata nella fattispecie in esame, come omessa patrimonializzazione della LL SISTEM

s.r.I., a fronte della insorgenza di una ingentissima debitoria indotta a carico di quest’ultima.

Peraltro, va anche ricordato che, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria

prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 2, R.D. 16 maggio 1942, n. 267, non interrompono il

nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento, costituito dal fallimento della società, né la

preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del

concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., né il fatto che l’operazione dolosa in questione

abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poichè la nozione di

fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di

dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in sè reversibile (Sez. 5, n.

14

societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito

40998 del 20/05/2014 – dep. 02/10/2014, Concu e altro, Rv. 26218901 ; Sez. 5, n. 17690 del

18/02/2010 – dep. 07/05/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv. 24731601)

Il terzo motivo di doglianza va, dunque, dichiarato inammissibile.

6.4 n quarto motivo di censura è invece infondato.

Si censura la sentenza impugnata per violazione ed erronea applicazione degli artt. 224 I. fall.

e degli artt. 125 e 546, codice di rito.

Anche in tal caso la Corte di merito ha reso una motivazione convincente e giuridicamente

quello richiesto di cd. bancarotta impropria semplice di cui all’art. 224, n. 2, I. fall., e ciò

proprio in ragione delle argomentazioni sopra ricordare che evidenziano la sussistenza

dell’elemento soggettivo del reato contestato.

6.5 n quinto motivo, per come articolato, è invece inammissibile.

Si reiterano, ancora una volta, censure in fatto dirette ad accreditare una ricostruzione

alternativa della vicenda fattuale che risulta, per le ragioni già sopra evidenziate, irricevibile

nel giudizio di legittimità.

Neanche si allega un serio vizio argomentativo da parte del ricorrente, ma si volge la critica

direttamente alla valutazione del compendio probatorio, e ciò a fronte di una motivazione,

quella impugnata, che, al contrario, argomenta, in modo adeguato e scevro da criticità, in

ordine alla sussistenza sia dell’elemento oggettivo che di quello soggettivo del reato

contestato.

6.6 n sesto motivo si incentra sulla denunziata violazione di legge in relazione all’art. 219 I.

fa Il..

La censura è infondata.

Sul punto si richiama l’orientamento espresso da questa Corte secondo cui la circostanza

aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità di cui all’art. 219, comma primo, I. fall.

è applicabile, con interpretazione estensiva, anche ai fatti di bancarotta “impropria”,

considerata l’integralità del richiamo contenuto nell’art. 223 I. fall. alla fattispecie di cui all’art.

216 I. fall., da intendersi implicitamente riferito anche all’elemento accidentale della

circostanza aggravante della rilevanza del danno, introdotto in detta fattispecie dal rinvio

operato

dall’art.

219,

comma

primo,

I.

fall.

(Sez. 5, Sentenza n. 2903 del 22/03/2013 Ud. (dep. 22/01/2014 ) Rv. 258446).

Ne consegue che alla luce della opzione esegetica da ultimo ricordata ed alla quale anche

questo Collegio intende aderire occorre affermare il principio secondo cui l’aggravante del

danno di rilevante entità debba applicarsi anche alle ipotesi di bancarotta impropria ex art.

223, comma 2, L. Fall., e non solo a quelle di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

In realtà, la più recente giurisprudenza di questa Sezione ha superato l’orientamento espresso

con la sentenza Truzzi (n. 8829 del 18/12/2009), menzionata nel ricorso difensivo.

Si è infatti affermato, ritenendo la circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante

gravità applicabile alle ipotesi di bancarotta impropria, che per le condotte di cui alla L. Fall.,

15

ineccepibile, spiegando le corrette ragioni che impediscono di derubricare il reato contestato in

art.223,

comma

1,

in

ragione

del

rinvio

formale

ai

fatti

di

bancarotta

contemplati dalla L. Fall., artt. 216 e 217 (…), è invero del tutto compatibile l’applicazione

dell’aggravante (ad effetto speciale) già prevista da queste disposizioni per le pene indicate in

detti articoli. È, dunque, riscontrabile un’innegabile continuità prescrittiva del precetto penale,

senza indebita estensione dello stesso in pregiudizio del reo.

Invece, relativamente alle condotte che soltanto in forza della previsione della L.

223,

Fall., art.

assumono rilievo penale, quali le previsioni di cui al

articolato.

In realtà, un raccordo naturale tra la norma incriminatrice e la statuizione della L. Fall., art.

219, comma 1, è costituito dall’inciso che rinvia alle “pene stabilite dall’art. 216”, inciso che si

coniuga con quella della L. Fall., art. 219, disposizione quest’ultima che richiama la prima.

Pertanto, nel caso della violazione della L. Fall., art. 216 (artt. 217 e 218), per la quale quando il danno ai creditori è di rilevante gravità – è contemplata sanzione aggravata nella

misura speciale dettata dalla L. Fall., art. 219, non si ravvisa un incolmabile iato tra la

fattispecie incriminatrice e quella che configura le circostanze per la bancarotta “propria”,

considerata la espressa continuità nascente dal raccordo testuale delle previsioni. Ciò esclude

l’inevitabile necessità di ricorrere ad interpretazione analogica, inammissibile perché

pregiudizievole per l’imputato, e diversamente dal caso dell’aggravante dettata dalla L. Fall.,

art. 219, comma 2 – nel caso di pluralità di fatti di bancarotta – estensivamente applicabile

alla L. Fall., art. 223, perché foriera di un risultato più favorevole per l’autore dei plurimi fatti

di reato, rispetto al cumulo materiale dei reati o alla disciplina della continuazione ex art. 81

cpv.

c.p.) e che ragionevolmente consente di equiparare

il

trattamento sanzionatorio per la bancarotta impropria di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2,

alla generale disciplina del reato.

Per converso, diversamente opinando, si perverrebbe ad un irragionevole esito sperequato a

scapito dell’imprenditore individuale, passibile di pena ben più severa (o dell’autore del

comportamento riconducibile all’art. 223, comma 1, nel suo richiamo alla L. Fall., art. 216),

rispetto al trattamento disposto per il soggetto societario, astrattamente responsabile di fatti

che appaiono ben più gravi (si pensi al caso della causazione volontaria del fallimento) o

parimenti dannosi, il quale risulterebbe destinatario della sola aggravante comune di cui all’art.

61 c.p., n. 7 (che impone aumento di pena pari ad un terzo del massimo edittale), foriera di

più lieve trattamento repressivo” (Cass., Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa di Risparmio

di Rieti).

A identiche conclusioni è pervenuta una successiva pronuncia, secondo cui “la diversa struttura

del reato di bancarotta c.d. “impropria” di cui alla L. Fall., art. 223, rispetto alla fattispecie

“propria” contemplata dal precedente art. 216, non può condurre ad una indiscriminata

preclusione verso l’applicazione dell’aggravante di cui si discute; e ciò in quanto il citato art.

223, comma 1, contenendo un rinvio formale a tutti i reati di bancarotta propria puniti dalla L.

16

comma 2, ai nn. 1 e 2 di detta norma, il discorso deve essere sviluppato in modo più

Fall., artt. 216 e 217, rende compatibile l’applicazione dell’aggravante in virtù del raccordo

normativo tra la norma incriminatrice e la statuizione della L. Fall., art. 219, comma 1,

costituito dall’inciso che rinvia alle “pene stabilite

dall’art. 216″: inciso che si coniuga con quello della L. Fall., art.219, disposizione quest’ultima

che richiama la prima” (Cass., Sez. 5,

n. 44933 del 26/09/2011, Pisani; nella pronuncia si ribadisce altresì che “la soluzione adottata

ha anche il pregio di evitare la disparità di trattamento che, diversamente opinando, si

rapporto ad illeciti di pari gravità se non più gravi nel caso del soggetto societario: il che,

sebbene non possa costituire il criterio dominante nella ricostruzione della voluntas legis, vale

comunque a confortare l’esito interpretativo raggiunto”).

Per quanto qui interessa, deve osservarsi che un’analisi limitata al rinvio contenuto nella L.

Fall., art. 219, comma 1, indiscutibilmente riferito ai soli artt. 216, 217 e 218 della citata

Legge, è riduttiva. Ed invero, la complessità del sistema di rinvii esistente fra le norme

operanti nel caso di specie richiede che detta analisi comprenda anche il rinvio che lo stesso

art. 223 fa all’art. 216 e per effetto del quale le condotte e le pene previste da quest’ultima

norma sono richiamate per sancire l’applicabilità delle seconde alle prime anche laddove le

condotte siano realizzate nell’ambito di società dichiarate fallite da amministratori o altri

soggetti agli stessi equiparati per la loro funzione gestionale.

Il raffronto rende evidente la diversità sostanziale delle due disposizioni di rinvio.

La prima, infatti, opera configurando per i fatti tipici previsti dalla L. Fall., art.216, oltre che

per quelli incriminati dagli artt. 217 e 218, la

circostanza aggravante data dalla rilevante gravità del danno; il rinvio svolge pertanto in

questo caso una funzione integrativa, sotto il profilo degli elementi accidentali del reato, delle

fattispecie criminose di cui alle norme richiamate.

La seconda, invece, ricomprende nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 216 i fatti,

corrispondenti alla stessa, posti in essere nella gestione di società fallite da parte di soggetti

della stessa incaricati; ed ha in conseguenza una funzione estensiva dell’ambito di operatività

della stessa fattispecie-base del reato di bancarotta fraudolenta.

Ne consegue che è partendo dal rinvio presente nell’art. 223 che deve, dunque, procedersi

nella costruzione della complessiva fattispecie della bancarotta impropria del gestore di

società. E l’integralità del richiamo contenuto nello stesso alla fattispecie di cui all’art. 216 non

può che intendersi come implicitamente riferito anche all’elemento accidentale di quest’ultima,

costituito dalla circostanza aggravante della rilevanza del danno, introdotto, in detta

fattispecie, dal rinvio operato dall’art. 219, comma 1; norma che deve, pertanto, ritenersi

anch’essa indirettamente richiamata dall’art. 223, comma 1, come applicabile al reato di

bancarotta

impropria

ivi

previsto.

Deve aggiungersi che elementi che si oppongano alle predette conclusioni non sono ravvisabili

nella pronuncia di questa Corte (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv 249665) in ordine

17

realizzerebbe a discapito dell’imprenditore individuale rispetto all’amministratore di società, in

alla diversa aggravante di cui alla L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1, costituita dalla

commissione di una pluralità di condotte tipiche del reato di bancarotta nell’ambito della stessa

procedura fallimentare, ed all’autonomia di dette condotte in una previsione strutturalmente

improntata ad un regime di cumulo giuridico pur se formalmente qualificata in termini

circostanziali; ed in particolare nei passaggi motivazionali nei quali detta previsione

aggravatrice viene ritenuta operante per i fatti di bancarotta impropria di cui alla L. Fall., art.

223, nonostante opposte indicazioni suggerite dal dato

sanzionatorie dell’ordinaria disciplina della continuazione, con ciò intendendo a contrariis non

applicabile ai fatti di cui sopra l’aggravante del danno rilevante, meramente pregiudizievole per

l’imputato.

Orbene, la lettura integrale della motivazione della citata sentenza sul punto conferma quanto

qui affermato e per la quale è agevole osservare, in aderenza al consolidato orientamento di

questa Suprema Corte, che il richiamo contenuto nelle norme incriminatici della bancarotta

impropria allo stesso trattamento sanzionatorio previsto per le corrispondenti ipotesi ordinarie

non legittima margini di dubbio sull’applicabilità del relativo regime nella sua interezza, ivi

compresa l’aggravante sui generis di cui si discute.

Del resto, avendo il legislatore posto su un piano paritario i reati di bancarotta propria e quelli

di bancarotta impropria, non v’è ragione, ricorrendo readem ratio, di differenziare la disciplina

sanzionatoria.

L’applicazione analogica della L. Fall., art. 219, ai reati di bancarotta impropria non può

ritenersi preclusa nella fattispecie presa in esame dalle Sezioni Unite, trattandosi di

disposizione favorevole all’imputato, e rende, viceversa, evidente come le Sezioni Unite

abbiano puntualmente recepito i rilievi in precedenza esposti sull’inclusione, nell’oggetto del

rinvio posto dalla L. Fall., art. 223, di tutte le componenti del trattamento sanzionatorio della

fattispecie della bancarotta fraudolenta, fra le quali non può che comprendersi l’aggravante di

cui si discute in questa sede, e sulla sostanziale equiparazione normativa delle fattispecie della

bancarotta propria e di quella impropria, che rende irragionevole la limitazione alle prime

dell’operatività dell’aggravante in parola.

Deve ritenersi, pertanto, puramente aggiuntivo l’ulteriore accenno al

favor rei

che

contraddistingue in concreto la particolare posizione della disciplina della pluralità di fatti di

bancarotta (Cass., Sez. 5, n. 10791 del 25/01/2012, Bonomo).

6.7 Il settimo motivo, declinato come violazione di legge e vizio argomentativo in relazione agli

artt. 62 bis e 133 cod. pen., è invece inammissibile.

6.7.1 Sul punto, occorre ricordare che la mancata concessione delle circostanze attenuanti

generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è

insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche

considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di

merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in

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letterale, in quanto sostanzialmente favorevole all’imputato rispetto alle deteriori conseguenze

considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti,

ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti,

rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011,

Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).

6.7.2 Analogo discorso può essere ripetuto anche in relazione alla censura sollevata per la

graduazione complessiva della pena.

La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita,

pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una

nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero

arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv.

259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre ( Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro,

Rv. 245596).

Ebbene, a fronte di una motivazione adeguata e scevra da aporie ovvero manifeste illogicità in

punto di determinazione della pena, la parte ricorrente rivolge alla Corte doglianze in fatto che

sono irricevibili in questo giudizio di legittimità.

6.8 Anche le doglianze sollevate in relazione alla pena accessoria sono manifestamente

infondate.

Sul punto, occorre concordare con la giurisprudenza espressa sempre da questa Corte secondo

cui la pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e

dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa prevista per il delitto di

bancarotta fraudolenta ha la durata fissa ed inderogabile di dieci anni, diversamente dalle pene

accessorie previste per il reato di bancarotta semplice, che devono essere commisurate alla

durata della pena principale, in quanto, essendo determinate solo nel massimo, sono soggette

alla regola di cui all’art. 37 cod. pen.. (v. Corte Cost. n. 134 del 2012). (Sez. 5, n. 15638 del

05/02/2015 – dep. 15/04/2015, Assello, Rv. 26326701).

7. Anche il ricorso del B.B va rigettato.

Esso è in realtà ripetitivo delle medesime doglianze sollevate dal ricorso del coimputato

Capando e per la cui valutazione di infondatezza si rimanda a quanto sopra già ampiamente

esposto, per evitare inutili ripetizioni.

Le sole differenze da esaminare sono quelle qui di seguito precisate.

7.1 Si solleva da parte del B.B una ulteriore eccezione processuale relativa all’allegato

impedimento del difensore alla udienza del 15.11.2012.

Sul punto, occorre concordare con quanto argomentato dalla Corte di Appello.

Ed invero, si evidenzia nella motivazione impugnata che, trattandosi di una nullità a regime

intermedio, la delega ex art. 102 cod. proc. pen. per la sostituzione del difensore con l’Avv.

Memolo alla successiva udienza del 17.1.2013 ( senza che quest’ultimo sollevasse doglianze

sul punto ) ha determinato, comunque, la sanatoria dell’eccepita nullità.

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così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod.

7.2 Ulteriore profilo da esaminare del ricorso del Pamonella è quello contenuto nel quarto

motivo.

Con il menzionato motivo si avanzano le medesime censure sollevate dal A.A. nel terzo

motivo di censura e cioè, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b e c, cpp, la violazione e

falsa applicazione dell’art. 223 I. fall. in relazione all’art. 42 cod. pen. e in relazione agli artt.

125 e 546 Cod. proc. pen..

Puntualizza, tuttavia, la difesa del ricorrente, diversamente da quanto dedotto dall’altro

ramo d’azienda, in quanto mera rivisitazione della situazione giuridica creata da soggetti a ciò

autorizzati, non poteva certo rappresentare quel compendio indiziario richiesto anche dalla

giurisprudenza di legittimità per l’accertamento della penale responsabilità dell’imputato in

relazione al capo di imputazione in esame, atteso che, in materia di responsabilità

dell’amministratore di fatto, è necessario accertare tutti gli elementi sintomatici di gestione o

cogestione della società emergenti dall’organico inserimento del soggetto.

Aggiunge, peraltro, la difesa dell’imputato, sul punto qui da ultimo in discussione, che, in

realtà, nulla avevano motivato i giudici del gravame in relazione alla contestata irrilevanza

della sottoscrizione delle polizze fideiussorie ( negoziate originariamente per garantire le due

operazioni di affitto di ramo d’azienda ), giacché le predette sottoscrizioni riguardavano altra

società fallita, e cioè la LL comp. Spa, e dunque attenevano, al più, ad altro procedimento

di bancarotta fraudolenta imputabile al B.B.

La censura è manifestamente infondata giacché è proprio la operazione di novazione oggettiva

del contratto di affitto di azienda ad integrare il “nucleo centrale” della operazione dolosa

diretta al dissesto e al fallimento attraverso la negoziazione di clausole contrattuali

estremamente svantaggiose per la LL sistem srl, di talché non è possibile ritenere che tale

operazione non fosse stata posta in essere proprio dal soggetto che aveva la responsabilità

gestionale della società fallita.

8. Inammissibile è anche la questione di legittimità costituzionale degli artt. 216 e 223 della

legge fallimentare – sollevata dal difensore dell’imputato B.B e anche dal P.G. in

udienza- nella parte in cui prevedono pene accessorie in misura fissa, per violazione degli artt.

3-4-27-41-117 della Costituzione.

Va premesso che è noto a questo Collegio come la questione sia già stata portata – in un

passato recente – alla cognizione del giudice delle leggi sia dalla Corte di appello di Trieste con

ordinanza del 20 gennaio 2011 che da questa stessa Corte con ordinanza del 21 aprile 2011 e

che la stessa sia stata dichiarata inammissibile dalla Consulta con sentenza n. 134 del 21

maggio 2012.

E’ poi vero che la soluzione data alla questione dall’organo competente è dipesa dal

petitum

formulato dai rimettenti (una pronuncia additiva che rendesse applicabile l’art. 37 cod. pen.):

pronuncia che la Corte non ha ritenuto di poter emettere perché, si legge in sentenza, “sono

inammissibili le questioni di costituzionalità relative a materie riservate alla discrezionalità del

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imputato, che la semplice sottoscrizione da parte del B.B del contratto di affitto del

legislatore e che si risolvono in una richiesta di pronuncia additiva a contenuto non

costituzionalmente obbligato”.

E’ dato di fatto, però, che la Corte Costituzionale – pur auspicando una riforma delle pene

accessorie nel loro complesso (e non solo di quelle previste dalla legislazione fallimentare) non ha inteso cogliere l’occasione per estendere l’indagine alla “pura” costituzionalità delle

norme denunciate, come pure era in suo potere fare (e come ha fatto – concretamente – in

molteplici occasioni), sul presupposto, implicito, che gli artt. 216 e 223 della legge fallimentare

Non può essere condivisa, infatti, l’opinione per la quale la pronuncia sopra richiamata

conterrebbe un “monito”, rivolto dalla Corte al legislatore, affinché si affretti ad adeguare la

disciplina delle pene accessorie ai principi della Costituzione repubblicana (con i quali – si

assume – quelle norme contrasterebbero), dal momento che – a prescindere dal tenore

letterale delle espressioni utilizzate nella sentenza del 2012 – costituisce orientamento

consolidato del giudice costituzionale che la rigidità del sistema sanzionatorio collide col “volto

costituzionale” dell’illecito penale allorché concerna le pene fisse nel loro complesso e non

anche i “trattamenti sanzionatori che coniughino articolazioni rigide ed articolazioni elastiche,

in maniera da lasciare comunque adeguati spazi alla discrezionalità del giudice, ai fini

dell’adeguamento della risposta punitiva alle singole fattispecie concrete” (così, Corte Cost..,

ordinanza n. 91 del 2008, che ribadisce principi già affermati nelle sentenze n. 188 dell’8

novembre 1982 e n. 50 del 2 aprile 1980, che hanno ritenute legittime costituzionalmente

previsioni di pene pecuniarie fisse, anche di importo elevato, congiunte a pene detentive

variabili).

Tanto, senza considerare che, per giurisprudenza costante del giudice delle leggi, la scelta e la

quantificazione delle sanzioni per i singoli fatti punibili rientra nella discrezionalità del

legislatore, il cui esercizio è censurabile solo nel caso di manifesta irragionevolezza

(ex

plurimis, sentenze n. 22 del 2007, n. 394 del 2006 e n. 144 del 2005): irragionevolezza che

non è dato ravvisare a fronte di reati che, anche in astratto, sono considerati gravi dal

legislatore, come dimostrato dalla cornice edittale – minima e massima – ad essi riferibile.

Non può essere dato corso, pertanto, alla richiesta di sospensione del processo ovvero di un

suo rinvio, avanzata dal ricorrente e dal P.G., né alla richiesta di investire nuovamente della

questione la Corte Costituzionale.

Ne discende il rigetto dei ricorsi.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9.2.2018

non contrastino con le norme costituzionali richiamate.

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