Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18090 del 29/01/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18090 Anno 2018
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MAZZIOTTI CARMELO nato il 14/07/1948 a MALVITO

avverso la sentenza del 13/10/2016 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GRAZIA MICCOLI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore STEFANO TOCCI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio

Udito il difensore

Data Udienza: 29/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13 ottobre 2016 la Corte di Appello di Catanzaro ha parzialmente riformato la
pronunzia del Tribunale di Cosenza con cui CARMELO MAZZIOTTI era stato condannato per i reati
di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, riducendo la pena inflitta in anni due e mesi
sei di reclusione e revocando la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
2.

L’imputato, nella qualità di legale rappresentante dell’omonima ditta individuale, veniva

pari alle forniture ricevute e non rinvenute; b) non istituito i libri e le altre scritture contabili, in
modo tale da non rendere possibile la ricostruzione e del patrimonio e del movimento degli affari;
con l’aggravante di avere posto in essere più fatti di bancarotta.

3. Avverso tale sentenza l’imputato, con atto sottoscritto dal proprio difensore, ha proposto ricorso
per cassazione affidandolo a tre motivi.
3.1. Con il primo si lamenta violazione di legge processuale con riferimento agli artt. 598, 601,
178 e 179 cod. proc. pen..
Sostiene il ricorrente di aver ritualmente dedotto innanzi alla Corte di Appello l’omessa notifica del
decreto di citazione a giudizio dell’imputato, il quale sarebbe stato erroneamente notificato al
difensore “in proprio”; tale dicitura indicherebbe in modo inequivoco che l’atto era diretto al solo
difensore e non a quest’ultimo per conto dell’imputato, come invece prescritto dall’art. 161 del
codice di rito.
Nel caso in cui la notificazione presso il domicilio eletto dall’imputato risulti impossibile, si
renderebbe infatti necessaria una doppia notifica, rispettivamente al difensore ed all’imputato
presso il suo difensore.
L’imputato non si sarebbe peraltro mai reso irreperibile presso il domicilio eletto, come dimostrato
dalla riuscita notificazione dei restanti atti del procedimento in tale luogo. La Corte ha quindi
errato nell’osservare che, dopo il duplice tentativo di notifica all’imputato presso il domicilio
eletto, il decreto di citazione a giudizio sia stato correttamente notificato al difensore mediante
PEC.
Dall’omessa citazione dell’imputato discende una nullità assoluta ed insanabile, tale da inficiare
l’intero giudizio di appello e la sentenza impugnata.
3.2. Con il secondo motivo si denunziano violazione di legge e correlati vizi motivazionali.
3.2.a Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto integrato il
reato di bancarotta distrattiva in mancanza di qualunque accertamento in ordine alla presenza dei
beni in questione nelle sedi aziendali presso cui sarebbero stati consegnati. Dall’esame dei testi
sarebbe infatti emerso come nessuno si sia mai materialmente recato presso tali sedi per
verificare la effettiva presenza dei beni, ovvero per constatare la loro assenza; non essendosi

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condannato per avere: a) distratto dalla massa fallimentare beni del valore di euro 452.881,98,

svolta alcuna ricerca in tal senso, non sarebbe possibile affermare che i beni non siano stati
rinvenuti.
L’argomentazione della Corte si presenterebbe quindi illogica e carente poiché si sarebbe istituita
una sorta di equipollenza tra dichiarazione di fallimento e distrazione dei beni, prescindendosi
dalla prova di quest’ultima.
3.2.b Secondo il ricorrente la Corte ha inoltre errato nel ritenere configurato il reato di
bancarotta documentale esclusivamente sulla base della mancata consegna delle scritture
contabili al Giudice fallimentare; tale circostanza non risulterebbe sufficiente in sede penale,

lamentato con riguardo ai beni ed alle forniture, non sarebbe stata inoltre svolta alcuna verifica
presso le altre sedi aziendali tesa a rinvenire fatture ed altra documentazione contabile.
3.2.c Sostiene altresì il ricorrente di aver richiesto, già in sede di interrogatorio reso ai
sensi dell’art. 415 bis cod. proc. pen., di svolgere indagini al fine di accertare chi avesse
commesso le attività illecite per cui è processo adoperando il suo nominativo, servendosi a tal fine
di un documento di identità risultato falso e recante il nome dell’imputato. Tale richiesta sarebbe
stata erroneamente disattesa anche dalla Corte territoriale.
3.3. Con il terzo motivo si deducono la mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., e correlati vizi motivazionali.
Sostiene il ricorrente di aver presentato in primo grado rituale lista relativa all’esame di tutti i
titolari delle imprese che, a quanto risultava dalla relazione fallimentare, avevano consegnato
beni presso alcune sedi aziendali; si chiedeva altresì di esaminare i direttori di banca delle filiali
dove risultava fossero stati aperti i conto correnti da cui erano stati emessi assegni insoluti per la
consegna di tale merce. Dette testimonianze si palesavano, a parere del ricorrente,
assolutamente rilevanti e decisive al fine di identificare i soggetti, rimasti ignoti, che, servendosi
di un documento falso e del nominativo dell’imputato, avevano realizzato le condotte illecite
ascritte al ricorrente. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale il Giudice di primo grado revocava,
con ordinanza in seguito impugnata, tutti i testi indicati nella lista della difesa.
Il ricorrente si duole quindi del rigetto, da parte della Corte territoriale, della richiesta di
riapertura della istruttoria dibattimentale avanzata dalla difesa al fine di esaminare i testi già
ammessi nel corso del giudizio di primo grado, sostenendo che la motivazione della sentenza sul
punto si presenti illogica ed apparente.

4. In data 22 gennaio 2018 è stata depositata una memoria difensiva con la quale il ricorrente ha
ribadito quanto prospettato nel ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, conseguentemente, merita il rigetto.

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dovendosi ulteriormente accertare la mancata tenuta di tali scritture. Analogamente a quanto

1. Riguardo al primo motivo di ricorso, relativo alla rituale citazione dell’imputato in appello,
emerge dagli atti che la notifica del decreto di fissazione dell’udienza al difensore è seguita ad un
duplice tentativo di notifica presso il domicilio dell’imputato.
La prima notifica è stata tentata in via Asmara 24 in data 8 settembre 2016; la seconda è stata
tentata in via Sicilia 30 il 9 settembre 2016.
In ragione dell’esito negativo di tali tentativi, il decreto di citazione è stato notificato al difensore,
a mezzo PEC, in data 22 settembre 2016, con attestazione del cancelliere (del 13 settembre
2016) che si trattava di copia conforme all’originale per “uso notifica ai sensi dell’art. 161 cod.

Correttamente quindi la Corte territoriale ha ritenuto la validità della notifica del decreto di
citazione in appello eseguita presso il difensore ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen..
Come chiarito più volte da questa Corte, l’impossibilità della notificazione al domicilio dichiarato o
eletto, che ne legittima l’esecuzione presso il difensore secondo la procedura prevista dall’art. 161
del codice di rito, può essere integrata anche dalla temporanea assenza dell’imputato al momento
dell’accesso dell’ufficiale notificatore, senza che sia necessario procedere ad una verifica di vera e
propria irreperibilità, così da qualificare come definitiva l’impossibilità di ricezione degli atti nel
luogo dichiarato o eletto dall’imputato.
Tanto deve argomentarsi in considerazione degli oneri imposti dalla legge a quest’ultimo – ove
avvisato della pendenza di un procedimento a suo carico – e segnatamente l’obbligo di
comunicare ogni variazione intervenuta successivamente alla dichiarazione o elezione di domicilio,
resa all’avvio della vicenda processuale (Sez. 6, n. 52174 del 06/10/2017, Martinuzzi, Rv.
27156001; Sez. 6, n. 24864 del 19/04/2017, Ciolan, Rv. 270031; Sez. 3, Sentenza n. 12909 del
20/01/2016, Pinto, Rv. 268158; Sez. 5, Sentenza n. 13051 del 19/12/2013, Barra e altri, Rv.
262540; in senso difforme N. 2655 del 1997 Rv. 207270, N. 36996 del 2003 Rv. 226378, N. 1167
del 2006 Rv. 233172, N. 36235 del 2010 Rv. 248297, N. 48349 del 2011 Rv. 252059, N. 35724
del 2015 Rv. 265872).
Va evidenziato che v’è anche un orientamento interpretativo contrario a quello appena riportato.
Si sostiene, infatti, che, ai fini dell’integrazione dell’impossibilità della notifica, non è sufficiente la
semplice attestazione dell’ufficiale giudiziario di non avere trovato l’imputato, ma occorre un “quid
pluris”, concretantesi in un accertamento che l’ufficiale giudiziario deve eseguire “in loco”; solo a
seguito di tale accertamento, ove l’elezione di domicilio sia mancante o insufficiente o l’imputato
risulti essersi trasferito altrove, è possibile attivare la procedura, ex art. 161, comma quarto, cod.
proc. pen., di notifica presso il difensore (Sez. 5, n. 35724 del 10/06/2015, L, Rv. 26587201; in
senso conforme N. 1167 del 2006 Rv. 233172, N. 45991 del 2007 Rv. 238510, N. 36235 del
2010 Rv. 248297, N. 48349 del 2011 Rv. 252059).
Tale opzione ermeneutica, però, è stata di recente smentita anche dalle Sezioni Unite di questa
Corte, che hanno meglio definito il presupposto che integra una “impossibilità” della notifica, a
norma dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., affermando (in linea con quanto precisato da Sez.
U, n. 28451 del 28/04/2011, Pedicone, Rv.250121) che al riguardo è «sufficiente l’attestazione
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proc. pen.” all’avv. Vittoria Bosso (ovvero allo stesso difensore che ha firmato l’atto di ricorso).

dell’ufficiale giudiziario di non aver reperito l’imputato nel domicilio dichiarato – o il domiciliatario
nel domicilio eletto – non occorrendo alcuna indagine che attesti la irreperibilità dell’imputato,
doverosa solo qualora non sia stato possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall’art.
157, come si desume dall’incipit dell’art. 159 cod. proc. pen.; sicché anche la temporanea
assenza dell’imputato o la non agevole individuazione dello specifico luogo indicato come
domicilio abilita l’ufficio preposto alla spedizione dell’atto da notificare a ricorrere alle forme
alternative previste dall’art. 161, comma 4, cod. proc. pen.» (così in motivazione Sez. U, n.

2. Parimenti infondato è il rilievo, svolto dal ricorrente, secondo cui al difensore si sarebbe dovuta
notificare una duplice copia dell’atto, al fine di renderlo edotto di essere stato informato sia nella
veste di difensore che in quella di consegnatario dell’atto, per l’impossibilità di reperire l’imputato
nel domicilio dichiarato.
Se è vero infatti che la notificazione del decreto di citazione dell’imputato per il giudizio di appello
eseguita mediante consegna al difensore non sostituisce anche quella autonomamente spettante
a quest’ultimo al fine dell’espletamento del suo mandato, è altrettanto vero che la notificazione
avvenuta mediante consegna al difensore di fiducia di un’unica copia dell’atto da notificare è
valida se risulti esplicitato (come avvenuto nel caso in esame), o sia comunque desumibile, che la
notificazione stessa è stata eseguita in proprio e nella veste di domiciliatario dell’imputato (Sez.
2, Sentenza n. 19277 del 13/04/2017, La Marra, Rv. 269916; Sez. 6, Sentenza n. 39176 del
15/09/2015, El Hassani, Rv. 264571; Sez. 6, Sentenza n. 36020 del 24/05/2011, Rossattini, Rv.
250777).
Risulta pertanto dirimente nel caso di specie la circostanza dell’annotazione, sull’atto notificato al
difensore, della dicitura “notifica effettuata ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen.”.

3.

Inammissibili sono gli altri motivi di ricorso, in quanto versati in fatto e pedissequamente

reiterativi di doglianze già proposte con l’atto di appello, in relazione alle quali è stata resa
congrua e logica motivazione dalla Corte territoriale.
3.1. Quanto alla prova del reato di bancarotta per distrazione in mancanza di accertamenti in
ordine alla presenza dei beni, correttamente la Corte territoriale ha osservato che ciò che rileva è
che le società che avevano fornito merci all’impresa del MAZZIOTTI avevano presentato domande
di insinuazione al passivo fallimentare per i crediti vantati.
In proposito va ricordato che la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della impresa
fallita può essere desunta anche dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della
destinazione dei beni suddetti (Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, Ghirardelli, Rv. 262740;
conformi: n. 2876 del 1998, rv. 212606; n. 7569 del 1999, rv. 213636; n. 3400 del 2004, rv.
231411; n. 7048 del 2008, rv. 243295; n. 22894 del 2013, rv. 255385).
Nell’affermare tale principio questa Corte ha già avuto modo di osservare che la responsabilità
dell’imprenditore per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e l’obbligo di
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58120 del 22/06/2017, Tuppi, non massimata sul punto).

verità, gravante ex art. 87 I. fall. sul fallito interpellato dal curatore circa la destinazione dei beni
dell’impresa, giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova a carico dell’imprenditore in
caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato, non essendo a tal fine
sufficiente la generica asserzione per cui gli stessi sarebbero stati assorbiti dai costi gestionali,
ove non documentati né precisati nel loro dettagliato ammontare (in tal senso Sez. 5, n. 8260 del
22/09/2015, Aucello, Rv. 26771001).
3.2. Quanto alla bancarotta documentale correttamente la Corte territoriale ha rilevato che
non v’è alcuno specifico obbligo per il curatore di ricercare nelle varie sedi dell’impresa le scritture

sentenza dichiarativa di fallimento che <

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