Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18087 del 29/01/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 18087 Anno 2018
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
FORTI ROSALBA nato il 10/09/1969 a AIDONE
IMPELLIZZIERI RITA nato il 09/12/1971 a AIDONE

avverso la sentenza del 03/03/2016 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GRAZIA MICCOLI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore STEFANO TOCCI
che ha concluso per
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento senza rinvio per remissione di querela.
Udito il difensore
Il difensore presente si associa al PG.

Data Udienza: 29/01/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 3 marzo 2016, la Corte di Appello di Caltanissetta ha confermato la
pronunzia del Tribunale di Enna, con la quale ROSALBA FORTI e RITA IMPELLIZZIERI erano state
ritenute responsabili per il reato di furto aggravato di un assegno in bianco, riqualificando la
circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen. in quella prevista dall’art. 625 n. 4 cod.
pen..
2. Propone ricorso per cassazione l’imputata ROSALBA FORTI, con atto sottoscritto dal proprio
difensore e articolato in sei motivi.

relazione all’art. 522 cod. proc. pen..
La Corte Territoriale ha ritenuto la condotta aggravata non dall’uso del mezzo fraudolento, bensì
dall’uso della destrezza, procedendo quindi alla riqualificazione del fatto con la sentenza. Deduce,
quindi, la ricorrente che è stato violato il principio del contraddittorio ed il correlato diritto
dell’imputato ad un equo processo.
2.2. Con il secondo motivo si denunziano violazione di legge e correlati vizi motivazionali
in relazione alla sussistenza del reato di furto come contestato.
La pronunzia della Corte territoriale sarebbe contraddittoria e lacunosa per non aver debitamente
considerato la circostanza, emersa in dibattimento, che la persona offesa non aveva sul proprio
conto corrente la disponibilità di somme di denaro nel momento in cui apprendeva di essere
stato vittima del furto. Quest’ultima non avrebbe quindi sofferto alcun danno economico in
conseguenza della condotta ascritta alla ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo si deducono violazione di legge e vizi motivazionali in relazione
alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625, n. 4, cod. pen.
Sostiene la ricorrente che la Corte abbia errato nel ritenere aggravata la condotta ascrittale.
Deduce infatti che la destrezza deve essere esclusa nei casi in cui l’azione non sia compiuta con
abilità e scaltrezza; nel caso di specie, la condotta è invece consistita nell’impossessamento di
una cosa lasciata incustodita.
2.4. Con il quarto motivo si denunziano violazione di legge e vizi motivazionali in relazione
agli artt. 69 e 133 cod. pen.
I giudici di merito avrebbero pretermesso ogni valutazione circa la richiesta di applicazione delle
attenuanti generiche con giudizio di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti.
La Corte territoriale avrebbe altresì errato nel considerare rilevanti, ai fini della valutazione della
personalità dell’imputata, condanne penali intervenute successivamente all’epoca del fatto.
2.5. Con il quinto motivo si deducono violazione di legge e correlati vizi motivazionali in
relazione alla sospensione condizionale della pena.
La Corte avrebbe errato nel negare la concessione del beneficio della sospensione condizionale
della pena, ritenendo ostativa la circostanza che la ricorrente ne avesse già fruito in relazione a
due precedenti condanne, di cui una intervenuta per mezzodì decreto penale di condanna.

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2.1. Con il primo si lamenta violazione di legge processuale e vizio di motivazione in

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2.6. Con l’ultimo motivo la ricorrente si duole della mancata applicazione degli artt. 53 e
ss. della legge 689/81.
3. Propone ricorso anche l’imputata RITA IMPELLIZZIERI, per il tramite del proprio difensore,
deducendo i seguenti motivi.
3.1.

Con il primo si lamentano violazione di legge processuale e correlati vizi

motivazionali.
Le modifiche dell’imputazione operate sia nel corso dell’udienza preliminare sia nella pronunzia
impugnata, sarebbero tali da determinare la violazione del principio di correlazione tra accusa e

3.2. Con un secondo motivo si duole inoltre la ricorrente del fatto che il saggio grafico
rilasciato agli inquirenti fosse in seguito reso oggetto di consulenza tecnica disposta dal Pubblico
Ministero. Sostiene infatti che al momento del rilascio del suddetto saggio ella era già indagata
e, in ragione di tale circostanza, avrebbe dovuto essere informata della facoltà di farsi assistere
da un difensore di fiducia. Deduce quindi che la consulenza del Pubblico Ministero è inutilizzabile.
3.3. Con il terzo motivo si lamentano violazione di legge e correlati vizi motivazionali in
relazione alla affermazione di responsabilità in concorso con la FORTI.
La sentenza impugnata sarebbe illogica e contraddittoria in quanto mancherebbero elementi
indiziari a carico della IMPELLIZZIERI come concorrente nell’impossessamento dell’assegno.
Evidenzia, infatti, la ricorrente come sia stata esclusivamente considerata la circostanza che
l’assegno indicasse lei quale beneficiaria dell’assegno e quale autrice della firma di girata.
3.4. Con l’ultimo motivo si lamentano violazione di legge e vizi motivazionali in relazione
alla sussistenza dell’aggravante della destrezza.
Sostiene la ricorrente che tale aggravante non possa configurarsi nel caso in cui l’agente si sia
limitato a prelevare una cosa lasciata incustodita.
Esclusa l’aggravante e considerata l’intervenuta remissione di querela, il reato sarebbe estinto
per il venir meno della condizione di procedibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi vanno accolti nei termini di seguito indicati.
1. Manifestamente infondata è la doglianza, formulata da entrambe le ricorrenti, secondo cui la
Corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione del principio di correlazione tra accusa e
sentenza, riqualificando la circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen. in quella della
destrezza.
1.1. È stato infatti da tempo affermato il principio secondo cui, per aversi mutamento del
fatto, occorre una trasformazione radicale della fattispecie concreta nella quale si riassume la
ipotesi astratta prevista dalla legge, tale da determinare un’incertezza sull’oggetto
dell’imputazione e, conseguentemente, un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne discende
che la violazione del principio suddetto non può essere desunta dal mero confronto letterale fra
contestazione e oggetto della statuizione di sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie
e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del
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sentenza, atteso che la ricorrente è stata condannata per un fatto diverso da quello contestato.

processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto
dell’imputazione (Cass., Sez. Un., 19/06/1996, n. 16, Di Francesco).
L’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può dunque ritenersi violato da qualsiasi
modificazione rispetto all’accusa originaria, bensì soltanto laddove detta modificazione
pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: la nozione strutturale di “fatto” va infatti
integrata con quella funzionale, che impone di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di
difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra contestazione (oggetto di un potere
del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde

umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 5, Sentenza n. 7984 del 2013,
Jovanovic e altro, rv. 254649; Sez. 2, 16/09/2008, n. 38889, D.; Sez. 5, 13/12/2007, n. 3161,
P., rv. 238345).
In ragione dei suesposti principi, si deve ribadire che la violazione del principio di correlazione
tra accusa e sentenza è da escludersi quando nel capo di imputazione siano contestati gli
elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizione di difendersi rispetto al fatto poi
ritenuto in sentenza – da intendersi sempre come accadimento storico oggetto di qualificazione
giuridica da parte della legge penale – che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni,
secondo quanto stabilito con limpida formulazione dall’art. 521 cod. proc. pen..
Con riguardo a tale materia non si può peraltro prescindere da un conciso richiamo alla
giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale recentemente – con sentenza
del 22 febbraio 2018 (c.d. Drassich c. Italia 2) – ha ribadito che l’equità di un procedimento
penale deve essere valutata nel suo complesso. All’accusato è quindi riconosciuto il diritto di
essere informato non solo del fondamento dell’accusa – ossia dei fatti materiali che gli sono
addebitati – ma anche della qualificazione giuridica attribuita a detti fatti; la Corte ha tuttavia
precisato che il diritto di essere informati sulla natura e sul fondamento dell’accusa deve essere
valutato alla luce del diritto dell’accusato di preparare la sua difesa.
1.2. Nel caso di specie, le imputate si dolgono del fatto che il giudice di appello abbia, in
sentenza, riqualificato l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento – ritenuta dal giudice di primo
grado – in quella della destrezza.
Questa Corte ha chiarito, anche di recente, che ai fini della contestazione di una circostanza
aggravante non è indispensabile una formula specifica espressa con enunciazione letterale, né
l’indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che, conformemente
al principio di correlazione tra accusa e decisione, l’imputato sia posto nelle condizioni di
espletare pienamente la propria difesa sugli elementi di fatto integranti la stessa aggravante
(Sez. 1, Sentenza n. 51260 del 08/02/2017, Archinito, Rv. 271261; si veda anche Sez. 5,
Sentenza n. 38588 del 16/09/2008, Fornaro e altri, Rv. 242027)
Analogamente deve ritenersi che non vi sia violazione del principio di correlazione tra accusa e
sentenza allorquando il giudice di appello muti nella sentenza il “nomen iuris” di un’aggravante,

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all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita

senza che ciò comporti una imnnutazione del fatto così come descritto nel capo di imputazione
(Sez. 6, n. 16598 del 02/02/1990, Agostini, Rv. 186018).
Come si è già sopra osservato, infatti, la violazione del principio di correlazione tra contestazione
e sentenza è ravvisabile quando il fatto ritenuto nella decisione si trovi, rispetto a quello
contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d’imputazione non contenga
l’indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consenta di ricavarli in
via induttiva (Sez. 6, Sentenza n. 54457 del 17/11/2016, Marchiafava e altro, Rv. 268957; Sez.
6, Sentenza n. 36003 del 14/06/2004, Di Bartolo, Rv. 229756).

un assegno in bianco dalla borsa della persona offesa, riposta nel corridoio di ingresso
dell’abitazione in cui era ospite; in particolare le imputate erano accusate di aver agito “in
maniera fraudolenta staccando l’assegno da un blocchetto custodito all’interno della borsa”.
Il giudice di appello ha invece ritenuto che nella condotta posta in essere l’elemento in più,
rispetto all’attività necessaria per operare la sottrazione e l’impossessamento dell’assegno, non
fosse rappresentato dall’uso del mezzo fraudolento, bensì dalla destrezza, concretizzatasi
nell’avere le due donne approfittato della circostanza che si era interrotta la vigilanza della
persona offesa sul bene, in buona fede lasciato incustodito su un mobile all’ingresso
dell’abitazione che lo ospitava.
Alla luce della summenzionata giurisprudenza, si deve ritenere che la riqualificazione, operata
dalla Corte di Appello, dell’aggravante in origine contestata (art. 625 n. 2 cod.pen.) in una
diversa aggravante (art. 625 n. 4 cod.pen.) sia rituale, essendo sufficiente che, conformemente
al principio di correlazione tra accusa e decisione, l’imputato sia posto nelle condizioni di
espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto integranti l’aggravante (Sez. 4, Sentenza
n. 12674 del 2016).
Tale conclusione non risulta smentita, ma semmai avvalorata, da quelle pronunce che hanno
escluso la possibilità di affermare la responsabilità dell’imputato per un reato circostanziato
diversamente rispetto a quanto contestato: questa Corte ha infatti precisato che una simile
preclusione sorge laddove le modalità della condotta, per come ricostruite dal giudice di secondo
grado, non emergano in alcun modo dal capo di imputazione; in simili casi, non potendosi
ritenere che la circostanza aggravante sia stata contestata “in fatto”, si rende necessaria la
contestazione suppletiva ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen. (Sez. 5, Sentenza n. 44748 del
2008).
Nel caso che qui occupa, è invece evidente che il giudice di secondo grado, nel riqualificare
l’aggravante, non ha introdotto elementi fattuali diversi od ulteriori rispetto a quelli descritti
nell’imputazione, essendosi limitato a valorizzare il dato dell’interruzione della vigilanza sul bene
da parte del proprietario, il quale si trovava in una stanza contigua, intento a festeggiare il
compleanno della zia; le modalità della condotta furtiva erano note, per come contestate e
ritenute dal giudice in primo grado, alle imputate, le quali erano quindi state poste nella ,.
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Nel caso in esame, con il capo di imputazione veniva contestato alle imputate di aver sottratto

condizione di interloquire sul punto e di mettere in atto le strategie difensive ritenute più
opportune.
D’altronde, data l’evidente affinità delle due aggravanti in parola, è pacifico che, contestato il
nucleo centrale del fatto circostanziato, anche la Corte di Cassazione possa procedere a
qualificare diversamente lo stesso fatto, con rinvio alla Corte di Appello per consentire il pieno
contraddittorio di merito in conseguenza di tale riqualificazione (Sez. 4, n. 2340 del 29/11/2017,
D S, Rv. 27175701, in un caso in cui questa Corte ha escluso la sussistenza della contestata
aggravante della destrezza, perché ha ritenuto configurabile quella dell’uso del mezzo

2. Chiarito quanto precede, deve tuttavia osservarsi che l’aggravante della destrezza – pur
legittimamente ritenuta dal giudice di secondo grado senza violare il principio di correlazione tra
accusa e sentenza- non ricorre nel caso di specie.
Invero, alla luce delle indicazioni recentemente fornite dalle Sezioni Unite di questa Corte, detta
aggravante sussiste solo qualora l’agente abbia posto in essere, prima ó durante
l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità,
astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore
sulla “res”, non essendo invece sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non
provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo (Sez. U,
n. 34090 del 27/04/2017, Quarticelli, Rv. 270088).
Si è infatti osservato che “la formulazione testuale dell’art. 625 cod. pen. e la funzione di
aggravamento del trattamento punitivo autorizzano l’affermazione che, se commesso con
destrezza, il fatto di reato è qualificato da una o da talune modalità dell’azione che trascendono
l’attività di impossessamento, necessaria per la consumazione del delitto. A fronte della
configurazione legale tipica del furto semplice, che postula già di per sé, anche secondo la
comune accezione e nella dimensione etimologica del termine, un comportamento predatorio
nascosto, celato, non evidente, attuato in modo da evitarne la scoperta, il furto con destrezza si
caratterizza per l’esecuzione dell’azione in modo tale da superare quella configurazione, sicché
la modalità destra della condotta realizza un quid pluris rispetto all’ordinaria materialità del fatto
di reato”.
In altri termini, la modalità esecutiva deve differenziarsi da quella che caratterizza il furto
semplice, rivelando una particolare abilità esecutiva dell’autore nell’appropriarsi della cosa altrui,
tale da sorprendere o neutralizzare la sorveglianza sulla stessa esercitata e da disvelare la sua
maggiore capacità criminale e la più efficace attitudine a ledere il bene giuridico protetto.
Le Sezioni Unite hanno conseguentemente chiarito che “il mero prelievo di un oggetto dal luogo
ove si trova – sia esso un’abitazione privata, un esercizio di vendita o ambiente di lavoro, un
ufficio pubblico, un veicolo in sosta privo di chiusure e protezioni – attuato in un momento di
altrui disattenzione, che offre l’occasione favorevole all’apprensione per la possibilità di
avvicinamento e di asportazione nella mancata e diretta percezione da parte del possessore, non
in grado di interdire l’azione perché altrimenti impegnato o assente, non integra la fattispeci
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fraudolento).

circostanziata in esame perché non richiede nulla di più e di diverso da quanto necessario per
consumare il furto. In tali situazioni, per conseguire il risultato appropriativo l’agente non deve
fare ricorso a particolare abilità, né intesa quale agilità o rapidità motoria né quale sforzo psichico
nell’applicazione di astuzia o avvedutezza nello studio dei luoghi e del derubato e nel distoglierne
il controllo sulla cosa”.
Ne discende che il furto di un bene perpetrato da chi colga a proprio vantaggio l’occasione
propizia offerta dall’altrui disattenzione, non artatamente e preventivamente cagionata, non
presenta i caratteri della destrezza, configurabile soltanto quando il soggetto attivo si avvalga di

distogliere o allentare la vigilanza sui propri beni, esercitata dal detentore.
Nel caso di specie, le imputate si sono limitate ad approfittare del momentaneo allontanamento
della persona offesa, la quale si trovava in un’altra stanza per il festeggiamento del compleanno
della zia, avvalendosi dunque di una condizione di mera disattenzione della vittima preesistente
rispetto alla condotta furtiva realizzata.
L’azione non presenta pertanto, alla luce delle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite di questa
Corte, un disvalore ulteriore rispetto a quello ravvisabile nella fattispecie di cui all’art. 624
cod.pen.
3. Esclusa l’aggravante della destrezza e riqualificato il fatto quale furto semplice, si impone la
declaratoria di estinzione del reato per la sopravvenuta mancanza della condizione di
procedibilità, essendo intervenuta remissione di querela.
In conseguenza di ciò, i restanti motivi di ricorso formulati dalle imputate devono intendersi
assorbiti.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per remissione di querela,
previa esclusione dell’aggravante della destrezza; pone le spese del giudizio a carico delle
querelate FORTI e IMPELLIZZIERI.
Così deciso in Roma, 29 gennaio 2018

una particolare capacità operativa, superiore a quella da impiegare per perpetrare il furto, nel

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