Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 18082 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 18082 Anno 2018
Presidente: VILLONI ORLANDO
Relatore: VIGNA MARIA SABINA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza
nel procedimento penale n. 5419/2011 R.G.N.R. a carico di Nicola Gallo + altri
avverso l’ordinanza del Tribunale di Cosenza emessa in data 18/05/2017

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Maria Sabina Vigna;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, che ha chiesto la
declaratoria di inammissibilità del ricorso.

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Data Udienza: 21/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Cosenza dichiarava nullo per
violazione del diritto di difesa il decreto del Pubblico ministero del 3 maggio 2017
che aveva rigettato la richiesta della difesa di Gallo Nicola Giuseppe di avere
copia di tutti i files delle intercettazioni telefoniche ed ambientali effettuati in

difensore.

2.

Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Procuratore della

Repubblica di Cosenza, sostenendo la abnormità strutturale e funzionale
dell’ordinanza.
L’ordinanza risulterebbe, infatti, avulsa dal sistema per singolarità e
stranezza del suo contenuto, posto che, disponendo rilascio di copia integrale di
tutte le intercettazioni, il giudice si sarebbe surrogato all’organo di accusa cui è
rimessa la gestione delle intercettazioni.
Il provvedimento sarebbe, inoltre, abnorme anche dal punto di vista
funzionale, determinandosi una stasi laddove la difesa non decidesse di
procedere all’ascolto. Il provvedimento imporrebbe inoltre al Pubblico ministero
la violazione di legge derivante dalla imposizione di un diverso e non consentito
modo di dare applicazione alla disciplina di cui all’art. 268 cod. proc. pen..

3. Il Procuratore Generale, in data 23 febbraio 2018, ha fatto pervenire le
proprie conclusioni scritte chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile non potendosi ritenere abnorme il

provvedimento impugnato.

2. In via preliminare, occorre rilevare che le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione hanno tracciato le caratteristiche della categoria dell’abnormità (Sez.
U., n. 19 del 18/6/1993, P.M. in proc. Garonzi, Rv. 194059; Sez. U., n. 8 del
24/3/1995, P.M. in proc. Cirulli, Rv. 201545; Sez. U., n. 10 del 9/7/1997, P.M.
in proc. Baldan, Rv. 208220; Sez. U., n. 11 del 9-7-1997, P.M. in proc.
Quarantelli, Rv. 208221; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999 – dep. 26/01/2000,
Magnani, Rv. 215094; Sez. U., n. 4 del 31/1/2001, P.M. in proc. Romano, Rv.
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sede di indagine nel processo e disponeva il rilascio delle relative copie al

217760; Sez. U., n. 28807 del 29/5/2002, Manca, Rv. 221999; Sez. U., n.
19289 del 25/2/2004, P.M. in proc. Lustri, Rv. 227355; Sez. U., n. 5307 del
20/12/2007 – dep. 2008, Battistella, Rv. 238239).
Al riguardo, si è affermato che è affetto da vizio di abnormità il
provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso
dall’intero ordinamento processuale, nonché quello che, pur essendo in astratto
manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle
ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite; l’abnormità dell’atto

singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale,
quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo,
determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo ovvero una
inammissibile regressione dello stesso ad una fase ormai esaurita.

3. Deve, però, evidenziarsi che, nel comporre un contrasto giurisprudenziale
insorto all’interno della giurisprudenza di legittimità, sul tema specifico della
dichiarazione di nullità del decreto di citazione a giudizio per invalidità afferenti i
requisiti necessari ovvero per mancata notificazione dell’avviso di conclusione
delle indagini ex art. 415 bis cod. proc. pen., la decisione delle Sezioni Unite n.
25957 del 26/03/09, Toni, Rv. 243590 ha ridotto notevolmente l’ambito di
rilevanza del vizio di abnormità dell’atto processuale, limitando l’ipotesi di
abnormità strutturale al caso di esercizio da parte del giudice di un potere non
attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero
di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale
nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una
situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e
cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni
ragionevole limite (carenza di potere in concreto).
L’abnormità funzionale, riconosciuta nel caso di stasi del processo e di
impossibilità di proseguirlo, è stata, del pari, limitata all’ipotesi in cui
provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che
concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del
processo.
Rileva il Supremo Collegio nella sua espressione più autorevole che «Solo in
siffatta ipotesi il Pubblico ministero può ricorrere per cassazione lamentando che
il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarità del processo;
negli altri casi, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, egli è tenuto ad
osservare i provvedimenti emessi dal giudice. Non è invece caratterizzante
dell’abnormità la regressione del procedimento, nel senso di “ritorno” dalla fase
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processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto, per la sua

del dibattimento a quella delle indagini preliminari. L’esercizio legittimo dei poteri
del giudice può comportare siffatta regressione. Se sì consente al Pubblico
ministero di invocare il sindacato della Cassazione in ogni caso in cui essa è stata
disposta dal giudice, si rende possibile tale sindacato avverso tutti i
provvedimenti di siffatto tipo, eludendosi così il principio di tassatività delle
impugnazioni. Deve, quindi, ribadirsi che se l’atto del giudice è espressione di un
potere riconosciutogli dall’ordinamento, si è in presenza dì un regresso
«consentito», anche se i presupposti che ne legittimano l’emanazione siano stati

esercitato, giacché in tal caso esso sfocia in atto illegittimo, ma non in un atto
«abnorme».

4. Il Pubblico ministero ricorrente ravvisa l’abnormità strutturale del
provvedimento impugnato nella circostanza che, disponendo rilascio di copia
integrale di tutte le intercettazioni, il giudice si sarebbe surrogato all’organo di
accusa cui è rimessa alla gestione delle intercettazioni: così prospettata, come
correttamente messo in evidenza dal Procuratore Generale, non pare sussistere
la dedotta abnormità posto che è potere del giudice del dibattimento disporre il
rilascio di copia degli atti e anche dei files delle conversazioni captate.
Il Pubblico ministero lamenta, inoltre, la palese inosservanza delle fasi e
della successione temporale scandita dall’art. 268, commi 6, 7, 8 cod. proc.
pen., in quanto il Tribunale di Cosenza aveva ritenuto che il difensore avesse
diritto al rilascio di copia integrale delle intercettazioni eseguite dalla polizia
giudiziaria e non solo di quelle ritenute rilevanti e trascritte, come previsto dalla
normativa.
4.1. Deve rilevarsi, a questo proposito, che il Pubblico ministero non ha mai
attivato nel caso in esame lo speciale procedimento di cui all’articolo citato e che,
conseguentemente, le deduzioni in merito alla violazione delle fasi e della
successione temporale scandita dal legislatore non colgono nel segno.
Conseguentemente, non essendo stata celebrata l’udienza stralcio, tutte le
intercettazioni disposte nel procedimento devono ritenersi depositate agli atti.
Il diritto all’ascolto dei files è prerogativa difensiva che può essere fatta
valere ovviamente al di là dei limiti dell’incidente cautelare. Una volta che si sia
proceduto al deposito ai sensi dell’art. 268, comma 4, cod. proc. pen., i difensori
hanno diritto, non suscettibile di limitazione alcuna ne’ di apposita
autorizzazione, ad ascoltare i files audio relativi alle registrazioni delle captazioni.
Vero è che il diritto alla copia di tali files sembra, invece, subordinato al
meccanismo di filtro reggimentato dall’art. 268, comma 6, cod. proc. pen.,
sotteso alla tutela della riservatezza inerente dati e soggetti coinvolti nelle
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ritenuti sussistenti in modo errato. Non importa che il potere sia stato male

captazioni estranei all’interesse immediato del processo; ma nella prassi lo
stralcio viene spesso pretermesso – alla luce della non perentorietà dei termini
attribuiti alle parti per indicare le captazioni non manifestamente irrilevanti
nell’ottica processuale e della assenza di una competenza funzionale in tal senso
ascritta al Giudice delle indagini preliminari (cfr. in tal senso Corte
Costituzionale, n. 255/12) – per venire assorbito dalle analoghe valutazioni rese
in dibattimento; sicché non di rado il diritto alla copia, come nel caso di specie,
finisce per essere riconosciuto senza una preventiva, esplicita, eliminazione a

4.2. Da tanto se ne deduce che la violazione del diritto all’ascolto delle
registrazioni e quello legato alla copia dei

files

audio dà luogo ad una

compressione del diritto di difesa, tale da concretare una nullità di ordine
generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178 lett. c), cod. proc. pen.,
perché cade direttamente sulla possibilità di vaglio critico del momento nel quale
si concreta la prova, id est le registrazioni e che tale vizio non è esclusivamente
riscontrabile in sede cautelare (Sez. 6, n. 41362 del 11/07/2013, Rv. 257804)
4.3. Mette conto rilevare, a questo proposito, come il decreto legislativo n.
216 del 29 dicembre 2017 – entrato in vigore il 26/01/2018 e che non trova
applicazione ovviamente con riferimento alla fattispecie in esame – si sia mosso
anche nell’ottica di tutelare il diritto all’ascolto del difensore. E’ stato, infatti,
alzato da cinque a dieci giorni il termine attributo alle difese per l’esame del
materiale intercettato, una volta che questo sia stato depositato, ed è stato
anticipato il diritto al rilascio di copia dei verbali di trascrizione sommaria, una
volta disposta l’acquisizione ad opera del giudice.

5. Tirando le fila dei principi sopra esposti, deve concludersi che l’ordinanza
del Tribunale di Cosenza non può ritenersi abnorme poiché, in quanto corretta
nei suoi presupposti e nelle sue conclusioni, non è certo avulsa dall’intero
ordinamento processuale e non è stata adottata dal Tribunale in assenza di
potere astratto o concreto.
Tale ordinanza non intacca, poi, alcuna prerogativa del Pubblico Ministero,
poiché, come si è detto, una volta disposto il rinvio a giudizio, gli atti devono
ritenersi depositati e quindi nella disponibilità dell’organo giudicante.
Le difese hanno, quindi, diritto, a valutare la possibilità di chiederne copia,
senza con ciò determinare alcuna stasi processuale nel senso sopra chiarito dalle
citate pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte.

6. Ne discende, pertanto, l’inammissibilità del ricorso del Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Cosenza.
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monte delle registrazioni manifestamente estranee al processo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso il 21 marzo 2018

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