Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18084 del 24/03/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 18084 Anno 2015
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GARA VELLI NICOLA N. IL 05/12/1976
avverso la sentenza n. 319/2009 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
14/013/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.

Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
Udito il difensore, Avv. Riccardo Riva Berni, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

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I

Mntifemmutu,

Data Udienza: 24/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1.

La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 14/03/2014, ha

confermato la pronuncia di condanna emessa in data 13/05/2010 dal Tribunale
di Cremona nei confronti di Garavelli Nicola, ritenuto responsabile del reato
previsto dall’art.589, commi 1 e 2 i cod. pen. per aver cagionato per colpa
consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle norme che
disciplinano la circolazione stradale ( artt.140,141, commi 1 e 3, e 143, commi 1

alla pena di 6 mesi di reclusione, condizionalmente sospesa, previo giudizio di
equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alle contestate
aggravanti.

2. Il sinistro era stato così ricostruito dai giudici di merito: alle ore 6:00 del
30 luglio 2007 Nicola Garavelli percorreva la Strada Provinciale 40 con direzione
di marcia Castelverde-Castelnuovo del Zappa alla guida di un autocarro; il
traffico era scarso, il fondo stradale asfaltato, asciutto e privo di anomalie, il cielo
sereno e la visibilità buona; giunto in prossimità dell’inizio del centro abitato, in
uscita da una curva destrorsa, si era scontrato frontalmente con l’autovettura
condotta da Lorena Pizzamiglio, che percorreva la provinciale in direzione
contraria; a seguito dello scontro, la Pizzamiglio era deceduta a causa delle
gravissime lesioni riportate; l’imputato percorreva la strada alla velocità di km/h
57 ed il limite era di 90 ma aveva allargato la propria traiettoria nel tratto
terminale della curva, incrociando la traiettoria dell’autovettura í che viaggiava
alla velocità di km/h 33 e la cui conducente non aveva allacciato la cintura di
sicurezza; l’urto, verificatosi tra le parti anteriori sinistre dei veicoli, aveva
impresso all’autovettura, che si era arrestata con la parte anteriore nel fossato
posto alla sua destra, una rotazione antioraria di circa 8 metri dal punto d’urto,
mentre l’autocarro aveva deviato leggermente verso la propria sinistra
arrestandosi dopo 14 metri sulla sinistra della provinciale, con la parte anteriore
sovrapposta alla linea di margine.

3. Nicola Garavelli propone ricorso per cassazione censurando la sentenza
impugnata per i seguenti motivi:
a) inosservanza ed erronea applicazione dell’art.192 cod.proc.pen. con
carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla prova della reale
dinamica dell’incidente stradale. Il ricorrente si duole del fatto che i giudici di
merito abbiano ritenuto processualmente provato lo sconfinamento a sinistra
dell’autocarro condotto dall’imputato perché la striscia di liquido lasciata da tale

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e 3, d. Igs. 30 aprile 1992, n.285) la morte di Pizzamiglio Lorena e condannato

veicolo era rinvenibile esclusivamente sulla corsia di pertinenza dell’autovettura,
così come le tracce di fango che partivano dal possibile punto d’urto sino allo
stato di quiete evidenziavano che l’autovettura si trovava al di là dell’ipotetica
mezzeria, nonostante si trattasse di dati non certi in quanto entrambi i veicoli
avevano riportato danni all’impianto di lubrificazione ed i liquidi dei due veicoli
non erano distinguibili e nonostante il Brigadiere Cozzini avesse riferito che le
tracce di terriccio erano spalmate su tutto l’asfalto dell’intera carreggiata. La
Corte territoriale, si assume, sarebbe pervenuta alla ricostruzione della dinamica

pretesa ma non provata valutazione dei crash test, in contrasto con il dato

oggettivo della mancanza di spazio per l’evoluzione compiuta dall’autovettura,
ove questa si fosse effettivamente trovata all’interno della propria mezzeria. La
motivazione sul punto sarebbe illogica e tecnicamente contraddittoria perché
fondata sull’arbitraria deduzione, non supportata da richiami a dati tecnici, che a
seguito dell’urto la parte anteriore dell’autovettura si fosse sollevata;
b) inosservanza ed erronea applicazione dell’art.41, comma 1, cod. pen. in
relazione al mancato riconoscimento del concorso di colpa della vittima – vizio di
motivazione in riferimento alla mancata concessione dell’attenuante di cui
all’art.62 n.5 cod. pen. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale non
abbia concesso l’attenuante in parola, costituendo la violazione dell’obbligo di
attivare la cintura di sicurezza un aggravamento cosciente del rischio per
l’integrità del conducente di un veicolo, non potendosi richiamare quale implicito
diniego dell’attenuante la motivazione espressa dalla Corte territoriale a
proposito dell’influenza esercitata sull’attenuazione della pena dalla revoca della
costituzione di parte civile e dall’omesso uso della cintura di sicurezza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E’ necessario premettere, in via generale, che costituisce orientamento
interpretativo consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità che, in
presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, sia ammissibile
la motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione di
primo grado, sempre che le censure formulate contro la prima sentenza non
contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in
quanto il giudice di appello, nel controllare la fondatezza degli elementi su cui si
regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni
sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia
soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi
logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le
3

del sinistro aderendo alle conclusioni del consulente d’ufficio, richiamando la

motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a
vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in
ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto
più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a
quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle
determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le
motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità
(Sez.6, n.28411 del 13/11/2012, dep. 2013, Santapaola, Rv. 256435; Sez. 3, n.

22/11/1993, dep. 1994, Albergamo, Rv. 197250). Nel caso in esame, la Corte
territoriale non ha, peraltro, proceduto ad un mero rinvio per relationem alla
motivazione della sentenza di primo grado ma, valutando il materiale istruttorio,
ha esaminato gli specifici rilievi sollevati con i motivi d’impugnazione contro la
sentenza medesima.

2. In particolare, la Corte territoriale ha analizzato con attenzione,
sottoponendole a vaglio critico, le deduzioni critiche dell’appellante concernenti
circostanze asseritamente trascurate dal primo giudice ed il valore probatorio da
attribuire alle tracce di liquidi lasciati dai veicoli immediatamente dopo l’urto,
ritenendo convincente quanto affermato dal consulente del pubblico ministero a
proposito del fatto che i liquidi, essendo sotto pressione, vengono espulsi
immediatamente e quindi lasciano il loro segno dopo l’urto, mentre i detriti
impiegano più tempo a cadere, fornendo così le tracce dei liquidi un valido
indicatore della posizione dei veicoli sulla carreggiata al momento dell’urto ed
essendo, secondo quanto si legge nella sentenza, indinnostrato l’assunto del
consulente della difesa secondo il quale la fuoriuscita dei liquidi dall’autovettura
sarebbe avvenuta dopo il movimento di rotazione.
2.1. Analitica replica alle deduzioni dell’appellante si rinviene anche a
proposito del l’assenta ristrettezza dello spazio a disposizione dell’autovettura ove
si fosse sposata la tesi per cui tale veicolo era rimasto nella corsia di sua
pertinenza, avendo la Corte ritenuto condivisibile la tesi esposta dal consulente
del pubblico ministero, supportata da esperienza e studi condotti mediante

crash-test,

secondo la quale i veicoli al momento dell’urto si sollevano;

l’attendibilità di tale ricostruzione è stata rapportata alle circostanze del caso
concreto, per la differente massa dei due veicoli (la massa dell’auto pari alla
metà di quella dell’autocarro) e per il fatto che l’auto, nell’urto, aveva perso la
ruota anteriore sinistra, ed ha trovato riscontro, secondo la Corte di Appello, nel
fatto che i dati oggettivi rilevati sul manto stradale individuavano nella corsia di

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13926 del 10/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 2, n. 1309 del

pertinenza dell’autovettura tutte le tracce dell’incidente, senza che si fosse
attribuito alcun particolare rilievo alle tracce di terriccio.
2.2. Si tratta, a ben vedere, di motivazione completa, congrua, esente da
manifesta illogicità e pienamente satisfattiva dell’obbligo del giudice di merito di
esaminare con scrupolo ed attinenza ai dati istruttori emersi nel processo le
possibili ricostruzioni di un sinistro al quale non abbiano assistito testimoni. Ed è
necessario ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha più volte enunciato il
principio secondo cui la ricostruzione di un incidente stradale nelle sue dinamiche

l’accertamento delle relative responsabilità, la determinazione dell’efficienza
causale di ciascuna colpa concorrente sono rimesse al giudice di merito ed
integrano una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di
legittimità se sorretti da adeguata motivazione. Nella concreta fattispecie, la
decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima e i
suoi contenuti motivazionali forniscono esauriente e persuasiva risposta ai
quesiti concernenti l’incidente stradale oggetto del processo, rivelando
l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

3. Con riguardo al secondo motivo di ricorso, si tratta di motivo
manifestamente infondato.
3.1. Nella giurisprudenza di legittimità è stato più volte precisato che in
tema di omicidio e lesioni per colpa cosiddetta , il giudice di merito,
riconosciuto il concorso di colpa della persona offesa, adempie al dovere di
motivazione in ordine alla graduazione delle colpe concorrenti, di cui è
impossibile determinare con certezza le diverse percentuali, dando atto di aver
preso in considerazione le modalità del sinistro e di aver confrontato le condotte
dei soggetti coinvolti (Sez.4, n.31346 del 18/06/2013, Lobello, Rv. 256287;
Sez. 4, n.4537 del 21/12/2012, dep. 29/01/2013, Fatarella, Rv. 255099; Sez.4,
n.32222 del 5/06/2009, Casati, RV. 244431).
3.2 Per quel che riguarda l’esame del concorso di colpa della vittima, la
Corte di Appello si è soffermata sulla relativa censura (pag.13), spiegando che il
giudice di primo grado, nell’escludere che il mancato uso delle cinture di
sicurezza da parte della vittima potesse aver avuto efficienza causale esclusiva,
aveva implicitamente riconosciuto a tale dato il valore di concausa,
soggiungendo che in difetto di costituzione di parte civile il concorso di colpa
della vittima avrebbe avuto incidenza sul solo trattamento sanzionatorio ed
escludendo l’applicabilità dell’attenuante prevista dall’art.62 n.5 cod. pen., in
difetto della volontà della persona offesa di concorrere a causare il sinistro, pur
sottolineando che il giudizio di congruità della modesta sanzione applicata fosse

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e nella sua eziologia, la valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada,

frutto del bilanciamento tra il grado di colpa dell’imputato ed il mancato uso delle
cinture di sicurezza da parte della persona offesa.
3.3. La sentenza impugnata, richiamando sul punto anche le argomentazioni
del giudice di primo grado, ha dunque applicato il principio della condizione
causale, riconoscendo sia nella condotta colposa ascrivibile all’imputato sia nella
condotta colposa della vittima efficienza causale nel sinistro e spiegando sotto
quale profilo si sia tenuto conto di quest’ultimo dato istruttorio nella
determinazione della pena.

l’omessa sussunzione del fatto nell’ipotesi attenuata prevista dall’art.62 n.5 cod.
pen., laddove è lo stesso testo normativo che richiede il fatto doloso della
vittima. L’attenuante di cui all’art. 62 n. 5 cod. pen., richiedendo la sussistenza
del fatto doloso della persona offesa, rinvia, per la nozione del dolo, al
precedente art.43 e quindi presuppone che la persona offesa preveda e voglia
l’evento dannoso come conseguenza della propria cooperazione attiva o passiva
al fatto delittuoso dell’agente (Sez. 1, n. 29938 del 14/07/2010, Meneghetti,
Rv.248021). Tale norma è stata, peraltro, interpretata dalla Corte di Cassazione
nel senso che per l’attenuazione del reato non sia sufficiente qualsivoglia
condotta dolosa della vittima, che in ipotesi si potrebbe configurare anche in
termini di dolo eventuale secondo l’accezione di recente chiarita dalle Sezioni
Unite (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261104), ma sia
necessario un atteggiamento soggettivo della vittima concorrente sul piano della
causalità psicologica con la volontà del soggetto attivo, nel senso della necessità
che la persona offesa abbia voluto lo stesso evento avuto di mira dal soggetto
attivo (Sez. 1, n. 13764 del 11/03/2008, Sorrentino, Rv. 239798).

4. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; segue, a norma
dell’art.616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali,
Così deciso il 24/03/2015

3.4. Risulta, peraltro, evidente l’infondatezza della doglianza concernente

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