Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18085 del 24/03/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18085 Anno 2015
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MIANO FRANCESCO N. IL 29/03/1958
FRAU ANTONIO N. IL 06/06/1948
avverso la sentenza n. 493/2013 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 15/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per il rigetto del
.0~Fodaroni,
1
ricorso;

civile, l’AV-Vi
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Data Udienza: 24/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Lecce – Sez. Distaccata di Taranto, con sentenza
del 15/04/2014, ha confermato la pronuncia emessa il 21/01/2013 dal Tribunale
di Taranto, che aveva ritenuto Miano Francesco e Frau Antonio responsabili del
reato di lesioni colpose gravi loro ascritto, condannandoli alla pena di tre mesi di
reclusione, condizionalmente sospesa.

583, comma 1, n.1 cod. pen., 4 e 5 d.P.R. 27 aprile 1955, n.547, 1, comma 4bis, 4, commi 1 e 5, 7, commi 1 e 2, 90, comma 1 lett a), d. lgs. 19 settembre
1994, n.626 e 2087 cod. civ. perché, il primo quale preposto a capo squadra dei
prestatori di lavoro, tra cui Mola Raffaele, della CMT Engineering s.p.A.,
appaltatrice operante all’interno dello stabilimento ILVA s.p.a., il secondo quale
preposto responsabile della manutenzione e dell’appalto per conto della
committente ILVA s.p.a., per colpa generica consistita in imprudenza, negligenza
e imperizia, nonché per inosservanza di specifiche disposizioni per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro e, in particolare, omettendo di coordinare – mediante lo
scambio di reciproche informazioni – gli interventi di protezione e prevenzione
atti a scongiurare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese
coinvolte nell’esecuzione all’interno del suddetto stabilimento dell’opera
complessiva, così consentendo entrambi che la realizzazione dei lavori oggetto
dell’appalto fosse eseguita in assenza di un’effettiva concertazione sulle modalità
operative da seguire, e non esercitando entrambi un’adeguata sorveglianza e
vigilanza sull’esecuzione dei lavori stessi, avevano cooperato a cagionare lesioni
colpose gravi a Mola Raffaele, lavoratore dipendente della CMT Engineering
s.p.a.

3. L’infortunio era stato così ricostruito dai giudici di merito: Raffaele Mola
stava eseguendo, alle ore 13:40 del 21 febbraio 2007,unitamente a due colleghi,
all’interno dello stabilimento ILVA di Taranto, il montaggio delle flangie sulla
tubazione del gas in prossimità della valvola a farfalla, su incarico di Antonio
Frau, a sua volta informato da Francesco Miano, quale responsabile dell’appalto
per conto della committente ILVA; quest’ultimo, previa ispezione del buon esito
dell’operazione di sabbiatura della valvola compiuta dagli stessi operai della CMT,
aveva informato il Frau del fatto che poteva procedere al montaggio delle flangie
e, posto che per far ciò era necessario chiudere prima la valvola, aveva
incaricato un tecnico dell’ILVA di procedere a tale operazione di chiusura; mentre
il Mola ed i suoi due colleghi iniziavano il lavoro di montaggio delle flangie,
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2. Agli imputati era contestata la violazione degli artt.590, commi 2 e 3,

il tecnico dell’ILVA contemporaneamente aveva azionato il comando di chiusura
della valvola, determinando così la rotazione di una leva metallica lunga cm.60,
che aveva schiacciato l’addome del Mola, nel frattempo addetto ad eseguire il
montaggio delle flangie; il lavoratore aveva riportato una gravissima ferita
penetrante Aell’addome.

4. Avverso la sentenza di appello Francesco Miano propone ricorso per
cassazione per i seguenti motivi:

del fatto che i giudici di merito non abbiano esaminato tutti gli elementi a
disposizione, non abbiano fornito una corretta interpretazione di quelli vagliati e
non abbiano applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni
che hanno giustificato la decisione. In particolare, la motivazione sarebbe
carente delle minime coordinate temporali che rendano intelligibili le ragioni dalle
quali discenderebbe la responsabilità del ricorrente. Posto che il Miano aveva
chiesto agli operai CMT di sgombrare l’area di lavoro fin quando non fosse finita
la messa in sicurezza dell’impianto, e che il Frau aveva ugualmente dato l’ordine
al Mola, la motivazione sarebbe carente con riguardo al collegamento causale tra
l’evento e la condotta del Miano, essendo l’infortunio direttamente riconducibile
all’ordine impartito dal Frau piuttosto che al mancato coordinamento fra i
preposti;
b) violazione degli artt.133 e 62 bis cod. pen., 53 legge 24 novembre 1981,
n.689 nonché mancanza di motivazione, con riferimento al trattamento
sanzionatorio. Il ricorrente lamenta che i giudici di merito non abbiano spiegato
le ragioni per le quali non hanno concesso le attenuanti generiche né la
conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria,
limitandosi al generico e tautologico richiamo alla .
Trattandosi di condotte consumate nel febbraio 2007, si assume, si sarebbero
potute applicare le attenuanti generiche per la sola incensuratezza del ricorrente.

5. Propone ricorso per cassazione anche Antonio Frau, affidando
l’impugnazione ai seguenti motivi:
a) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale. Il ricorrente si
duole del fatto che la sentenza impugnata abbia posto a base della condanna le
dichiarazioni etero-accusatorie del coimputato Miano senza alcun vaglio, con
particolare riguardo ai canoni di cui all’art.192, comma 3, cod.proc.pen., mentre
dall’istruttoria di primo grado era emersa l’impossibilità per il Frau di procedere a
quell’ordine nei confronti del Mola se non dopo aver preliminarmente acquisito il
consenso del responsabile della manutenzione ILVA, dunque non prima che il

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a) mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente si duole

Miano avesse conferito il proprio placet. Sarebbe priva di pregio, si assume,
l’ipotesi del mancato coordinamento del Frau con il Miano, posto che solo a
seguito della materiale ultimazione dell’attività di quest’ultimo il primo avrebbe
potuto impartire un comando operativo, in quanto il Mola non sarebbe stato
concretamente nelle condizioni di procedere all’attività. La grandezza
dell’impianto AFO 2, secondo il ricorrente, non avrebbe mai consentito un
coordinamento errato tra gli operanti;
b) carenza motivazionale. Si deduce che il giudice di secondo grado si sia
limitato a riportare passaggi testimoniali ovvero della sentenza di primo grado

senza spiegare perché fondino la pronuncia di colpevolezza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo del ricorso proposto da Francesco Miano è infondato.
1.1. La Corte territoriale, premessa la necessità di rileggere le risultanze
istruttorie alla luce dei motivi di gravame, ha descritto la dinamica del fatto come
emergente dalle deposizioni dei lavoratori presenti e dello stesso infortunato,
peraltro non contestata dagli appellanti, ritenendo che il mancato coordinamento
fosse addebitabile ad entrambi gli imputati per avere, ciascuno nell’ambito dei
propri compiti e competenze, impartito contemporaneamente ai rispettivi operai
ordini tra loro incompatibili, tanto desumendo dalla struttura dell’impianto al
quale i due operai erano addetti, visibile dai rilievi fotografici in atti, che non
consentiva agli stessi di vedersi reciprocamente mentre eseguivano gli ordini loro
impartiti. Il quadro di comando della valvola a farfalla al quale era adibito il
dipendente dell’ILVA era, infatti, situato al piano di campagna, mentre le flangie
cieche al cui montaggio era adibito l’operaio infortunato si trovavano ad
un’altezza di circa m.2,30 dal suolo. La sentenza impugnata si integra, sul punto,
con quanto accertato dal giudice di primo grado, secondo il quale Francesco
Miano aveva dato contemporaneamente indicazione al suo operaio di chiudere la
valvola a farfalla ed al Frau di ordinare ai suoi operai di montare le flangie,
mentre Antonio Frau si era limitato a girare l’ordine ai suoi operai una volta
ricevuta l’indicazione dal Miano, senza verificare la previa chiusura della valvola
a farfalla da parte degli operai dell’ILVA, così violando le regole cautelari
finalizzare ad evitare rischi per i lavoratori derivanti dal mancato coordinamento
tra committente ed appaltatore in presenza di interferenza tra le rispettive
lavorazioni.
1.2. Non risultano dedotte specifiche risultanze istruttorie idonee a
scardinare la logicità e congruità della motivazione, né risulta indicato da quale
atto del processo emerga che il Miano avesse dato agli operai della CMT
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,

Engineering s.p.a. l’ordine di sgombrare l’area di lavoro fin quando non fosse
finita la messa in sicurezza dell’impianto, rimanendo tale assunto una mera
deduzione in fatto che non può essere sottoposta a verifica nel giudizio di
legittimità.

2. Il secondo motivo del ricorso proposto da Francesco Miano è infondato.
2.1. La Corte territoriale, dopo aver sottolineato che la pena irrogata era
pari al minimo edittale, ha specificamente replicato all’istanza di applicazione

dichiarata sospesa, ritenendo che la gravità della omissione avesse determinato
un elevato rischio per la sicurezza e per l’integrità del lavoratore, in tale
argomentazione ravvisandosi puntuale indicazione delle ragioni per le quali la
Corte non ha ritenuto di ricorrere ad adeguamenti del trattamento sanzionatorio
alle peculiarità del caso concreto e, in sostanza, di accogliere le due istanze
proposte dall’appellante.
2.2. E’, peraltro, consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione il
principio secondo il quale, nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al
minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, talchè è
sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena (Sez. 2, n. 28852 del
08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore,
Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv.245596; Sez. 2,
n.43596 del 07/10/2003, Iunco, Rv. 227685). Né può ritenersi che sia precluso,
anche in applicazione della normativa antecedente l’entrata in vigore della legge
24 luglio 2008, n.125, negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche nei confronti di chi sia incensurato, avendo sul punto la Corte di
Cassazione chiarito che, anche secondo la disciplina previgente, le circostanze
attenuanti generiche non possono essere riconosciute solo per
l’incensuratezza dell’imputato, dovendosi considerare anche gli altri indici
desumibili dall’art. 133 cod. pen. (Sez. 5, n. 4033 del 04/12/2013, dep. 2014,
Morichelli, Rv. 258747).
2.3. E’, altresì, ripetutamente affermato nella giurisprudenza di legittimità il
principio secondo il quale , essendo la sostituzione della pena
detentiva con la corrispondente pena pecuniaria compatibile con il beneficio della
sospensione condizionale in quanto la pena sostitutiva è a tutti gli effetti una
sanzione penale (Sez.5, n.15785 del 17/01/2011, Scacco, Rv. 250162;
Sez.3, n.46458 del 22/10/2009, Mbengue, Rv. 245618; Sez.1, n.5638 del

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delle circostanze attenuanti generiche e di sostituzione della pena detentiva,

20/01/2009, Poli, Rv. 242451; Sez. 1, n.41442 del 14/10/2005, D’Angelantonio,
Rv. 232743).
2.4. Giova, tuttavia, ricordare la pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite
(Sez. U, n. 24476 del 22/04/2010, Gagliardi, Rv. 247274) che, interpretando il
significato del termine ‘prescrizioni’ di cui all’art.58, comma 2, I. 689/81, ha
escluso che il giudice possa fondare il diniego della conversione della sanzione
detentiva in sanzione pecuniaria sulle condizioni di indigenza del condannato, al
contempo richiamando la linea di demarcazione segnata dalla Consulta (Corte

di conversione della pena detentiva in sanzione pecuniaria, onde evitare che
un’indiscriminata applicazione dell’istituto si risolva in altrettante ipotesi di
violazione del principio di eguaglianza (art.3 Cost.). In tale pronuncia, la Corte
ha chiaramente affermato che la ratio delle pene sostitutive ha natura premiale e
che il giudice, nell’esercitare il suo potere discrezionale di sostituire le pene
detentive brevi con le pene pecuniarie corrispondenti, con la semidetenzione o
con la libertà controllata, deve tenere conto dei criteri indicati nell’art. 133 cod.
pen., tra i quali è compreso quello delle condizioni di vita individuale, familiare e
sociale dell’imputato.
2.5. Dev’essere quindi, ribadito il principio per cui la valutazione
discrezionale rimessa al giudice di merito ai sensi dell’art.58, comma 1, 1.689/81
deve essere sorretta da congrua ed adeguata motivazione, che deve tenere in
particolare considerazione, tra gli altri criteri, le modalità del fatto per il quale è
intervenuta condanna e la personalità del condannato. E la pronuncia impugnata
risulta conforme a detto principio, avendo la Corte territoriale esplicitato i criteri,
tra quelli previsti dall’art.133 cod. pen., sui quali ha fondato il diniego.

3. Il ricorso proposto da Antonio Frau è infondato. Dalla lettura dei motivi di
ricorso si evince una doglianza concernente l’asserita mancanza di motivazione,
ma si tratta di censura che non trova riscontro nel tenore della decisione
impugnata, nonché l’asserita violazione dei criteri di valutazione della prova
dettati dall’art.192, comma 3, cod.proc.pen., basati su assunti che non trovano
rispondenza nel provvedimento impugnato, che in alcun modo ha fondato
l’affermazione di responsabilità di Antonio Frau sulle dichiarazioni del
coimputato, richiamando la struttura dell’impianto e la sua conformazione quale
desumibile dal compendio fotografico in atti oltre che le deposizioni della persona
offesa e di altri operai presenti al momento dell’infortunio.

6

Cost. n.108 del 27 marzo 1987) per definire l’ambito di applicazione del sistema

4. Conclusivamente, entrambi i ricorsi devono essere rigettati. In
applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., al rigetto dei ricorsi segue la condanna
dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 24/03/2015

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